La famiglia scappò la prima volta quando il Paese era in mano ai Talebani: in esilio in Iran, il padre le insegnò ad andare in bicicletta. Tornata a Kabul dopo la caduta dell'Emirato, fu insultata e minacciata mentre pedalava per le strade della capitale. La seconda fuga in Francia, dove ha potuto allenarsi e centrare l'obiettivo di arrivare ai Giochi
Masomah Ali Zada è fuggita dall’Afghanistan per realizzare il sogno di gareggiare alle Olimpiadi in sella a una bicicletta. Una parabola arrivata fino a Tokyo e fatta di tante pedalate e tante difficoltà, soprattutto nel suo paese natale. Il motivo? È una donna. Proprio quella categoria su cui, adesso, si concentrano le principali preoccupazioni della comunità internazionale dopo la riconquista del Paese da parte dei Talebani.
Nata in Afghanistan l’11 marzo 1996, Masomah Ali Zada è di etnia Hazara, un gruppo che vive prevalentemente nella zona centrale del paese asiatico. Lo stesso di Hassan, uno dei protagonisti de Il cacciatore di aquiloni di Khaled Hosseini. Anche alla fine degli anni ’90 l’Afghanistan era in mano ai Talebani. Per Masomah, femmina e membro di una minoranza, il futuro è proibitivo. Così la famiglia decide di andare in esilio in Iran quando lei è ancora una bambina. Le cose però non vanno secondo i piani: lo status di rifugiato non viene rilasciato. La famiglia viene esclusa dalla società e discriminata. Per Masomah Ali Zada la certezza è una sola e ha le sembianze di una sella, due ruote e un manubrio. È infatti in Iran che suo padre insegna a lei e a sua sorella Zahra ad andare in bicicletta. Su quel semplice mezzo Masomah dimentica tutte le amarezze della sua realtà. Si sente libera di esprimersi.
Passa qualche anno e la famiglia torna in Afghanistan, a Kabul. L’Emirato è caduto, i Talebani non sono più al potere e Masomah può frequentare la scuola e allenarsi nella squadra nazionale di ciclismo femminile. Eppure i venti estremisti non si sono completamente estinti. Quando pedala per le strade della capitale afghana con lei non ci sono soltanto la fatica e la polvere, ma anche insulti, offese e lancio di uova o frutta. I conservatori non vogliono che una donna vada in bici. Il punto di rottura arriva quando Masomah viene investita da un autista e derisa, mentre il suo allenatore minacciato di morte.
Le cose cambiano nel 2016. Lei è una delle protagoniste del documentario “Les Petites Reines de Kaboul“, che mostra quanto sia difficile e immorale essere una ciclista nel paese afghano. La storia colpisce molte persone, soprattutto l’avvocato francese in pensione Patrick Communal, il quale contatta la Federazione ciclistica afghana. Masomah viene così invitata a partecipare a una gara nel sud della Francia in occasione della Giornata internazionale della donna 2016. Dalla gara si passa alla richiesta di asilo. In Afghanistan la situazione sta diventando nuovamente troppo pericolosa e così Masomah e la sua famiglia decidono di trasferirsi in Francia. Qui la ciclista comincia a studiare ingegneria civile all’Università di Lille e riceve una borsa di studio per atleti rifugiati del Cio. Adesso non solo è libera di allenarsi tranquillamente ma può anche realizzare il sogno di andare alle Olimpiadi: viene infatti inserita nella squadra dei rifugiati.
A Tokyo arriva ultima nella cronometro. Poco importa: “Mi sono detta – ha dichiarato a Eurosport dopo la gara – che sono già una vincente contro le persone che pensano che le donne non abbiano il diritto di andare in bicicletta. Ho partecipato ai Giochi Olimpici, quindi ho vinto“. “Un giorno – disse nel febbraio 2016 – il ciclismo deve diventare una tradizione. La squadra nazionale femminile di ciclismo vuole introdurre il ciclismo come una normale e comune tradizione per tutte le ragazze afghane”.