A Gedi, il gruppo editoriale che fa capo alla famiglia Agnelli, non si fanno mancare nulla. Pur con le spalle coperte dalla “ricca mamma” Exor, che controlla con l’89% la società che edita tra gli altri La Repubblica, L’Espresso, La Stampa e Il Secolo XIX, sono comunque ricorsi all’aiuto pubblico. A fine dicembre dell’anno scorso Gedi ha infatti sottoscritto un prestito garantito dallo Stato per 70 milioni di euro, durata 4 anni e coperto per il 90% tramite Sace. Una linea di credito a bassissimo costo che sostituisce un vecchio finanziamento più oneroso. Ma quel nuovo credito sotto le insegne del Decreto liquidità, solo 8 mesi dopo rischia di far finire Gedi in un cul de sac.

Il nuovo ad Maurizio Scanavino ha già annunciato da tempo un piano lacrime e sangue per Repubblica. Gedi vuole 50 prepensionamenti alla testata simbolo del gruppo e ha posto condizioni. Se il piano degli esuberi non verrà sottoscritto dalle rappresentanze sindacali, allora si procederà unilateralmente con altri strumenti come la cassa integrazione a rotazione su tutti i giornalisti. Sul piano aziendale di tagli il Cdr (la rappresentanza sindacale dei giornalisti, ndr) di Repubblica ha finito per dimettersi per divergenze al suo interno. Peccato che i vertici di Gedi sembrino dimenticare che la ristrutturazione del personale deve avvenire tramite un accordo sindacale, altrimenti le norme che disciplinano i prestiti garantiti previsti dal decreto Liquidità vietano questa possibilità. E così quel finanziamento coperto dalla garanzia pubblica ora diventa un ostacolo al via libera ai piani di forti tagli sul costo del lavoro. Chissà se nel frattempo Gedi avrà rinunciato alla copertura statale sui crediti? Per ora difficile saperlo. Si vedrà quando le carte verranno scoperte del tutto.

I conti drammatici del gruppo – Sullo sfondo della vicenda che rende l’estate di Repubblica particolarmente calda si staglia come un macigno la situazione drammatica dei conti dell’intero gruppo Gedi. Il bilancio del 2020 racconta di una situazione al collasso. Non c’è solo il fatturato crollato a livello consolidato da 603 milioni a 533 milioni, ma ormai i costi si mangiano quasi del tutto i ricavi. Il margine operativo lordo si è quasi azzerato (solo 2 milioni su 533 milioni di ricavi) e poi ammortamenti e soprattutto svalutazioni delle testate hanno fatto il resto, portando la perdita netta a 166 milioni, superiore ai 129 milioni persi nel 2019.

La pulizia in casa di Exor, dati i pessimi risultati, ha visto svalutare il marchio Repubblica di altri 61 milioni, dopo la tosatura di ben 70 milioni nel 2019. Oggi Repubblica vale a bilancio solo 80 milioni, quando solo 2 anni fa ne valeva oltre 200. Non solo, ma l’ad Scanavino ha messo le mani anche sui valori de La Stampa, Il Secolo XIX e i giornali locali del gruppo, riuniti nella divisione GNN. Le svalutazioni delle testate sono state l’anno scorso di 48 milioni, portando il totale delle rettifiche sulle testate di Gedi solo nel 2020 a 109 milioni di euro. Del resto se i giornali perdono copie e ricavi, i valori dei marchi a bilancio devono essere adeguati alla nuova realtà.

Repubblica perde oltre 80 milioni su 221 milioni di ricavi – Il bilancio della divisione Stampa Nazionale, quella che raggruppa Repubblica con tutta la serie degli inserti, più il settimanale L’Espresso, è quello che riserva le maggiori grane ai manager di Gedi. I soli costi tra generali e del lavoro hanno superato, a quota 224 milioni, i ricavi fermi a 221 milioni. Margine industriale quindi già in rosso con le svalutazioni su Repubblica che hanno portato il bilancio in rosso per 84 milioni su 221 milioni di fatturato. Ogni 100 euro incassati dalle vendite, più di 30 si trasformano in perdite secche.

Va solo un po’ meglio alla divisione Gnn che raggruppa i giornali locali, più La Stampa e Il Secolo. Qui su di un fatturato calato dell’11% a 205 milioni, i costi non superano le entrate e così i margini industriali riescono a essere positivi per 15 milioni. Ma le svalutazioni delle testate per 48 milioni e la perdita per 11 milioni dalla cessione di 4 testate locali portano il bilancio della divisione in rosso per 50 milioni. Nuova perdita dopo i 55 milioni persi nel 2019. L’unica realtà che mantiene l’utile di tutta Gedi sono le radio, (da Radio Deejay a Radio Capital a M20), ex punta di diamante quanto a profitti del gruppo. Nel 2020 anche le radio hanno però sofferto con i ricavi scesi del 30% e l’utile operativo che valeva 16 milioni nel 2019 tracollato a solo 1,2 milioni. In queste condizioni il progetto di separare e quotare la divisione Radio andrà per ora accantonato. Mentre invece dal 1 settembre i periodici, L’Espresso in testa, verranno scorporati e societarizzati in una nuova entità, preludio alla cessione o forse alla chiusura.

Per Gedi si chiude così un biennio nero della sua Storia recente. Quello a cavallo della vecchia gestione De Benedetti e quella nuova (da metà 2020) di Elkann. Un biennio il cui tratto significativo della grave crisi sono le svalutazioni delle testate. Repubblica in testa con 130 milioni di taglio di valore nel biennio seguita dai 120 milioni di svalutazioni su La Stampa e Il Secolo. 250 milioni in 24 mesi di valore bruciato nella crisi del crollo delle copie.

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