Da un lato l’Austria che anticipa di non avere alcuna intenzione di accogliere chi fugge dall’Afghanistan tornato sotto il controllo dei talebani, dall’altro l’Albania e il Canada pronti ad aprire le porte a un certo numero di rifugiati. In mezzo la Germania che oltre bloccare – come i Paesi Bassi – gli espatri degli afghani già sul suo territorio annuncia l’evacuazione da Kabul di 10mila persone tra ex collaboratori del governo federale e attivisti per i diritti umani. Mentre la ministra dell’Interno italiana Luciana Lamorgese a Ferragosto si è limitata a esprimere preoccupazione per il probabile aumento dei flussi attraverso la rotta balcanica e non solo: “L’Unhcr ha dato una quantificazione nei prossimi mesi che potrebbe farci preoccupare, tenendo conto anche del rischio terrorismo“. L’emergenza dei profughi che arriveranno dal Paese abbandonato dalle forze occidentali mette ancora una volta l’Europa e il resto del mondo davanti alla necessità di gestire i flussi di uomini, donne e bambini in fuga. In Italia solo alcuni sindaci – Giorgio Gori a Bergamo, Franco Ianeselli a Trento – si sono finora detti disponibili all’accoglienza. Gli eurodeputati Pd, insieme alla capogruppo alla Camera Debora Serracchiani e alla presidente della Commissione Difesa del Senato Roberta Pinotti, dal canto loro chiedono che la Ue crei canali di accesso e corridoi umanitari, con priorità per le donne, i minori e le famiglie.
Linea dura in Austria – L’Austria è il primo Paese a proclamare la linea dura verso i richiedenti asilo afgani. “Chi ha bisogno di protezione deve riceverla il più vicino possibile al proprio Paese d’origine”, ha detto il ministro dell’Interno Karl Nehammer. Nei giorni scorsi, l’Austria è stato uno dei membri dell’Unione Europea, insieme a Paesi Bassi, Belgio, Grecia, Danimarca e Germania, a firmare una lettera indirizzata ai commissari Ue contro la sospensione dei rimpatri degli afghani all’estero richiesta lo scorso 8 luglio da Kabul, che già guardava all’avanzata dei Talebani con preoccupazione. “È importante” continuare a rimpatriare “chi non ha reali esigenze di protezione”, recitava la missiva. I Paesi sottoscriventi, infatti, temevano che la sospensione delle espulsioni motivasse “ancora più cittadini afgani a lasciare casa per dirigersi in Ue”, creando dei flussi migratori enormi e difficili da gestire. E Nehammer, nei giorni, non ha cambiato opinione: “Un divieto generale di espulsione è un fattore di attrazione per l’immigrazione illegale”, ha ribadito il ministro.
Germania, Paesi Bassi e Canada – Angela Merkel ha invece fatto dietrofront alla luce della preoccupazione per una “possibile ondata di migranti a seguito dei fatti di Kabul”. Berlino e i Paesi Bassi hanno modificato la loro linea iniziale e deciso di bloccare gli espatri previsti, che avrebbero coinvolto i 30mila immigrati afghani in Germania che non hanno ricevuto il permesso di soggiorno. La cancelliera ad un vertice della Cdu ha sottolineato che “molte persone cercheranno di lasciare l’Afghanistan e dobbiamo fare di tutto per aiutare i Paesi” confinanti “a sostenere i rifugiati”. Il governo federale già “mesi fa” aveva identificato 2.500 collaboratori da far uscire dal Paese, anche se di circa 600 non è attualmente noto se non si trovino già in Stati terzi. Altre 2.000 persone, attivisti per i diritti umani e personale legale, devono ancora essere evacuate. Considerando anche le loro famiglie si tratta di circa 10mila afghani. Promesse di accoglienza sono arrivate poi da parte del Canada, che fornirà asilo a 20mila “rifugiati vulnerabili” provenienti dall’Afghanistan. La categoria si riferisce, come spiegato dal ministro per l’immigrazione Marco Mendicino, a personalità che potrebbero essere più esposte alle rappresaglie dei Talebani, come “attivisti dei diritti, leader donne e giornalisti”.
Accoglienza dall’Albania – Anche l’Albania nel suo piccolo “è pronta a prendersi la sua parte di onere che tutti i paesi della Nato devono condividere tra di loro”, scrive il premier albanese Edi Rama su Facebook, e per questo il Paese è dichiarato disponibile ad accogliere temporaneamente alcune centinaia di rifugiati provenienti dall’Afghanistan. “Solo perché si sono schierati con la Nato e hanno aiutato i nostri soldati nella loro missione di pace”, scrive Rama, “ora rischiano di essere massacrati come animali dai Talebani”. L’Albania risponde con l’accoglienza alla domanda degli Stati Uniti di ricevere temporaneamente alcuni profughi in transito diretti proprio verso gli Usa come destinazione finale. “Non solo perché ce lo chiedono i nostri grandi alleati, ma perché siamo l’Albania”.
I sindaci che vogliono ospitare rifugiati – Il primo cittadino di Bergamo Giorgio Gori ha infatti sottolineato come “siamo in tanti, sindaci di città italiane, a voler dare sin d’ora disponibilità all’accoglienza dei rifugiati”, si legge sul suo profilo Twitter. “Se c’è una residua possibilità di riscatto dell’Occidente, è nell’abbraccio delle nostre comunità a chi fugge dal terrore”. Anche il sindaco di Trento, Franco Ianeselli, ha detto che la usa città è “pronta ad aiutare chi fugge e chi resta. Non possiamo abbandonare il popolo afghano al proprio destino e i sindaci si stanno mobilitando in modo compatto”.
Mondo
Afghanistan, sui profughi linea dura di Vienna. Albania e Canada aprono le porte, Germania e Paesi Bassi fermano gli espatri
Il Pd: "Creare corridoi umanitari". La ministra dell'Interno italiana Lamorgese a Ferragosto si è limitata a esprimere preoccupazione per il probabile aumento dei flussi attraverso la rotta balcanica e non solo. Alcuni sindaci si dicono disponibili all'accoglienza. Berlino annuncia l'evacuazione da Kabul di 10mila persone tra ex collaboratori del governo federale e attivisti per i diritti umani
Da un lato l’Austria che anticipa di non avere alcuna intenzione di accogliere chi fugge dall’Afghanistan tornato sotto il controllo dei talebani, dall’altro l’Albania e il Canada pronti ad aprire le porte a un certo numero di rifugiati. In mezzo la Germania che oltre bloccare – come i Paesi Bassi – gli espatri degli afghani già sul suo territorio annuncia l’evacuazione da Kabul di 10mila persone tra ex collaboratori del governo federale e attivisti per i diritti umani. Mentre la ministra dell’Interno italiana Luciana Lamorgese a Ferragosto si è limitata a esprimere preoccupazione per il probabile aumento dei flussi attraverso la rotta balcanica e non solo: “L’Unhcr ha dato una quantificazione nei prossimi mesi che potrebbe farci preoccupare, tenendo conto anche del rischio terrorismo“. L’emergenza dei profughi che arriveranno dal Paese abbandonato dalle forze occidentali mette ancora una volta l’Europa e il resto del mondo davanti alla necessità di gestire i flussi di uomini, donne e bambini in fuga. In Italia solo alcuni sindaci – Giorgio Gori a Bergamo, Franco Ianeselli a Trento – si sono finora detti disponibili all’accoglienza. Gli eurodeputati Pd, insieme alla capogruppo alla Camera Debora Serracchiani e alla presidente della Commissione Difesa del Senato Roberta Pinotti, dal canto loro chiedono che la Ue crei canali di accesso e corridoi umanitari, con priorità per le donne, i minori e le famiglie.
Linea dura in Austria – L’Austria è il primo Paese a proclamare la linea dura verso i richiedenti asilo afgani. “Chi ha bisogno di protezione deve riceverla il più vicino possibile al proprio Paese d’origine”, ha detto il ministro dell’Interno Karl Nehammer. Nei giorni scorsi, l’Austria è stato uno dei membri dell’Unione Europea, insieme a Paesi Bassi, Belgio, Grecia, Danimarca e Germania, a firmare una lettera indirizzata ai commissari Ue contro la sospensione dei rimpatri degli afghani all’estero richiesta lo scorso 8 luglio da Kabul, che già guardava all’avanzata dei Talebani con preoccupazione. “È importante” continuare a rimpatriare “chi non ha reali esigenze di protezione”, recitava la missiva. I Paesi sottoscriventi, infatti, temevano che la sospensione delle espulsioni motivasse “ancora più cittadini afgani a lasciare casa per dirigersi in Ue”, creando dei flussi migratori enormi e difficili da gestire. E Nehammer, nei giorni, non ha cambiato opinione: “Un divieto generale di espulsione è un fattore di attrazione per l’immigrazione illegale”, ha ribadito il ministro.
Germania, Paesi Bassi e Canada – Angela Merkel ha invece fatto dietrofront alla luce della preoccupazione per una “possibile ondata di migranti a seguito dei fatti di Kabul”. Berlino e i Paesi Bassi hanno modificato la loro linea iniziale e deciso di bloccare gli espatri previsti, che avrebbero coinvolto i 30mila immigrati afghani in Germania che non hanno ricevuto il permesso di soggiorno. La cancelliera ad un vertice della Cdu ha sottolineato che “molte persone cercheranno di lasciare l’Afghanistan e dobbiamo fare di tutto per aiutare i Paesi” confinanti “a sostenere i rifugiati”. Il governo federale già “mesi fa” aveva identificato 2.500 collaboratori da far uscire dal Paese, anche se di circa 600 non è attualmente noto se non si trovino già in Stati terzi. Altre 2.000 persone, attivisti per i diritti umani e personale legale, devono ancora essere evacuate. Considerando anche le loro famiglie si tratta di circa 10mila afghani. Promesse di accoglienza sono arrivate poi da parte del Canada, che fornirà asilo a 20mila “rifugiati vulnerabili” provenienti dall’Afghanistan. La categoria si riferisce, come spiegato dal ministro per l’immigrazione Marco Mendicino, a personalità che potrebbero essere più esposte alle rappresaglie dei Talebani, come “attivisti dei diritti, leader donne e giornalisti”.
Accoglienza dall’Albania – Anche l’Albania nel suo piccolo “è pronta a prendersi la sua parte di onere che tutti i paesi della Nato devono condividere tra di loro”, scrive il premier albanese Edi Rama su Facebook, e per questo il Paese è dichiarato disponibile ad accogliere temporaneamente alcune centinaia di rifugiati provenienti dall’Afghanistan. “Solo perché si sono schierati con la Nato e hanno aiutato i nostri soldati nella loro missione di pace”, scrive Rama, “ora rischiano di essere massacrati come animali dai Talebani”. L’Albania risponde con l’accoglienza alla domanda degli Stati Uniti di ricevere temporaneamente alcuni profughi in transito diretti proprio verso gli Usa come destinazione finale. “Non solo perché ce lo chiedono i nostri grandi alleati, ma perché siamo l’Albania”.
I sindaci che vogliono ospitare rifugiati – Il primo cittadino di Bergamo Giorgio Gori ha infatti sottolineato come “siamo in tanti, sindaci di città italiane, a voler dare sin d’ora disponibilità all’accoglienza dei rifugiati”, si legge sul suo profilo Twitter. “Se c’è una residua possibilità di riscatto dell’Occidente, è nell’abbraccio delle nostre comunità a chi fugge dal terrore”. Anche il sindaco di Trento, Franco Ianeselli, ha detto che la usa città è “pronta ad aiutare chi fugge e chi resta. Non possiamo abbandonare il popolo afghano al proprio destino e i sindaci si stanno mobilitando in modo compatto”.
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Mondo
A Gaza è finita la tregua: Israele attacca Hamas sulla Striscia. “Oltre 350 morti, molti bambini”. Tel Aviv: “Colpiremo fino alla restituzione di tutti gli ostaggi”
Da Il Fatto Quotidiano in Edicola
Trump-Putin, oggi la telefonata. Media: “Usa pensano a riconoscere la Crimea come russa”. Tasse e debito: corsa al riarmo dell’Est Europa
Politica
“Riarmo? Linea di Schlein sensata, non porterà più sicurezza”: la lettera degli ex big del Pd toscano
Roma, 18 mar (Adnkronos) - "Spero ci sia la volontà politica per evitare di dividerci di nuovo. Questo è un passaggio storico. Non possiamo sbagliare, è troppo importante. La politica estera e i temi della difesa europea magari non sono decisivi per il consenso elettorale, ma sono fondamentali per la costruzione della credibilità di un soggetto politico e della costruzione di un’alternativa di governo". Lo dice al Foglio Alessandro Alfieri, senatore del Pd e coordinatore di Energia popolare, a proposito della mozione del Pd sulle comunicazioni di Giorgia Meloni in vista del Consiglio Ue.
"Lavoriamo a un documento che sottolinei le criticità del piano sulle quali il governo dovrebbe negoziare con la Commissione – dalla necessità di non sbilanciare il costo del riarmo troppo sui bilanci nazionali, alla necessità di investimenti che contribuiscano a far crescere la collaborazione industriale trai i paesi europei e gli acquisti e programmi comuni tra pesi – ma che confermi comunque che questo è oggi un passaggio necessario per garantire la sicurezza dell’Europa", sottolinea il senatore dem.
Roma, 18 mar (Adnkronos) - La tregue in Ucraina "ci sarà, è inevitabile. Trump e Putin si sono spinti troppo avanti. Hanno tagliato fuori dal confronto l’Europa che rompe le scatole e ora, escludendo gli altri, hanno obbligato se stessi a portare a casa il risultato. Non possono fallire, non possono tornare alla casella di partenza". Lo dice Romano Prodi a 'Avvenire'.
Ma "la pace è un’altra cosa. È più complicata perché si tratta di definire aspetti complessi. A cominciare dai problemi territoriali. Certo di solito una tregua finisce con il rendere definitivi accordi provvisori", sottolinea l'ex presidente della commissione Ue. Sulla difesa europea, Prodi spiega: "Ora è il momento di farci il nostro ombrello. Penso a un lungo e indispensabile cammino verso la difesa comune. Penso a risorse aggiuntive che vengano progressivamente messe insieme da tutti i Paesi Ue. Penso a risorse spese in modo coordinato e unito. Se aumentiamo le spese militari senza organizzare una politica estera e una difesa comune, sono soldi buttati via".
Prodi, tra le altre cose, parla della situazione del Pd: "In Europa non esiste un Paese in cui un partito abbia la maggioranza. Ecco il tema: creare la compagnia di viaggio" e con il M5s "c’è tanta distanza. Troppa. Questo gioco della separazione quotidiana vuol dire condannarsi alla sconfitta. E invece la sfida è trovare una capacità di mediare avanzando. Servono proposte innovative. Servono proposte che emozionano. Che prendono il cuore. Perchè c’è metà del Paese che non va più a votare. E perchè i giovani non si convincono con proposte in contrasto tra loro".
(Adnkronos) - Serie di attacchi aerei di Israele nella Striscia di Gaza, ripresi nella notte su ordine di Benjamin Netanyahu, che ha ordinato "la ripresa della guerra" contro Hamas, dopo che gli sforzi per estendere il cessate il fuoco sono falliti. Il bilancio delle vittime continua a salire. Secondo il direttore del ministero della Sanità della Striscia, Mohammed Zaqout, i morti sono saliti "ad almeno 330, per la maggior parte donne e bambini palestinesi, mentre i feriti sono centinaia"
Secondo quanto appreso dall'Afp da due fonti del movimento di resistenza islamico, tra le vittime c'è anche il generale di divisione Mahmoud Abu Watfa, che era a capo del ministero dell'Interno del governo di Hamas.
L'ufficio del primo ministro Netanyahu ha dichiarato che lui e il ministro della Difesa Israel Katz hanno dato istruzioni alle Forze di Difesa Israeliane (Idf) di intraprendere “un'azione forte contro l'organizzazione terroristica di Hamas” nella Striscia di Gaza. “Questo fa seguito al ripetuto rifiuto di Hamas di rilasciare i nostri ostaggi, così come al suo rifiuto di tutte le proposte ricevute dall'inviato presidenziale statunitense Steve Witkoff e dai mediatori”, ha dichiarato l'ufficio di Netanyahu in un post su X. “Israele, d'ora in poi, agirà contro Hamas con una forza militare crescente”, ha dichiarato l'ufficio di Netanyahu in una dichiarazione riportata dal Times of Israel, aggiungendo che i piani per la ripresa delle operazioni militari sono stati approvati la scorsa settimana dalla leadership politica.
Israele continuerà a combattere a Gaza "fino a quando gli ostaggi non saranno tornati a casa e non saranno stati raggiunti tutti gli obiettivi", ha affermato Katz.
La Casa Bianca dal canto suo ha confermato che Israele ha consultato l'amministrazione americana prima di lanciare la nuova ondata di raid. "Hamas avrebbe potuto rilasciare gli ostaggi per estendere il cessate il fuoco, invece ha scelto il rifiuto e la guerra", ha detto il portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale della Casa Bianca, Brian Hughes, al Times of Israel, dopo la ripresa dei raid israeliani contro la Striscia di Gaza.
Dal canto suo Hamas ha dichiarato che Netanyahu, con la sua decisione di "riprendere la guerra", "ha condannato a morte gli ostaggi" che si trovano ancora a Gaza. "Netanyahu e il suo governo estremista hanno deciso di sabotare l'accordo di cessate il fuoco - accusa il movimento in una nota - La decisione di Netanyahu di riprendere la guerra è la decisione di sacrificare i prigionieri dell'occupazione e di imporre loro la condanna a morte”. Hamas denuncia poi che il premier israeliano continua a usare la guerra a Gaza come "una scialuppa di salvataggio" per distrarre dalla crisi politica interna.
Hamas ha quindi esortato i mediatori internazionali a “ritenere l'occupazione israeliana pienamente responsabile della violazione dell'accordo” e ha sottolineato la necessità di “fermare immediatamente l'aggressione”.
Il cessate il fuoco era rimasto in vigore per circa due settimane e mezzo dopo la conclusione della prima fase, mentre i mediatori lavoravano per mediare nuovi termini per l'estensione della tregua. Hamas ha insistito per attenersi ai termini originali dell'accordo, che sarebbe dovuto entrare in vigore nella sua seconda fase all'inizio del mese. Questa fase prevedeva che Israele si ritirasse completamente da Gaza e accettasse di porre fine definitivamente alla guerra in cambio del rilascio degli ostaggi ancora in vita. Sebbene Israele abbia firmato l'accordo, Netanyahu ha insistito a lungo sul fatto che Israele non porrà fine alla guerra fino a quando le capacità militari e di governo di Hamas non saranno state distrutte. Di conseguenza, Israele ha rifiutato anche solo di tenere colloqui sui termini della fase due, che avrebbe dovuto iniziare il 3 febbraio.
Gli Houthi dello Yemen "condannano la ripresa dell'aggressione del nemico sionista contro la Striscia di Gaza". "I palestinesi non verranno lasciati soli in questa battaglia e lo Yemen continuerà con il suo sostegno e la sua assistenza e intensificherà il confronto", minaccia il Consiglio politico supremo degli Houthi, che da anni l'Iran è accusato di sostenere, come riportano le tv satellitari arabe.
Genova, 18 mar. (Adnkronos) - Tragedia nella notte a Genova in via Galliano, nel quartiere di Sestri Ponente, dove un ragazzo di 29 anni è morto in un incendio nell'appartamento in cui abitava. L'incendio ha coinvolto 15 persone di cui quattro rimaste ferite, la più grave la madre del 29enne, ricoverata in codice rosso al San Martino. Altre tre persone sono state ricoverate in codice giallo all'ospedale di Villa Scassi. Sul posto la polizia che indaga sulla dinamica.
Dalle prime informazioni si sarebbe trattato di un gesto volontario del giovane che si sarebbe dato fuoco.
Milano, 17 mar. (Adnkronos Salute) - Bergamo, 18 marzo 2020: una lunga colonna di camion militari sfila nella notte. Sono una decina in una città spettrale, le strade svuotate dal lockdown decretato ormai in tutta Italia per provare ad arginare i contagi. A bordo di ciascun veicolo ci sono le bare delle vittime di un virus prima di allora sconosciuto, Sars-CoV-2, in uscita dal Cimitero monumentale.
Quell'immagine - dalla città divenuta uno degli epicentri della prima, tragica ondata di Covid - farà il giro del mondo diventando uno dei simboli iconici della pandemia. Il convoglio imboccava la circonvallazione direzione autostrada, per raggiungere le città italiane che in quei giorni drammatici accettarono di accogliere i defunti destinati alla cremazione. Gli impianti orobici non bastavano più, i morti erano troppi. Sono passati 5 anni da quegli scatti che hanno sconvolto l'Italia, un anniversario tondo che si celebrerà domani. Perché il 18 marzo, il giorno delle bare di Bergamo, è diventato la Giornata nazionale in memoria delle vittime dell'epidemia di coronavirus.
La ricorrenza, istituita il 17 marzo 2021, verrà onorata anche quest'anno. I vescovi della regione hanno annunciato che "le campane di tutti i campanili della Lombardia" suoneranno "a lutto alle 12 di martedì 18 marzo" per "invitare al ricordo, alla preghiera e alla speranza". "A 5 anni dalla fase più acuta della pandemia continuiamo a pregare e a invitare a pregare per i morti e per le famiglie", e "perché tutti possiamo trovare buone ragioni per superare la sofferenza senza dimenticare la lezione di quella tragedia". A Bergamo il punto di partenza delle celebrazioni previste per domani sarà sempre lo stesso: il Cimitero Monumentale, la chiesa di Ognissanti. Si torna dove partirono i camion, per non dimenticare. Esattamente 2 mesi fa, il Comune si era ritrovato a dover precisare numeri e destinazioni di quei veicoli militari con il loro triste carico, ferita mai chiusa, per sgombrare il campo da qualunque eventuale revisione storica. I camion che quel 18 marzo 2020 partirono dal cimitero di Bergamo furono 8 "con 73 persone, divisi in tre carovane: una verso Bologna con 34 defunti, una verso Modena con 31 defunti e una a Varese con 8 defunti".
E la cerimonia dei 5 anni, alla quale sarà presente il ministro per le Disabilità Alessandra Locatelli, sarà ispirata proprio al tema della memoria e a quello della 'scoperta'. La memoria, ha spiegato nei giorni scorsi l'amministrazione comunale di Bergamo, "come atto necessario per onorare e rispettare chi non c'è più e quanto vissuto". La scoperta "come necessità di rielaborare, in una dimensione di comunità la più ampia possibile, l'esperienza collettiva e individuale che il Covid ha rappresentato".
Quest'anno è stato progettato un percorso che attraversa "tre luoghi particolarmente significativi per la città": oltre al Cimitero monumentale, Palazzo Frizzoni che ospiterà il racconto dei cittadini con le testimonianze raccolte in un podcast e il Bosco della Memoria (Parco della Trucca) che esalterà "le parole delle giovani generazioni attraverso un'azione di memoria". La Chiesa di Ognissanti sarà svuotata dai banchi "per rievocare la stessa situazione che nel 2020 la vide trasformata in una camera mortuaria". Installazioni, mostre fotografiche, momenti di ascolto e partecipazione attiva, sono le iniziative scelte per ricordare. Perché la memoria, come evidenziato nella presentazione della Giornata, "è la base per ricostruire".
Kiev, 17 mar. (Adnkronos) - Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha annunciato su X di aver parlato con il presidente francese Emmanuel Macron: "Come sempre scrive - è stata una conversazione molto costruttiva. Abbiamo discusso i risultati dell'incontro online dei leader svoltosi sabato. La coalizione di paesi disposti a collaborare con noi per realizzare una pace giusta e duratura sta crescendo. Questo è molto importante".
"L'Ucraina è pronta per un cessate il fuoco incondizionato di 30 giorni - ha ribadito Zelensky - Tuttavia, per la sua attuazione, la Russia deve smettere di porre condizioni. Ne abbiamo parlato anche con il Presidente Macron. Inoltre, abbiamo parlato del lavoro dei nostri team nel formulare chiare garanzie di sicurezza. La posizione della Francia su questa questione è molto specifica e la sosteniamo pienamente. Continuiamo a lavorare e a coordinare i prossimi passi e contatti con i nostri partner. Grazie per tutti gli sforzi fatti per raggiungere la pace il prima possibile".
Washington, 17 mar. (Adnkronos) - il presidente americano Donald Trump ha dichiarato ai giornalisti che il leader cinese Xi Jinping visiterà presto Washington, a causa delle crescenti tensioni commerciali tra le due maggiori economie mondiali. Lo riporta Newsweek. "Xi e i suoi alti funzionari" arriveranno in un "futuro non troppo lontano", ha affermato Trump.