Capitolazione finale dell'Occidente. Il presidente fugge in Uzbekistan: "Ho lasciato il Paese per evitare un bagno di sangue". Organizzata la partenza degli italiani. Lamorgese: "Accoglieremo gli afghani che hanno collaborato con noi". Lunedì 16 agosto si riunisce il consiglio di sicurezza dell'Onu
Meno di dieci giorni per riprendere l’Afghanistan, meno di 24 ore per occupare Kabul e ottenere la fuga del presidente Ashraf Ghani. La resa finale dell’Occidente, a 20 anni dall’arrivo degli Usa, è avvenuta in un lampo. L’ultimo segnale di una situazione senza ritorno è arrivato la mattina del 15 agosto: i talebani hanno circondato la capitale e già nel tardo pomeriggio dal palazzo presidenziale hanno annunciato che proclameranno l’Emirato Islamico di Afghanistan, usando lo stesso nome del Paese di prima dell’arrivo degli Stati Uniti. Salvo sorprese inoltre, il prossimo leader ad interim dovrebbe essere il leader dei talebani, il Mullah Abdul Ghani Baradar.
La situazione nel Paese rimane drammatica e di profonda incertezza: dopo una giornata di negoziazioni per arrivare a un governo di transizione, subito dopo la partenza di Ghani per l’Uzbekistan (con tappa in Tagikistan) insieme ai suoi più stretti collaboratori, i talebani hanno fatto il loro ingresso in città. In un primo momento l’operazione sembrava “pacifica”, ma man mano che passano l’ore il clima si fa sempre più teso. Prima l’ambasciata Usa ha diramato un’allerta riferendo di “spari in aeroporto” e la Bbc ha citato testimoni secondo cui la gente corre sulla piste pur di riuscire a salire sugli aerei e lasciare il paese. Poco dopo inoltre sono state sentite forti esplosioni nella capitale: secondo l’agenzia Sputnik sono state segnalate due grosse deflagrazioni nei pressi dell’ambasciata Usa, evacuata nelle scorse ore, e del palazzo presidenziale. Eppure poco prima, parlando proprio con l’emittente britannica, il portavoce dei talebani, Suhail Shaheen, aveva dichiarato che “non ci sarà vendetta” nei confronti del popolo afgano. “Assicuriamo alle persone in Afghanistan”, ha detto, “in particolare nella città di Kabul, che le loro proprietà, le loro vite sono al sicuro: non ci sarà vendetta nei confronti di nessuno”.
Intanto procedono la fuga dei civili e le evacuazioni delle ambasciate di Usa, Francia, Germania e Italia: la partenza degli italiani era prevista per le 21.30 locali e, ha garantito la ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, anche i collaboratori afghani del nostro Paese saranno accolti. Tutto il mondo guarda con apprensione quello che sta succedendo in Afghanistan e domani il Consiglio di sicurezza dell’Onu si riunirà per discutere della situazione. Il premier britannico Boris Johnson ha già chiesto ufficialmente che “nessuno riconosca a livello bilaterale” il governo dei talebani. Un messaggio di pace è stato lanciato da Papa Francesco che, durante l’Angelus, ha chiesto di pregare “il Dio della pace affinché cessi il frastuono delle armi e le soluzioni possano essere trovate al tavolo del dialogo”.
Il messaggio di Ghani dopo la fuga – Il presidente Ghani ha parlato solo in serata e ha giustificato la sua fuga dicendo che, se avesse affrontato i talebani, “ci sarebbero stati innumerevoli connazionali uccisi”, “la città avrebbe dovuto affrontare la distruzione” e il risultato sarebbe stato “un grande disastro umano”. “I talebani ce l’hanno fatta a rimuovermi, per evitare il bagno di sangue, ho pensato che fosse meglio partire”, ha scritto ancora Ghani nel suo messaggio, “i talebani hanno vinto il giudizio di spada e pistole e ora sono responsabili della tutela dell’onore, della ricchezza e dell’autostima dei connazionali. Ma hanno guadagnato la legittimità nei cuori? Mai nella storia il solo potere ha dato legittimità a nessuno e mai glielo darà”. Ghani ha quindi auspicato che i talebani superino la “nuova prova storica” proteggendo “il nome e l’onore dell’Afghanistan”. È “necessario che i talebani garantiscano tutte le persone, le nazioni, i diversi settori, le sorelle e le donne dell’Afghanistan per conquistare la legittimità e il cuore del popolo”, conclude Ghani, promettendo di “continuare a servire sempre la nazione“.
I talebani a Kabul – Proprio dopo la notizia della fuga del presidente, avvenuta nel tardo pomeriggio, i talebani hanno ordinato l’ingresso in città per prevenire “caos e saccheggi”. Subito sono stati segnalati colpi di arma da fuoco in diverse zone della capitale. Già in mattinata i residenti avevano riferito di spari e combattimenti per le strade e secondo l’agenzia russa Ria novosti davanti al palazzo dell’università, nella parte occidentale della capitale, sono state issate le bandiere dei talebani. Ai combattenti, riporta Reuters, è stato ordinato di evitare violenze e consentire un passaggio sicuro a chiunque decida di andarsene. Da ore però, i civili afghani stanno scappando a piedi e in auto verso l’aeroporto, causando lunghe code di traffico in uscita dalla città. Centinaia di afgani sono giunti al valico della Porta dell’Amicizia nella città di Chaman, al confine tra Afghanistan e Pakistan. Sky News ha pubblicato le immagini delle persone alla frontiera. Secondo inoltre quanto riferito dal portavoce degli insorti, i talebani hanno preso il controllo di 11 distretti di Kabul: Stalf, Sarobi, Deh Sabz, Qarabagh Khakjabar, Paghman, Bagram, Musa, Chaharsiab, Goldara e Shakardara.
#Kabul arrivati nel nostro ospedale oltre 40 feriti. La maggior parte proviene da combattimenti nell’area di #Qarabagh. 22 sono stati ricoverati, gli altri (meno gravi) riferiti ad altre strutture. Stiamo ricevendo altre vittime. #laguerraè #Afghanistan #masscasualty
— EMERGENCY (@emergency_ong) August 15, 2021
Prese anche la città di Bamiyan e la base aerea di Bragram – Uno dei passaggi fondamentali nell’offensiva delle scorse ore è stata la presa del centro di chiave di Jalalabad, presa senza combattere. Subito dopo è caduta anche Bamiyan: la città e la sua valle sono famose per i Buddha distrutti proprio dai talebani esattamente 20 anni fa, nel 2001. Le milizie taliban in dieci giorni hanno conquistato la stragrande maggioranza dei capoluoghi di provincia, incontrando scarsa opposizione.
Ma non solo. Un funzionario afghano ha riferito che le forze della base aerea di Bagram, sede di una prigione che ospita 5.000 detenuti, si sono arrese ai talebani. Il capo del distretto di Bagram, Darwaish Raufi, ha riferito che la resa ha consegnato l’ex base americana agli insorti. La prigione ha ospitato sia i talebani che i combattenti del gruppo dello Stato Islamico.
Intanto ieri i talebani hanno nominato ministro degli affari femminili a Herat un religioso della linea dura. Questo indica l’intenzione dei talebani di instaurare la legge islamica, o sharia, nella parte dell’Afghanistan sotto il loro controllo. Un’attivista di spicco delle donne ha detto all’Associated Press che gli insorti hanno chiamato Mujeeb Rahman Ansari, che è “fortemente contro i diritti delle donne” ed è diventato famoso per le decine di cartelloni pubblicitari che ha installato in tutta la provincia di Herat che demonizzano coloro che avrebbero promosso i diritti delle donne. I suoi cartelloni dicono soprattutto che le donne devono indossare il velo islamico, o hijab.
Biden: “Non passerò questa guerra a un altro presidente” – Nessun ripensamento sul fronte Usa. Gli Stati Uniti, travolti dalle polemiche e accusati di aver scatenato l’escalation talebana, hanno continuato a difendere la loro politica di ritiro delle truppe. Il presidente statunitense Joe Biden, dopo aver ribadito che non intende “passare questa guerra ad un quinto presidente”, ha dichiarato: “Un anno o cinque anni in più di presenza militare Usa non avrebbe fatto la differenza se l’esercito afghano non può o non vuole tenere il suo Paese. E una presenza americana senza fine nel mezzo del conflitto civile di un altro Paese non è accettabile per me”. Biden ha ricordato che in 20 anni “l’America ha mandato i suoi uomini e le sue donne migliori, investito quasi 1000 miliardi di dollari, addestrato oltre 300mila soldati e poliziotti afghani, equipaggiandoli con attrezzature all’avanguardia e mantenendo la loro aviazione come parte della guerra più lunga della storia americana”.
Nessun tentennamento anche da parte del segretario di Stato Anthony Blinken: “Eravamo in Afghanistan per un scopo preciso: bloccare le persone che ci hanno attaccato l’11 settembre del 2001“, ha detto alla Cnn. E respingendo ogni paragone con Saigon e la guerra in Vietnam, ha detto che gli Stati Uniti “hanno raggiunto i propri obiettivi”. “L’idea che lo status quo avrebbe potuto essere mantenuto mantenendo lì le nostre forze, penso sia semplicemente sbagliato”. Per Blinken “l’offensiva” dei talebani per riconquistare queste capitali di provincia sarebbe iniziata “indipendentemente dalla presenza militare degli Stati Uniti. Manterremo in atto nella regione la capacità di vedere se ci sarà l’emergere di una minaccia terroristica e saremo in grado di affrontarla”.
L’evacuazione del personale Usa e Ue – Per tutto il giorno intanto Usa, Francia, Germania e Italia hanno proseguito le operazioni di evacuazione delle ambasciate. La bandiera a stelle e strisce in particolare è stata ammainata e i diplomatici trasferiti in aeroporto. Fa eccezione la Russia, che non intende riportare in patria i diplomatici. La Farnesina sabato 14 agosto ha invitato tutti gli italiani ancora nel Paese, non solo quelli che lavoravano nella rappresentanza diplomatica, a partire sfruttando il volo dell’Aereonautica Militare messo a disposizione per le 21:30 di domenica 15 dall’aeroporto di Kabul. “L’ambasciata rimarrà operativa da Roma e i fondi destinati al sostegno delle forze di sicurezza afghane potranno essere riorientati verso la tutela dei collaboratori delle nostre componenti diplomatiche, militari e civili”, ha spiegato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, ribadendo che, anche senza un nuovo impegno militare, “non possiamo pensare di abbandonare dopo 20 anni il popolo afghano”.
La smobilitazione da Kabul a questo punto è generale. Gli Stati Uniti hanno inviato 3mila marines di rinforzo ai mille già sul terreno per l’evacuare 30mila persone entro il 31 agosto, al ritmo di migliaia ogni giorno. Anche i britannici stanno utilizzando i soldati per proteggere il rimpatrio dello staff diplomatico rimasto. Danimarca, Norvegia e Germania hanno annunciato la chiusura temporanea delle sedi o la riduzione delle attività al minimo.