Certi amori durano Come un gatto in tangenziale, ce l’avevano detto Paola Cortellesi e Antonio Albanese nel finale malinconico dell’omonima commedia firmata Riccardo Milani. Gli stessi personaggi, la coatta di Bastogi Monica e il manager di politiche sociali Giovanni fanno la loro rentrée per il sequel Ritorno a Coccia di Morto. Tenuto in freezer per un anno causa Covid, doveva uscire nel 2020. Ora esordisce in anteprima al cinema il 14 e 15 agosto, e dal 26 regolarmente in programmazione con Vision Distribution.

Inossidabile la coppia brillante Albanese/Cortellesi. È passato qualche anno, pure di galera per qualcuno, ma un servizio civile di riabilitazione in un convento di suore dalla presenza horror rimetterà a confronto i nostri due eroi di classi sociali diametralmente opposte. Milani si diverte a citare, oltre ai generi, il Settimo Sigillo di Bergman più alcuni film italiani che hanno fatto la storia. Circonda di nuovo la Cortellesi con le due gemelle dalla comicità innata quanto irresistibile Pamela e Sue Ellen, al secolo Alessandra e Valentina Giudicessa. “Fatece lavorà nei film, così non rubamo più” hanno detto con sorriso e veracità in conferenza stampa. Dovrebbero fare cinema semplicemente perché sono brave, invece.

Ma torniamo al regista. Mette in campo un improbabile prete fascinoso quanto ingenuo con le fattezze della new entry Luca Argentero, rimette nuovamente in gioco l’ex-marito, Claudio Amendola, personaggione borgataro tutto tatuaggi, ciabatte e chioma unta, che meriterebbe quasi uno spin-off. Ma non rinuncia a parlarci, sempre a modo suo come ci ha abituati nel suo cinema, con la leggerezza di un sorriso e a volte una capocciata a chi se la merita, di temi seri e profondi che solcano e definiscono l’oggi. Quindi sviluppo culturale delle periferie, violenza domestica sulla donna e rivincita, nuova povertà urbana e diatriba tra volontariato e qualunquismo.

Ci conduce tra le relazioni complesse delle famiglie aperte, quelle di genitori single, genitori ex e fratelli in qualche modo acquisiti, mentre riesce pure a mostrarci Roma tra la pedana di un modernissimo monopattino elettrico o nei suoi antichi cunicoli più segreti e spettacolosi. Perché in fin dei conti, come dice Monica della sua città maltrattata e spesso mal gestita: “Roma è sempre bella, pure se la piji a carci”.

Oltralpe invece, la famiglia che ci pone drammaticamente innanzi La ragazza con il braccialetto è squarciata da un grave processo penale. Roschdy Zem e Chiara Mastroianni impersonano i genitori di una ragazza, Melissa Guers, accusata dell’omicidio della sua migliore amica. Il braccialetto è quello elettronico che la tiene sotto controllo da due anni quando al compimento dei diciotto affronta il tribunale degli adulti avvolta di silenzi enigmatici per i genitori quanto per lo spettatore.

L’autore Stéphane Demoustier parte da questa inquietudine di base per costruire la tensione di tutto il suo legal thriller a sfondo famigliare. La scacchiera dei personaggi viene definita in maniera molto lineare nella sua regia per far posto a dialoghi avvincenti che gli sono valsi il Premio César per la Miglior Sceneggiatura non originale nel 2019 (anche qui la traccia dello slittamento uscita per pandemia). Forse il miglior personaggio è quello del pubblico ministero, Anaïs Demoustier, sorella del regista, che duetta con l’avvocato difensore Annie Mercier in un crescendo di infiorettate di domande insinuanti, nuove prove e smontaggio delle stesse che accompagna il pubblico su crinali tra innocenza e colpevolezza via via sempre più acuminati e incerti.

Colpevole o innocente? È la vera domanda morale che ne attraversa la visione stimolante. Questo film porta sul grande schermo molti incoffessabili non-detti e tabù tra genitori e figli, a cominciare dal revenge porn. Scandaglia senza giudizi né moralismi o sbandate la segretezza della vita adolescenziale restituendoci un intero cast tremendamente in parte. Compresa Mastroianni con la sua madre evitante. È così brava e lontana dallo Stivale che, con un po’ d’innocua malinconia a velare la nostra soddisfazione per il suo lavoro, sembra proprio la Monnalisa del cinema italiano. Il thriller sarà nelle nostre sale dal 26 agosto con Satine Film. Consigliato agli amanti dei film processuali o su adolescenti problematici.

Ci spostiamo in Corea del Sud per un altro thriller, ma action, che vi terrà incollati alla poltrona. In A Day un padre poco presente per la sua impegnatissima carriera di medico famoso anche in tv deve incontrare la figlioletta in un centro commerciale per il suo compleanno, ma all’appuntamento con la piccola, sempre un po’ delusa e imbronciata per ritardi e assenze del papà, non arriverà in tempo a salvarla da un incidente d’auto che ne falcia la giovane vita. È qui che entra in scena il loop temporale che farà rivivere continuamente la dolorosa sequenza al padre sempre più traumatizzato, ma al tempo stesso determinato a cambiare la sorte di sua figlia.

Gioca su vari stili di ripresa il regista e sceneggiatore Cho Sun-Ho. Esordisce felicemente con un congegno cinematografico che eravamo abituati a guardare su film americani di fantascienza o in commedie surreali. Lui spazza via ogni pregiudizio e c’infila nel traffico metropolitano di una storia tenera e dura di un padre, una figlia e la sua perdita. Si lotta contro il destino, quindi il suo linguaggio è profondo perché tocca temi che si prestano a naturali drammatizzazioni, ma non manca una spettacolarità action perfettamente amalgamata con equilibrate istanze narrative. Ci si propone la famiglia spezzata e malinconica del genitore single sempre troppo indaffarato per tenere a mente esigenze e gusti della sua bambina. Su tutto incombe il lutto da evitare. Come se ne esce sarà una continua sorpresa grazie alle trovate originali intorno allo scartamento di una storia resa ad arte sempre più incerta e coinvolgente. Anche questo titolo sarà in sala dal 26 agosto, ma distribuito da PFA Films.

Chiudiamo questo percorso tra nuove uscite al cinema e famiglie del 2021 con un esordio alla regia a dir poco folgorante. Un vecchio uomo di campagna, solo, malato e pieno di fantasmi dal passato viene convinto con una certa malavoglia dal figlio a trasferirsi a Los Angeles. Ma la convivenza forzata con lui, la sua omosessualità e suo marito mai accettati e la loro figlia porteranno a galla vecchi e nuovi rancori. Viggo Mortensen non si accontenta di essere il protagonista di Falling – Storia di un padre insieme a un Lance Henriksen peraltro da Oscar. Scrive, produce, e musica il suo primo film da regista. Anzi, autore a tutto tondo.

Il risultato è già uno dei migliori film visti nel 2021, mancano ancora tutti quelli di Venezia però. Sta di fatto che Mortensen nel suo scontro generazionale inserisce l’ostilità bulla e omofoba di un padre che ha sbagliato quasi tutto nella vita. Il suo stile lo fa accostare nel mezzo tra Eastwood e Malick. Gestisce con lucida cura il racconto contemporaneo mentre nei flashback i fantasmi speculari di padre e figlio tra scene di caccia e sfide a cavallo assumono tratti bucolici quasi eterei. Il suo personaggio è un buono, un uomo risolto nonostante le cicatrici di anima e corpo. Equilibrio e risolutezza si scontrano con la becera ignoranza del padre. In mezzo quel che resta dell’amore tra due uomini agli antipodi in un crepuscolo continuo tra sopportazione e deflagrazione. Entrambi gli attori sono semplicemente giganteschi. Henriksen lo ricordavamo per l’androide di tre Alien, caratterista di tanto cinema anni ’80 e ’90. Qui il suo Willis è magistrale nel tirarci fuori sconcerto e pietà insieme. La classe tuttofare di Mortensen, sei lingue parlate fluentemente all’attivo e amato spauracchio della sua voce italiana, Pino Insegno, che lo ha spesso dato per quasi maturo a doppiarsi da solo, ci regala un nuovo grande autore da tenere d’occhio. Falling arriva nelle sale italiane il 26 agosto distribuito da BiM. E c’è da scommettere che rimarrà nei cuori dei suoi spettatori.

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