“Sostenere che quando offri alle persone un reddito minimo va a finire che lavorano meno è del tutto pregiudiziale e smentito dai fatti. Se funzionasse così, come si spiega che i super ricchi continuano a lavorare nonostante possiedano miliardi?”. Guy Standing, economista inglese che insegna alla School of Oriental and African Studies dell’università di Londra, ha dedicato gran parte della vita accademica a studiare l’ipotesi di un reddito di base universale e capire come tradurla in realtà. I risultati dei progetti pilota condotti in tutto il mondo, racconta, sono univoci: chi si libera dall’incubo di pagare affitto, bollette e pasti e dalla necessità di accettare condizioni di sfruttamento non tende affatto a starsene “sul divano”. Quello può essere semmai un effetto collaterale di schemi di aiuto con condizioni troppo rigide, in cui ogni euro guadagnato viene sottratto dalla cifra versata dallo Stato. La soluzione è semplice: “Eliminare le condizionalità e andare verso il reddito universale”. Finanziarlo? Non è un problema: basta che ci sia la volontà politica, spiega a ilfattoquotidiano.it l’autore di Precari. La nuova classe esplosiva (Il Mulino, 2012) e Basic income and how we can make it happen (Penguin, 2017) subito prima del congresso internazionale del Basic income network (18-22 agosto). Questa edizione si svolgerà online ma è ospitata “virtualmente” dalla Scozia, la cui premier Nicola Sturgeon ha intenzione di introdurre il basic income nel suo Paese.

Professore, perché secondo lei è necessario arrivare a un reddito minimo universale? La pandemia l’ha reso più urgente?
Le ragioni di fondo sono etiche: è questione di giustizia. Reddito e ricchezza di ogni italiano, in fondo, dipendono da ciò che hanno realizzato le generazioni precedenti. Il reddito di base in questo senso sarebbe il dividendo della ricchezza collettiva del Paese. E’ anche questione di giustizia religiosa, e non a caso Papa Francesco si è detto a favore: Dio, per chi crede, ha dato a ogni individuo capacità e talenti differenti e il reddito di base compenserebbe chi ne ha ricevuti di meno. È questione di libertà: dà alle persone la possibilità di scegliere, di dire no a situazioni di estremo precariato e sfruttamento, di dedicarsi alla cura di parenti che ne hanno bisogno (anche quello è lavoro, anche se non pagato) o della comunità. Infine, è questione di sicurezza: ogni essere umano ha bisogno di una sicurezza di base, che quindi dovrebbe essere un diritto. Tutto questo è stato rafforzato dalla pandemia: non si può essere resilienti se manca quel minimo di sicurezza.

Come funzionerebbe?
L’idea di base è che ogni cittadino riceverebbe ogni mese una modesta somma che gli garantisca una certa sicurezza: abbastanza per pagare il cibo e l’affitto. Penso a circa 300 euro al mese per iniziare (la metà per i bambini), poi la cifra verrebbe aumentata mano a mano che i governi raccolgono le risorse per finanziare lo schema. Andrebbe a chiunque senza condizioni in termini di azioni da fare per ottenere il beneficio: sarebbe un diritto di cittadinanza. Quindi ovviamente lo riceverebbero anche i ricchi, ma tutto si riequilibrerebbe attraverso la tassazione. Le persone con disabilità avrebbero ovviamente pagamenti supplementari per sostenere i costi dell’assistenza.

Sembra la soluzione a molti problemi. Ma chi paga?
I governi hanno consentito alla disuguaglianza di aumentare a livelli senza precedenti negli ultimi 200 anni. E la disuguaglianza della ricchezza è aumentata molto più di quella dei redditi: una piccola minoranza, inferiore all’1% della popolazione, riceve miliardi e fa soldi pure mentre dorme, mentre un enorme numero di persone non hanno abbastanza per mangiare e pagare i conti. Quindi la risposta è: aumentando le tasse sui ricchi. Penso a una wealth tax dell’1-2% sui grandi patrimoni e ad una imposta sul valore fondiario. In più, visto che stiamo andando verso la distruzione ecologica, nel lungo periodo servono carbon tax che scoraggino dall’utilizzare le fonti fossili. Visto che però i poveri sarebbero penalizzati, perché in proporzione pagherebbero di più, occorre che i proventi vengano a loro volta usati anch’essi per finanziare il basic income. Infine vanno gradualmente rimossi i sussidi pubblici ai ricchi e alle grandi industrie. In breve: pagare il reddito di base non è difficile, se si vuole farlo.

In Italia le proposte di una patrimoniale e di un aumento della tassa di successione sono state poco discusse e rapidamente respinte dal governo…
È molto importante che i politici progressisti le propongano insieme al reddito di base. Devono dire: ne abbiamo bisogno per ridurre la disuguaglianza attraverso un basic income. Credo che in questo modo l’idea diventerebbe molto più attraente per il precariato, per i giovani, per le donne che con questa rete di sicurezza avrebbero maggiore possibilità di dire no agli abusi e alle relazioni violente. Ma ci sarebbero effetti positivi per tutti: un reddito minimo migliora la salute fisica e mentale riducendo il ricorso ai servizi sanitari, e in questo modo è benefico per l’economia e per la società nel suo insieme.

Dove è stato sperimentato il reddito di base? E con quali risultati?
Ci sono stati progetti pilota in Canada e in Finlandia e attualmente sono attive sperimentazioni in 45 città degli Stati Uniti, in Corea, in Scozia. C’è poi un grande pilota in India che coinvolge 6mila persone. L’evidenza mostra, come ho spiegato nei miei libri, che l’offerta di lavoro è aumentata e non diminuita. Le persone con una sicurezza di base hanno più fiducia in sé e più contatti con il mercato del lavoro e sono disposte a prendersi un rischio avviando una piccola attività. E’ scorretto e pregiudiziale dire lavorino di meno. Del resto, se fosse così perché i ricchi continuano a lavorare freneticamente anche se possiedono miliardi? Si lavora per passione, per seguire i propri interessi, migliorare i propri standard di vita. E’ un insulto all’intelligenza umana sostenere che le persone diventano improvvisamente pigre se viene dato loro abbastanza per vivere. Quello che cambia è che non occorre più accettare, per paura, un brutto lavoro pagato poco. Vuol dire che chi lo offre dovrà aumentare i salari: bene!

Come nasce allora la narrativa del “divano”, molto gettonata in Italia dagli oppositori del reddito di cittadinanza?
Il problema è che in Italia, in Gran Bretagna e in altri Paesi ci sono degli schemi di assistenza mal disegnati. Se dai soldi alle persone solo se sono povere, nel caso facciano uno sforzo per non esserlo più li perdono. Questo ovviamente è un forte disincentivo ad accettare lavori poco pagati, perché facendolo perderesti – in termini di benefit – quanto o forse più di quel che riceveresti come stipendio: è la cosiddetta trappola della povertà. E’ stupido, è una politica arbitraria e può incentivare il lavoro nero. Secondo me questo tipo di schemi basati sulla prova dei mezzi va gradualmente eliminato per andare verso il reddito minimo universale.

L’Italia ha appena ricevuto il primo anticipo sulle risorse del Recovery fund e ne sarà il primo beneficiario con 191 miliardi. Ma il piano di ripresa scritto dal governo Draghi creerà relativamente pochi posti di lavoro: solo 240mila, nelle stime della Commissione. Dov’è l’errore?
Il vostro governo è guidato da tecnocrati, Draghi è un ex banchiere, pensa agli interessi della finanza e alla stabilità finanziaria, non alla gente comune. In ogni caso io credo sia sbagliato focalizzarsi sulla crescita e sui posti di lavoro, meglio sarebbe utilizzare una parte dei soldi per finanziare un reddito minimo. Avrebbe molto più senso per gli italiani, che sono incredibilmente innovativi e inventivi: offrirebbe l’opportunità di liberare energie da utilizzare per lo sviluppo delle vostre comunità.

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