“DURIGON FUORI DAL GOVERNO!” – FIRMA LA NOSTRA PETIZIONE SU CHANGE.ORG
Muto. Matteo Renzi continua il suo religioso silenzio sul caso di Claudio Durigon. Non scrive nulla sui social, non ne parla durante gli interventi pubblici, grazie anche al fatto che i giornalisti non gli pongono alcuna domanda sul sottosegretario all’Economia. Dieci giorni fa, da Latina, il leghista ha proposto di cambiare nome al parco dedicato dedicato a Falcone e Borsellino, per re-intitolarlo ad Arnaldo Mussolini, fratello di Benito. M5s, Pd e Leu, tre forze che sostengono l’esecutivo di cui fa parte il leghista, hanno chiesto le dimissioni.
Posizioni condivise anche da vari esponenti della società civile, come Maria Falcone, o il sindaco di Stazzema, che ha firmato la petizione del Fatto Quotidiano. Eppure Mario Draghi non è ancora intervenuto: nè per chiedere al suo sottosegretario di farsi da parte, ma neanche per confermarlo al suo posto. Silenzio anche da parte del Ministro dell’Economia Daniele Franco, di cui Durigon è sottosegretario. Lo ha difeso completamente, invece, Matteo Salvini. Il leader della Lega è stato per una settimana in silenzio. Poi, nonostante fosse presente sul palco di Latina quando Durigon ha avanzato la sua censurabile proposta, è arrivato a negare la realtà: “Durigon aveva chiesto al sindaco di occuparsi di immondizia e non di cambiare i nomi ai parchi. Nessuna nostalgia del passato”, ha sostenuto Salvini, smentito dal video del comizio.
Nessuna parola, invece, da parte di Renzi che sul caso Durigon rimane in silenzio. D’altra parte negli ultimi mesi il leader d’Italia viva tiene un solido asse politico con la Lega di Salvini: dalla convergenza sulle modifiche al del Zan, alle critiche sul Reddito di Cittadinanza. L’ex premier non ha ancora proferito parola sulla vicenda del sottosegretario appassionato di Arnaldo Mussolini, nè ha chiarito se i 28 deputati del suo piccolo partito voteranno o meno la mozione di censura già annunciata dal M5s. A titolo personale si sono espressi il capogruppo al Senato d’Italia viva, Davide Faraone (“Offendere così due eroi antimafia dovrebbe essere reato“) e la viceministra delle Infrastrutture Teresa Bellanova (che ha parlato di “bruttissima pagina di politica”): non si sa però se i giudizi dei due renziani della prima ora siano condivisi anche dal senatore di Rignano.
E dire che di occasioni per intervenire l’ex premier ne avrebbe parecchie, visto che da tutta l’estate è impegnato a presentare il suo libro in tutta Italia. L’ultima tappa è del 12 agosto, a Riva del Garda: il leader d’Italia viva ha sfruttato l’occasione per scagliarsi – come fa ormai praticamente ogni giorno – contro il reddito di cittadinanza. Secondo lui il sussidio per i meno abbienti “aiuta la criminalità”. Poi ha commentato l’ultimo editoriale de Il Financial Times che inneggia a Mario Draghi, discusso sull’ipotesi che l’attuale presidente del Consiglio sia il nome da spendere per il dopo Mattarella al Colle, attaccato l’ex ministro Alfonso Bonafede (“aveva grande futuro come Dj”), ma pure Giuseppe Conte perché ha deciso di non correre nel collegio di Primavalle per le elezioni suppletive. Quindi sono arrivate opinioni in ordine sparso sul greenpass, la ripresa della scuola in presenza, le quarantene per studenti ed insegnanti. Per la rubrica “le cose che volevo fare quand’ero al governo”, invece, l’ex premier ha citato lo ius Culturae, in risposta al Pd che sta portando avanti una campagna sullo ius soli. Insomma: in meno di un’ora Renzi ha parlato di tutto e di più. E il caso Durigon? Nulla, neppure una sillaba. C’è da dire che il giornalista chiamato a intervistare il senatore non gli ha posto alcuna domanda su quello che è il principale caso politico degli ultimi giorni. E’ in questo modo che Renzi ha potuto continuare a mantenere il silenzio su una vicenda scandalosa. Un silenzio che potrebbe essere interpretato come ‘strategico’, perché permetterebbe al leader d’Italia viva di non interrompere un dialogo con Matteo Salvini. Soprattutto in vista dell’appuntamento più importante per i partiti politici dalla ripresa dei lavori in parlamento: l’elezione del prossimo Presidente della Repubblica.