di Roberto Del Balzo
Il tempo è prezioso, si sa. Così prezioso che non dovrebbe esistere passatempo al mondo incaricato di farlo passare più velocemente, o meglio senza alcuna consapevolezza. E con tutta questa estate addosso la memoria va a una notizia di qualche anno fa: personaggi col camice bianco e l’occhio incastrato in un microscopio, studiosi americani di cellule e statistiche, hanno anche stabilito che dentro al tempo si può misurare, con un semplice righello, la morte.
Già, perché anche se non la vediamo è lì, tra i secondi e i minuti, e ogni ora avanza inesorabilmente di due millimetri. Questo è il calcolo scientifico: 30 micrometri al minuto e una cellula va al creatore. Tutto il nostro affanno di vivere serve poco o nulla visto sopra in vetro o al microscopio. Il tempo passa e la morte ci raggiunge con costanza e perseveranza a partire da chissà quale parte del nostro corpo. Eppure. Eppure ci sono quei giorni dove non si pensa neppure al passatempo. Peggio. Ci sono giorni, magari quelli d’estate, quelli sognati durante l’anno di lavoro, che quando arrivano l’unica speranza che ci rimane è che passino in fretta. Nell’intimo, da qualche parte nel labirinto del nostro cervello, l’urgenza diventa quella di saltare oltre il tempo e tutti i suoi millimetri. Poco importa se ventiquattro ore sono quarantotto millimetri di morte che ci divora.
Illuminato da un sole feroce e bagnato non dal mare ma dall’umidità dell’afa, può capitare che il periodo più desiderato si faccia incubo a occhi aperti. Senza vergogna si espone tutto di noi stessi, quel tutto rimasto coperto un intero anno, quel tutto fatto di carne bianca e molle intorpidita da quasi due anni di pandemia. La vergogna quindi è poca e tanta la spavalderia di chi vuole costruirsi un’identità conforme alla regola, magari coprendosi – oltre che con il costume – anche con tatuaggi. E tutti quei millimetri di morte che avanza li abbronziamo e soffochiamo con creme grasse e olii luccicanti che si uniscono al sudore e nutrono i pesci destinati alla paranza per la panza con l’ombelico sporgente.
I quindici giorni d’ordinanza, le chiusure collettive di fabbriche, aziende e attività varie ci fanno scoprire non solo il corpo ma anche che siamo in tanti e andiamo tutti negli stessi posti a rubare l’ombra di qualcun altro, a fare la fila per mangiare qualsiasi cosa, a correre per occupare in spiaggia il maggior spazio possibile con ciabatte, palloni, teli e ombrelloni e creare così il proprio distanziamento. Quindici giorni dove il sospirato riposo diventa stanchezza e spossatezza e non certo per quei 720 millimetri di aldilà che si posano sul nostro corpo.
È tutta una discussione, vacanze in Italia, vacanze all’estero, tra rimproveri, incendi, green pass e il cambiamento climatico per cui un giorno ci sono 40 gradi e il giorno dopo trovi l’auto sfondata dalla grandine con una temperatura da inizio inverno. E Lucifero se la ride. Tutto si ribalta nel contesto che si vive. Il sogno diventa incubo e i tempi sono sempre sbagliati, in anticipo o in ritardo ma rimane che sono tutti tempi morti, magari di pochi millimetri.