Durante la catastrofe della pandemia, la parola pseudoscienza è stata usata, invocata, urlata; talvolta ne abbiamo abusato. Pseudoscienza è il termine che descrive qualcosa che sembra scienza, ma è in qualche modo falso, fuorviante, non dimostrato e non dimostrabile. Comprende un elenco sterminato di attività, che vengono svolte sotto l’ombrello di pseudo-discipline come l’astrologia e la frenologia, l’ufologia e il creazionismo, la parapsicologia e l’eugenetica.
Definire che cosa renda questi campi “pseudo” – dal greco pseudés: falso, finto, mendace, fraudolento – è una questione abbastanza complessa. Trovare un criterio semplice che ci permetta di differenziare la pseudoscienza dalla scienza “genuina” è un problema ancora aperto. Ma è anche una questione urgente, vista la virulenza delle odierne controversie, dalla ostinata negazione del cambiamento climatico come conseguenza del riscaldamento globale, alla diffusione dei movimenti anti-vaccinazione e al sostegno di pratiche agricole esoteriche.
In tutte queste controversie si fa largo uso della parola pseudoscienza. Una clava sollevata sempre più di frequente dagli scienziati ortodossi. Quasi sempre a ragione, pensando al clima, ai vaccini, all’agricoltura. Ma si tratta dello stesso dardo rispedito al mittente da chi viene bollato quale pseudo-scienziato, in assenza di confini certi e di conoscenze del tutto sicure. Quale confine possiamo tracciare tra scienza e pseudoscienza?
Invero, le credenze marginali più frequentemente bollate come pseudoscienza nelle discussioni pubbliche e dai media – come l’alchimia, la percezione extrasensoriale o il terra piattismo – non preoccupano affatto gli scienziati attivi, sperimentali o teorici che siano. I sostenitori di queste credenze sono già molto lontani dai confini del mondo scientifico. E sono considerati affatto irrilevanti rispetto a qualsiasi questione legata al progresso del sapere.
Tuttavia, esiste una spessa frangia di confine, difficile da decifrare. Quando gli studiosi esplorano il confine tra scienza e pseudoscienza, costoro finiscono spesso per arrabattarsi in una disputa scientifica disciplinare. Anziché invocare dei principi epistemologici fondamentali, essi si nascondono dietro lo scudo della ricerca nel proprio campo, così come si è consolidata. E come viene normalmente praticata.
Gli accademici si rifugiano nel loro mondo chiuso. Un pianeta che stabilisce in modo spesso assiomatico gli approcci legittimi, distinguendoli rigorosamente da quelli illegittimi. La stessa attitudine dei peripatètici, gli scienziati devoti alla lezione aristotelica, nei confronti di Galileo Galilei che, in difesa del principio di Archimede, fu costretto a scrivere un bellissimo saggio, il Discorso intorno alle cose che stanno in sull’acqua (1612).
Secondo un recente, acuto articolo di Michael Gordin (professore di Storia Moderna e Contemporanea nella Princeton University) la scienza ufficiale produce necessariamente una serie di dottrine di scarto. Sono discipline che, in determinate condizioni, finiscono per essere riclassificate come pseudo. Poiché la demarcazione è inevitabile e i confini della frontiera scientifica sono dinamici, le università e gli enti di ricerca dovrebbero riflettere bene prima di decidere sul come, quando e perché queste trasformazioni possano avvenire.
Sarebbe bello se bastasse uno standard lineare di demarcazione, come il criterio di falsificabilità di Karl Popper. Purtroppo, questo brillante criterio non sempre funziona. Per esempio, i creazionisti fanno molte affermazioni falsificabili, come Gordin sottolinea. I criteri di demarcazione che usiamo nella pratica di tutti i giorni sono perciò regole ad hoc, dettami calibrati su standard fluttuanti.
Nel corso del tempo, il confine tra ciò che è scienza e ciò che non lo è affatto, è fortemente mutato. L’astrologia, per esempio, ha goduto di grande prestigio per lunghi secoli. Ancora nel XVI secolo era una scienza cardine, basata sulla raccolta di dati empirici organizzati da una matematica piuttosto sofisticata. Produceva previsioni dettagliate e godeva del munifico sostegno di ricchi mecenati. Pur contestata già nel secolo successivo, ci sono voluti secoli prima che uscisse dal dominio della filosofia naturale. L’attributo pseudoscientifico assegnato oggi all’astrologia, non è il frutto di principi assoluti, ma la naturale conseguenza del sapere scientifico contemporaneo, peraltro in continua evoluzione.
Talora l’appellativo di pseudoscienza viene impiegato in modo strumentale. Quante volte, all’inizio della mia carriera, ho ascoltato equiparare l’idrologia all’astrologia. Era una battuta diffusa tra gli idraulici tradizionali, che assimilavano la loro disciplina all’astronomia, difendendo così il loro traballante orticello dagli idrologi rampanti. Dopo 40 anni di sviluppo scientifico delle scienze della Terra e della tecnologia, in tutto il mondo l’idraulica è diventata oggi una disciplina ancillare, seppur fondamentale, inquadrata nel campo delle scienze idrologiche. E, in definitiva, fanno sorridere i distinguo tra idraulica e idrologia, se il sapere è sempre più transdisciplinare e sempre meno disciplinare.
Quanta terra di confine siamo disposti a tollerare in difesa della scienza? È una fascia incerta, frastagliata, mutevole, che differisce fortemente tra le diverse discipline, tra le istituzioni, perfino tra i singoli ricercatori. Come per tutte le azioni repressive, le scelte politiche influiscono sui criteri fondamentali per accettare un’ammissibile devianza (per poi chiamarla, pomposamente, innovazione se funziona) ovvero reprimere un inaccettabile deragliamento, del tutto fuori dai confini.
Chiamare pseudoscienza la frode scientifica, invece, è un grave errore: va chiamata truffa. Ma di questo parleremo più avanti.