di Carmelo Sant’angelo
Le ronde padane, la caccia al migrante, le spedizioni punitive nei campi rom, le aggressioni agli omosessuali, le bravate squadriste ai danni dei clochards sono solo porzioni di ghiaccio, che cascando dai fianchi dell’iceberg, sollevano la “marea nera”.
Non si tratta di “nostalgie” di patetici irriducibili né di squallido “folclore”, ma sotto i nostri occhi ribolle una mistura di sgradevoli miasmi antidemocratici, che serpeggiano nella nostra società. Una mefistofelica brodaglia composta da diversi ingredienti. L’elemento base è la “lunga crisi economica” ed i suoi cascami: aumento della disoccupazione; precarizzazione dei rapporti di lavoro; diminuzione del potere d’acquisto ecc.
Scenario determinato dalle ricette sbagliate dei tecnocrati di Bruxelles (vedi la lettera di Draghi e Trichet); dall’endemica e diffusa corruzione del Belpaese e dall’assenza di meritocrazia. Ciò ha prodotto una società frustrata e colma di rancore che, non sfociando in un duro conflitto sociale, spinge i singoli a cercare facili capri espiatori. Dalla denuncia dell’”invasione” dei migranti, radicalizzata nella malsana idea di una programmata “sostituzione etnica”, fino all’evocazione del “prima gli Italiani” anche per la gestione delle briciole del welfare amministrato dagli enti locali.
Il secondo ingrediente è di natura politica: la democrazia appare in crisi di fronte all’ingannevole efficacia del dispotismo. I traditori del dèmos si rallegrano del potere suppletivo affidato ai governi tecnici o presunti tali giustificandolo con pericolosi assiomi: le decisioni sono riservate ad una ristretta élite; il volere insindacabile di pochi discende dall’autorevolezza di un capo carismatico; l’imposizione è lo strumento di indirizzo della società; i problemi complessi sono semplificati e banalizzati al solo scopo di offrire soluzioni di forza.
La democrazia è avvertita come un orpello, la partecipazione democratica completamente svilita. Il terzo ingrediente, che rende sapida la minestra, è il “dado dei facilitatori”. Ha iniziato Silvio Berlusconi a sdoganare i missini, prosegue oggi Matteo Salvini a corteggiarli per sottrarli alle amorevoli cure della loro casa madre. Non si tratta di legittimazione, ma di occupazione di uno spazio politico a destra della destra. È una linfa giovanile, maleodorante di risentimento e d’intolleranza verso l’altro, che riempie le urne.
Nell’altra metà del campo, si è assistito ad una deprimente subalternità culturale. Il Pd ha dimenticato di approfondire nel suo statuto il valore dell’antifascismo. Il presidente Luciano Violante, seppur animato da nobili intenti, invitava tutti a riflettere sulle ragioni “dei vinti di ieri”, cioè dei giovani di Salò. Nel frattempo la “fake-sinistra” adottava un vocabolario d’emergenza, quello che ha connotato le campagne sui nomadi dell’allora sindaco Walter Veltroni, le disposizioni del pacchetto Minniti, per arrivare al demagogico “aiutiamoli a casa loro” di Matteo Renzi.
Tra i facilitatori gioca un efficace ruolo la stampa dei padroni, quella che, in questi giorni, ha deciso che la Lega sia un attore politico credibile, affidabile ed europeista. Sarebbe la Lega di Giancarlo Giorgetti e non quella degli eredi di Mario Borghezio. Si nascondono deliberatamente i fatti, auspicando che nel prossimo governo si possano tener fuori il M5S e FdI, per lasciar posto al trio delle meraviglie: Lega, Pd e Forza Italia, accompagnati dagli ascari che si aggregheranno alle truppe vittoriose.
I provvedimenti liberisti di questo governo; la giustizia denegata dall’improcedibilità; l’abdicazione del sindacato dal suo ruolo; il tifo dei giornali per le élites, non scelte né volute dal popolo, sono tutti elementi che faranno ribollire, nell’imminente futuro, la suddetta “marea nera”.
Non è, perciò, soltanto lo spettro del fascismo a dare corpo alle odierne angosce, ma sono le incongruenze del tempo presente a dare nuovo fiato ad un fascismo mai venuto meno nei quasi 80 anni di storia repubblicana, democratica e costituzionale.