Afghanistan, da questo quadro desolante viene fuori un mondo meno sicuro
Si è tenuto questo martedì il Consiglio affari esteri in merito alla situazione in Afghanistan, dopo che i talebani hanno preso in mano le redini del Paese. L’Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha affermato che l’apertura di un canale di comunicazione con i talebani è l’unica via da seguire perché “i talebani hanno vinto la guerra”.
Così, mentre l’Ue inizia a valutare formule d’interazione con i talebani in nome delle logiche della “realpolitik” e in ossequio al principio di effettività, previsto dallo stesso diritto internazionale, anche a guerra persa, io continuo a pensare che la nostra prima responsabilità è quella di non abbandonare le forze secolarizzate, laiche e democratiche presenti nella società afghana e continuare asostenere la resistenza non violenta contro i talebani per un Afghanistan libero dal fondamentalismo, che anche in queste ore con coraggio continua a scendere in strada per protestare.
Al netto però di questa differenza di vedute, occorre essere onesti su quello che è successo. Non possiamo credere che un Paese grande il doppio dell’Italia e con una popolazione di poco inferiore a quella della Spagna sia caduto nella morsa d’islamisti fondamentalisti senza nessuna resistenza, in così poco tempo. Appare evidente che segmenti delle forze armate e della popolazione, dopo due invasioni straniere, quella sovietica del 1979 e quella americana del 2001, abbiano riconosciuto nell’offerta dei talebani elementi di una guerra patriottica di liberazione. Una guerra di liberazione, combattuta sotto le insegne dell’Islam più intransigente, elemento unificante per una società etnicamente divisa come quella afghana, ma anche elemento di differenziazione rispetto alla presenza militare straniera, di matrice materialista e cristiana. Da qui la scelta, di alcuni, di non resistere e non sacrificare la propria vita per combattere contro propri connazionali al servizio di un governo, considerato spesso come un “fantoccio” pilotato da potenze straniere e in preda alla più esasperante corruzione.
Questo ovviamente non riduce l’impatto della tragedia di questi giorni. Le immagini dell’aeroporto di Kabul sono lo specchio del dramma che stanno vivendo non solo chi rischia vendette e ritorsione, ma anche le migliaia di persone, come giovani o ceti medi emergenti, che specialmente nei centri urbani cosmopoliti, come la stessa Kabul, avevano vissuto una vita più simile alla nostra e a quella dei nostri figli, che non a quella dei mujaheddin sulle montagne. Per loro possiamo fare poco adesso, ma possiamo e dobbiamo chiedere la massima protezione dalla comunità internazionale per le persone afghane particolarmente vulnerabili, come donne, bambini, giornalisti, attivisti per i diritti umani, persone della comunità Lgbtqi+ e ovviamente cittadini afghani che hanno collaborato con missioni internazionali o esercitato responsabilità nel governo repubblicano del Paese.
Eppure, specialmente noi europei, rischiamo di leggere questa crisi nel modo errato. Non si tratta di una mera nuova emergenza umanitaria e migratoria e non sono stati messi in discussione solo una serie di libertà civili e diritti individuali da parte dei nuovi padroni del Paese. In Afghanistan, abbiamo assistito al crollo dello Stato, alla fine della Repubblica, e in questi termini occorre ragionare. Chi stamperà moneta in Afghanistan? Chi sta vigilando sulle riserve auree e sulle risorse finanziare dell’erario? Che fine faranno le attività bancarie private e i risparmi dei cittadini? Chi amministrerà la giustizia civile e penale? Chi vigilerà sui confini? Come saranno gestiti l’ordine pubblico e la sicurezza? L’esercito regolare sarà sciolto? Chi garantirà l’approvvigionamento alimentare? Chi sarà responsabile per la salute e per le misure di profilassi anti Covid-19? Chi garantirà la manutenzione delle infrastrutture, l’operatività della telecomunicazione e la sicurezza dei trasporti? Chi sosterrà poveri, indigenti, orfani e persone con bisogni speciali?
Tutte queste e tante altre domande sono ora senza risposta e solo i talebani potranno fornirne una. Da parte nostra, non possiamo che auspicare la promozione di nuove iniziative di dialogo attraverso un maggiore coordinamento con tutti gli attori regionali sotto l’egida delle Nazioni Unite, per il ritorno immediato a un ordine costituzionale che garantisca almeno la pacifica convivenza e la fornitura di servizi essenziali alla popolazione.
Non possiamo però dimenticare che gli stessi talebani, che ora hanno appreso il linguaggio politico di Washington e Bruxelles e convocano patinate conferenze stampa, sono gli stessi che garantirono protezione e tutela ad Al-Qaeda; che quando nel settembre 1996 presero Kabul, prelevarono l’ex presidente della Repubblica, il comunista Najibullah, per evirarlo, trascinandolo per la città legato a una jeep e infine ucciderlo; che nel marzo 2001 ordinarono la distruzione delle due statue del Buddha scolpite sulle pareti di roccia nella valle di Bamiyan; che nel 2012 spararono alla testa con armi da fuoco a Malala Yousafzai, giovanissima sostenitrice dei diritti delle donne e futuro premio Nobel per la pace; che si sono finanziati e continuano a finanziarsi attraverso produzione e vendita di oppio, che arriva spesso in occidente come eroina.
Serve dunque prudenza con i talebani, prudenza anche a integrarli nella comunità internazionale. Gli americani e la Nato sono stati umiliati ed espulsi dall’Asia centrale. Non una regione qualsiasi, ma la stessa che a livello geopolitico risulta essere parte integrante della teoria dell’Heartland di Mackinder, che individuava nel controllo di questa regione, da parte di una potenza, l’elemento fondamentale per influenzare i destini del mondo. Eppure, Russia e Cina hanno poco da festeggiare e penso che aspetteranno ancora prima di eventuali riconoscimenti formali.
La vittoria dei talebani è un fattore d’instabilità che rafforza la minaccia jihadista su tutto il versante meridionale per la Russia e minaccia militarmente tutte le repubbliche ex sovietiche della regione sotto l’influenza di Mosca, mentre la Cina, già alle prese con le etnie turcofone di religione islamica che vivono nel suo nordovest, vedrà ora bussare nuovamente la minaccia islamista ai suoi confini. Chissà se qualche investimento in più nella via della seta varrà il rischio e se il Pakistan, tradizionale alleato cinese, saprà far fruttare i suoi buoni uffici con il nuovo emirato, mitigando i problemi legati al terrorismo, al traffico di droga e alla circolazione incontrollata di armi.
Rimane ovviamente sul campo la cocente sconfitta occidentale. Una sconfitta degli Stati Uniti, ma anche dell’intera Nato che vede scosse ora nel profondo le sue stesse ragioni esistenziali. Cosa rimane di quei valori e di quelle libertà “atlantiche” messe per iscritto dal Presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt e dal primo ministro britannico Winston Churchill nell’agosto del 1941? Chi ci garantirà che gli Stati Uniti saranno fedeli agli obblighi del Trattato Nord Atlantico e non si ritireranno nel loro isolazionismo in nome di ragioni economiche o di politica interna quando invece altri partner avranno bisogno d’aiuto? Le nuove generazioni, nate da Seul a Baghdad, si fideranno più dell’Occidente e della sua parola? Occorre, dunque, una grande, seria e impietosa autocritica.
Il ritiro Nato non doveva intendersi come evacuazione dal Paese e fuga dai suoi problemi, bensì come avvio di una nuova fase di consolidamento istituzionale, stabilizzazione e sviluppo sostenibile dell’Afghanistan, che non doveva essere più mero compito degli Stati Uniti e dei suoi alleati, ma responsabilità dell’interna comunità internazionale tramite diretto intervento delle Nazioni Unite e un maggiore coinvolgimento sul campo delle vicine Russia, Cina e India, Iran e monarchie del golfo.
In questo anche la galassia progressista e democratica, a cui io stesso appartengo, ha fallito. La prova è il fatto che il Presidente Joe Biden ha garantito la totale continuità con le politiche repubblicane di Trump, supportando una lotta al terrorismo concepita come mera risposta militare, lasciando sul campo invariate tutte le cause scatenanti del fenomeno terroristico e del suo radicamento territoriale e sociale. Rivendicando come merito l’assenza di un piano per il futuro del paese asiatico e rinunciando a ogni ambizione di “State-building”, imperativo morale dopo una guerra d’invasione.
Il multilateralismo internazionale ha poi fallito doppiamente, con il disarmante silenzio e la goffa impotenza dell’Unione europea e delle Nazioni Unite, che si sono attivate con estremo ritardo, a Kabul caduta, per rilasciare mere prese di posizione formali e di circostanza. L’Ue perché divisa, debole nel suo assetto istituzionale e con scarse competenze in difesa e politica estera. Le Nazioni Unite perché in preda all’ennesimo stallo geopolitico consumato sulla vita delle persone.
Non può poi non farsi un riferimento all’imbarazzante dibattito politico italiano sulla situazione e alla non brillante performance del Governo Draghi, che non può che farci pensare alla differenza fra la classe di governo attuale e quella della Prima Repubblica. Penso a Sigonella con Craxi, ma anche al coraggio di Nenni, Saragat e Fanfani di lavorare al riconoscimento diplomatico della Cina comunista nonostante l’opposizione degli Stati Uniti e alla ferma opposizione all’adesione alla Nato del Partito comunista italiano, ma anche di Dossetti e Gronchi, quest’ultimo addirittura rappresentante della destra della Democrazia cristiana. Una differenza notevole con il dibattito attuale nella maggioranza di governo, da cui non abbiamo udito nessuna critica alla politica americana e Nato e che addirittura ora mette in discussione l’accoglienza dei rifugiati, un obbligo che viene dall’adesione dell’Italia alla Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati e che dovrebbe essere attuata, date le circostanze straordinarie e la peculiare posizione geografia dell’Afghanistan, da appositi corridoi umanitari verso l’Europa.
Da questo desolante quadro complessivo viene fuori un mondo meno sicuro, un’Europa debole, una presenza americana globale al tramonto e un’Italia poco influente. Da questo fallimento però, sono sicuro possa nascere una nuova speranza. Qui in Occidente, la speranza che possano essere ripensati gli strumenti di sicurezza internazionale collettiva, ad esempio superando i limiti attuali tramite una maggiore integrazione europea in tema di difesa e politica estera. A Kabul, la speranza che le nuove generazioni afghane, che sono andate a scuola e all’università, che conoscono l’inglese, che usano internet e i social network, che hanno letto e sviluppato una coscienza laica, non si arrendano mai alla supremazia della forza talebana. Sono sicuro che grazie a loro, l’impegno di questi vent’anni, costato più di 150.000 vittime tra la popolazione civile afghana, 3541 tra i soldati della coalizione e 53 tra quelli italiani, non sarà stato pagato invano.
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La Redazione
Milano, 12 feb. (Adnkronos) - Il conto in Olanda dove sono stati sequestrati i soldi versati da Massimo Moratti, nell'ambito di una truffa in cui è stato usato il nome del ministro della Difesa Massimo Crosetto, risulta intestato a più persone straniere su cui ora sono in corso gli accertamenti per verificarne l'esistenza e anche per capire eventuali collegamenti con altri soggetti. E' quanto si apprende da fonti investigative.
In particolare, da quanto emerge, sul conto olandese risultano versati i 980mila euro della truffa al presidente di Saras, soldi che il gruppo avrebbe tentato di spostare altrove, ma la tempistica non ha giocato a loro favore e il 'congelamento' del denaro è arrivato prima.
In attesa degli esiti delle rogatorie, si attendono già domani, in procura a Milano si continua a lavorare anche sui numeri telefonici usati per mettere a segno i plurimi tentativi di truffa - ora usando il nome del ministro o del suo staff - nei confronti del gotha dell'imprenditoria e della finanza.
Roma, 12 feb. (Adnkronos) - Sicurezza negli stadi, contrasto alla criminalità e prevenzione dei comportamenti illeciti. Sono le tematiche al centro del tavolo presieduto dai ministri dell’Interno e per lo Sport e i giovani, Matteo Piantedosi e Andrea Abodi che hanno incontrato i presidenti di Figc Gabriele Gravina, Lega serie A, Ezio Simonelli, Lega nazionale professionisti serie B, Paolo Bedin, Lega italiana calcio professionistico, Matteo Marani, Lega nazionale dilettanti, Giancarlo Abete. Presenti anche il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni, il capo della Polizia, Vittorio Pisani e il presidente dell’Osservatorio sulle manifestazioni sportive, Mario Improta.
La riunione è stata l’occasione per proseguire il confronto già avviato su proposte e iniziative da mettere in campo congiuntamente. L’obiettivo rimane quello di tutelare le tifoserie sane e di individuare in maniera chirurgica coloro che vanno allo stadio per attuare comportamenti criminali e violenti, assicurando un ambiente più sicuro e vivibile per tutti gli appassionati. Il tavolo ha anche discusso di azioni concrete per contrastare le scommesse illegali e per arginare il fenomeno della pirateria audiovisiva, sanzionando i fruitori dei contenuti illegali. Prossimo incontro tra un mese. Così una nota congiunta dei ministri dell'Interno e per lo Sport e i giovani.
Londra, 12 feb. (Adnkronos) - Non sarà consentito l'alcol ai Mondiali del 2034 in Arabia Saudita. Lo ha dichiarato l'ambasciatore saudita nel Regno Unito, il principe Khalid bin Bandar Al Saud. I tifosi che assisteranno al torneo non potranno trovare bevande alcoliche negli hotel, nei ristoranti o negli stadi. L'Arabia Saudita è un paese differente dal Qatar, dove l'alcol era disponibile in alcuni posti durante i Mondiali del 2022, e non ci saranno eccezioni per questo torneo. "Al momento, non consentiamo l'alcol", ha detto Al Saud a LBC.
"Ci si può divertire molto senza alcol, non è necessario al 100% e se vuoi bere dopo essere andato via, sei il benvenuto, ma al momento non abbiamo alcol. Un po' come il nostro clima, è un paese secco". L'Arabia Saudita è stata confermata come paese ospitante della Coppa del Mondo a dicembre, nonostante le preoccupazioni sui diritti umani. Alla domanda se i tifosi gay di calcio sarebbero stati al sicuro nel paese, Al Saud ha aggiunto: "Daremo il benvenuto a tutti in Arabia Saudita. Non è un evento saudita, è un evento mondiale. E in larga misura, daremo il benvenuto a chiunque voglia venire".
Roma, 12 feb. (Adnkronos) - Le attiviste del Referendum Cittadinanza hanno lanciato un appello via social alle artiste e agli artisti che in questi giorni si esibiranno sul palco del Festival di Sanremo: dire Sì all’Italia che riconosce tutte le sue figlie e tutti i suoi figli direttamente dall’Ariston. La cantante Giorgia e Brunori Sas sono stati i primi a rispondere all'appello e, insieme alle attiviste di ActionAid Utibe Joseph e Kejsi Hodo, hanno cantato il celebre brano di Toto Cutugno L'Italiano.
Gli artisti, poi, hanno ricevuto in dono un ciuccio con un nastrino tricolore da portare con sé sul palco, come simbolo di tutti quei figli e figlie d'Italia che non hanno ancora il riconoscimento della cittadinanza. Il referendum cittadinanza ha ricevuto l'ok dalla Corte Costituzionale lo scorso 20 gennaio insieme agli altri 4 quesiti sul lavoro promossi dalla Cgil. Andrà al voto in primavera.
Dopo la bocciatura del quesito sull'Autonomia la sfida del quorum si fa più ardua, ed è per questo che i promotori partono proprio dal più popolare spettacolo televisivo italiano per richiamare l'attenzione del Paese sull'appuntamento referendario. Il referendum cittadinanza è stato promosso da +Europa, Possibile, Dalla Parte Giusta della Storia, ActionAid, Libera, Arci, Italiani senza Cittadinanza, Conngi, insieme a una grande rete di oltre 70 organizzazioni.
Milano, 12 feb. (Adnkronos) - La competenza territoriale si radica a Milano, da qualunque lato si inquadri la questione. Lo sostiene la Cassazione nelle motivazioni sul caso Visibilia che vede indagata, tra gli altri, la ministra del Turismo Daniela Santanchè con l'ipotesi di truffa aggravata all'Inps in relazione alla cassa integrazione nel periodo Covid. Nel provvedimento, che segue la decisione dello scorso 29 gennaio, si rigetta la richiesta della difesa di considerare singole ipotesi di truffa (e non una truffa continuata) e di radicare la competenza a Roma.
Per il collegio della seconda sezione penale presieduta da Anna Petruzzellis - chiamato a rispondere alla questione sollevata dalla giudice delle indagini preliminari di Milano Tiziana Gueli - dato che la procura meneghina ha rilevato che l'ultima erogazione dei contributi è stata pagata a un dipendente in una banca nel Milanese, "deve essere affermata la competenza territoriale del Tribunale di Milano". Nell'indagine, coordinata dai pubblici ministeri Maria Giuseppina Gravina e Luigi Luzi, risultano coinvolti 13 dipendenti delle due società indagate, Visibilia Concessionaria srl e Visibilia Editore spa, che sarebbero stati messi in cassa integrazione a zero ore senza saperlo (e quindi continuando a lavorare) causando un 'danno' di oltre 126 mila euro versati dall'Inps.
"La soluzione - si legge nella decisione della Cassazione - non cambia nel caso in cui si voglia ancorare la competenza territoriale al momento della richiesta della cassa integrazione, posto che dalla documentazione prodotta in atti risulta che la richiesta è stata inviata alla sede Inps di Milano e che sempre la sede Inps di Milano ha autorizzato la cassa integrazione". Infine, a rafforzare la competenza territoriale il fatto che "avendo le società sede a Milano, il delitto di truffa si è comunque consumato a Milano, al momento della acquisizione dell’ingiusto profitto da parte delle società, che si realizza in concomitanza con la percezione dei contributo da parte dei lavoratori". L'udienza preliminare sul caso Visibilia riprenderà come da calendario il 26 marzo prossimo.
Roma, 12 feb. (Adnkronos) - L'aula della Camera ha approvato la proposta di legge recante 'modifiche alla disciplina della Fondazione Ordine costantiniano di San Giorgio di Parma'. I voti favorevoli sono stati 140, 84 quelli contrari e 3 gli astenuti.
Roma, 12 feb. (Adnkronos) - "Ho visto Sanremo ieri sera, erano anni che non lo vedevo, ma sono rimasto sveglio fino alle 2 per vedermelo tutto. Mi è piaciuto per la qualità espressa, è una vetrina italiana vera. Come ha detto Jovanotti è un po’ come Natale, capodanno, carnevale". Filippo Ricci, direttore creativo della Stefano Ricci Spa, ha commentato così con l'Adnkronos la prima serata del 75esimo Festival di Sanremo e gli outfit del conduttore Carlo Conti creati dalla maison.
Che emozione è stata vedere Carlo Conti con i vostri abiti in apertura del 75esimo Festival della Canzone italiana?
"Siamo abituati a palcoscenici internazionali, ma è la prima volta che saliamo con rispetto sul palco dell'Ariston, tra l'altro con il conduttore e direttore, e quindi è stata una bella emozione. Ero un po' in apprensione che questo outfit gli tornasse bene addosso in una serata movimentata. E' fatto tutto al 100% in Italia, su misura per Carlo, e c'è stato dietro un lavoro di ricerca, insieme a lui, dei tessuti e della costruzione dei modelli in questi mesi, quindi è stato parte proattiva della ricerca e dello sviluppo degli outfit per queste cinque serate", ha spiegato Filippo Ricci.
Che idea avete avuto nello sviluppo degli outfit? Ne utilizzerà uno a serata?
"L'idea che abbiamo avuto, sin dall'inizio, è stata quella di fare un percorso di sartorialità. Noterete che sono tutti outfit abbastanza rigorosi, anche se la qualità dei tessuti conferisce un senso di morbidezza. L'idea era di dare un concetto di eleganza senza tempo perché Sanremo appartiene alla cultura del Paese. Poi ieri sera abbiamo giocato con il colore, il midnight blu, questo blu notte che è ben diverso dal classico nero, anche se ci saranno degli outfit scuri in seguito. Non conosco la sequenza, visto che la deciderà lui con il proprio staff ogni sera. Sono tutti pronti e a disposizione, con un nostro sarto dedicato dietro le quinte. Carlo ha più scelte, ma credo userà un outfit a serata perché da quello che ho visto ieri, nel movimento veloce tra uno spazio e l'altro credo che voglia mantenere un ritmo serrato per le tempistiche sceniche sue".
Quali emozioni ci sono state durante la prima serata del Festival?
"E' stato bello vedere Papa Francesco e ascoltare il suo messaggio, credo che sia la prima volta nella storia del Festival, quindi anche solo quella è stata un'immagine potente. Poi Jovanotti ha provocato una scarica d’energia positiva, da re dell'entertainment", ha spiegato il direttore creativo della Stefano Ricci Spa.
Carlo Conti era preoccupato di non riuscire a valorizzare la classe e la modernità degli smoking, ci è riuscito?
"Ci è riuscito assolutamente, ha un bel portamento, e gli ho detto 'sei proprio un bel modello'. E' un uomo che sa stare sul palcoscenico e vestire dei capi sartoriali. Quello di ieri non era un capo semplicissimo, è una giacca smoking in velluto blu, tra l'altro quello è un jersey di velluto, quindi più morbido, ma lo vestiva molto bene, con i tre pezzi, e sotto aveva un gilet in lana coordinato con il pantalone mohair. Abbiamo voluto fare proprio il tocco estremo di sartorialità con tutto il bordino in raso che è stato fatto su tutto il revere. L'idea era quella di rispettare un percorso abbastanza classico della sartorialità italiana e fiorentina, perché se si va a vedere la spalla, è una vecchia scuola fiorentina il modo di realizzarla in maniera morbida, quindi la giacca è molto leggera".
Queste sera la seconda serata con nuove sorprese?
"Gli abiti sono smoking oppure giacche da cocktail, quindi ci sarà un'alternanza dove Carlo ha possibilità di scelta anche tra cravatta o papillon. Ci hanno scritto in molti sui social, anche dall’estero a conferma di una vetrina internazionale come Sanremo, proprio per avere questa informazione, ed è molto divertente. La cosa interessante è che ci arrivano messaggi da tutto il mondo, perché è il Festival della canzone italiana, è italianissimo, ma lo guardano in America, lo guardano gli italo-americani, lo guardano in Sud America, lo guardano a Est, e comunque la visibilità internazionale è importante. Questo è un palcoscenico di italianità che richiama la musica italiana in generale ma non solo", ha spiegato Filippo Ricci la cui maison vende in tutto il mondo.
I nostri mercati principali?
"Noi produciamo tutto in Italia, ma in Italia vendiamo poco. Noi vendiamo a clienti in tutto il mondo, con le nostre 82 boutique e in Italia ne abbiamo due a Firenze dove è anche la sede dell'azienda, due a Milano, uno a Porto Cervo. Tra i mercati più importanti gli Stati Uniti, le capitali del continente europeo come Londra e Parigi, al Middle East, Dubai, fino alla Cina. A Carlo Conti abbiamo fornito tutto l'outfit, dalle scarpe, alle camicie, e abbiamo anche fatto diversi capi sportivi per le conferenze stampa e gli altri impegni del Festival. Dalle giacche in maglia sportive con le sneaker più casual e abbiamo lavorato insieme per fargli provare un po' di tessuti anche particolari"ha concluso Filippo Ricci. (di Emanuele Rizzi)
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Andrea Cozzolino
Eurodeputato Pd
Mondo - 19 Agosto 2021
Afghanistan, da questo quadro desolante viene fuori un mondo meno sicuro
Si è tenuto questo martedì il Consiglio affari esteri in merito alla situazione in Afghanistan, dopo che i talebani hanno preso in mano le redini del Paese. L’Alto Rappresentante dell’Unione europea per gli affari esteri e la politica di sicurezza, Josep Borrell, ha affermato che l’apertura di un canale di comunicazione con i talebani è l’unica via da seguire perché “i talebani hanno vinto la guerra”.
Così, mentre l’Ue inizia a valutare formule d’interazione con i talebani in nome delle logiche della “realpolitik” e in ossequio al principio di effettività, previsto dallo stesso diritto internazionale, anche a guerra persa, io continuo a pensare che la nostra prima responsabilità è quella di non abbandonare le forze secolarizzate, laiche e democratiche presenti nella società afghana e continuare a sostenere la resistenza non violenta contro i talebani per un Afghanistan libero dal fondamentalismo, che anche in queste ore con coraggio continua a scendere in strada per protestare.
Al netto però di questa differenza di vedute, occorre essere onesti su quello che è successo. Non possiamo credere che un Paese grande il doppio dell’Italia e con una popolazione di poco inferiore a quella della Spagna sia caduto nella morsa d’islamisti fondamentalisti senza nessuna resistenza, in così poco tempo. Appare evidente che segmenti delle forze armate e della popolazione, dopo due invasioni straniere, quella sovietica del 1979 e quella americana del 2001, abbiano riconosciuto nell’offerta dei talebani elementi di una guerra patriottica di liberazione. Una guerra di liberazione, combattuta sotto le insegne dell’Islam più intransigente, elemento unificante per una società etnicamente divisa come quella afghana, ma anche elemento di differenziazione rispetto alla presenza militare straniera, di matrice materialista e cristiana. Da qui la scelta, di alcuni, di non resistere e non sacrificare la propria vita per combattere contro propri connazionali al servizio di un governo, considerato spesso come un “fantoccio” pilotato da potenze straniere e in preda alla più esasperante corruzione.
Questo ovviamente non riduce l’impatto della tragedia di questi giorni. Le immagini dell’aeroporto di Kabul sono lo specchio del dramma che stanno vivendo non solo chi rischia vendette e ritorsione, ma anche le migliaia di persone, come giovani o ceti medi emergenti, che specialmente nei centri urbani cosmopoliti, come la stessa Kabul, avevano vissuto una vita più simile alla nostra e a quella dei nostri figli, che non a quella dei mujaheddin sulle montagne. Per loro possiamo fare poco adesso, ma possiamo e dobbiamo chiedere la massima protezione dalla comunità internazionale per le persone afghane particolarmente vulnerabili, come donne, bambini, giornalisti, attivisti per i diritti umani, persone della comunità Lgbtqi+ e ovviamente cittadini afghani che hanno collaborato con missioni internazionali o esercitato responsabilità nel governo repubblicano del Paese.
Eppure, specialmente noi europei, rischiamo di leggere questa crisi nel modo errato. Non si tratta di una mera nuova emergenza umanitaria e migratoria e non sono stati messi in discussione solo una serie di libertà civili e diritti individuali da parte dei nuovi padroni del Paese. In Afghanistan, abbiamo assistito al crollo dello Stato, alla fine della Repubblica, e in questi termini occorre ragionare. Chi stamperà moneta in Afghanistan? Chi sta vigilando sulle riserve auree e sulle risorse finanziare dell’erario? Che fine faranno le attività bancarie private e i risparmi dei cittadini? Chi amministrerà la giustizia civile e penale? Chi vigilerà sui confini? Come saranno gestiti l’ordine pubblico e la sicurezza? L’esercito regolare sarà sciolto? Chi garantirà l’approvvigionamento alimentare? Chi sarà responsabile per la salute e per le misure di profilassi anti Covid-19? Chi garantirà la manutenzione delle infrastrutture, l’operatività della telecomunicazione e la sicurezza dei trasporti? Chi sosterrà poveri, indigenti, orfani e persone con bisogni speciali?
Tutte queste e tante altre domande sono ora senza risposta e solo i talebani potranno fornirne una. Da parte nostra, non possiamo che auspicare la promozione di nuove iniziative di dialogo attraverso un maggiore coordinamento con tutti gli attori regionali sotto l’egida delle Nazioni Unite, per il ritorno immediato a un ordine costituzionale che garantisca almeno la pacifica convivenza e la fornitura di servizi essenziali alla popolazione.
Non possiamo però dimenticare che gli stessi talebani, che ora hanno appreso il linguaggio politico di Washington e Bruxelles e convocano patinate conferenze stampa, sono gli stessi che garantirono protezione e tutela ad Al-Qaeda; che quando nel settembre 1996 presero Kabul, prelevarono l’ex presidente della Repubblica, il comunista Najibullah, per evirarlo, trascinandolo per la città legato a una jeep e infine ucciderlo; che nel marzo 2001 ordinarono la distruzione delle due statue del Buddha scolpite sulle pareti di roccia nella valle di Bamiyan; che nel 2012 spararono alla testa con armi da fuoco a Malala Yousafzai, giovanissima sostenitrice dei diritti delle donne e futuro premio Nobel per la pace; che si sono finanziati e continuano a finanziarsi attraverso produzione e vendita di oppio, che arriva spesso in occidente come eroina.
Serve dunque prudenza con i talebani, prudenza anche a integrarli nella comunità internazionale. Gli americani e la Nato sono stati umiliati ed espulsi dall’Asia centrale. Non una regione qualsiasi, ma la stessa che a livello geopolitico risulta essere parte integrante della teoria dell’Heartland di Mackinder, che individuava nel controllo di questa regione, da parte di una potenza, l’elemento fondamentale per influenzare i destini del mondo. Eppure, Russia e Cina hanno poco da festeggiare e penso che aspetteranno ancora prima di eventuali riconoscimenti formali.
La vittoria dei talebani è un fattore d’instabilità che rafforza la minaccia jihadista su tutto il versante meridionale per la Russia e minaccia militarmente tutte le repubbliche ex sovietiche della regione sotto l’influenza di Mosca, mentre la Cina, già alle prese con le etnie turcofone di religione islamica che vivono nel suo nordovest, vedrà ora bussare nuovamente la minaccia islamista ai suoi confini. Chissà se qualche investimento in più nella via della seta varrà il rischio e se il Pakistan, tradizionale alleato cinese, saprà far fruttare i suoi buoni uffici con il nuovo emirato, mitigando i problemi legati al terrorismo, al traffico di droga e alla circolazione incontrollata di armi.
Rimane ovviamente sul campo la cocente sconfitta occidentale. Una sconfitta degli Stati Uniti, ma anche dell’intera Nato che vede scosse ora nel profondo le sue stesse ragioni esistenziali. Cosa rimane di quei valori e di quelle libertà “atlantiche” messe per iscritto dal Presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt e dal primo ministro britannico Winston Churchill nell’agosto del 1941? Chi ci garantirà che gli Stati Uniti saranno fedeli agli obblighi del Trattato Nord Atlantico e non si ritireranno nel loro isolazionismo in nome di ragioni economiche o di politica interna quando invece altri partner avranno bisogno d’aiuto? Le nuove generazioni, nate da Seul a Baghdad, si fideranno più dell’Occidente e della sua parola? Occorre, dunque, una grande, seria e impietosa autocritica.
Il ritiro Nato non doveva intendersi come evacuazione dal Paese e fuga dai suoi problemi, bensì come avvio di una nuova fase di consolidamento istituzionale, stabilizzazione e sviluppo sostenibile dell’Afghanistan, che non doveva essere più mero compito degli Stati Uniti e dei suoi alleati, ma responsabilità dell’interna comunità internazionale tramite diretto intervento delle Nazioni Unite e un maggiore coinvolgimento sul campo delle vicine Russia, Cina e India, Iran e monarchie del golfo.
In questo anche la galassia progressista e democratica, a cui io stesso appartengo, ha fallito. La prova è il fatto che il Presidente Joe Biden ha garantito la totale continuità con le politiche repubblicane di Trump, supportando una lotta al terrorismo concepita come mera risposta militare, lasciando sul campo invariate tutte le cause scatenanti del fenomeno terroristico e del suo radicamento territoriale e sociale. Rivendicando come merito l’assenza di un piano per il futuro del paese asiatico e rinunciando a ogni ambizione di “State-building”, imperativo morale dopo una guerra d’invasione.
Il multilateralismo internazionale ha poi fallito doppiamente, con il disarmante silenzio e la goffa impotenza dell’Unione europea e delle Nazioni Unite, che si sono attivate con estremo ritardo, a Kabul caduta, per rilasciare mere prese di posizione formali e di circostanza. L’Ue perché divisa, debole nel suo assetto istituzionale e con scarse competenze in difesa e politica estera. Le Nazioni Unite perché in preda all’ennesimo stallo geopolitico consumato sulla vita delle persone.
Non può poi non farsi un riferimento all’imbarazzante dibattito politico italiano sulla situazione e alla non brillante performance del Governo Draghi, che non può che farci pensare alla differenza fra la classe di governo attuale e quella della Prima Repubblica. Penso a Sigonella con Craxi, ma anche al coraggio di Nenni, Saragat e Fanfani di lavorare al riconoscimento diplomatico della Cina comunista nonostante l’opposizione degli Stati Uniti e alla ferma opposizione all’adesione alla Nato del Partito comunista italiano, ma anche di Dossetti e Gronchi, quest’ultimo addirittura rappresentante della destra della Democrazia cristiana. Una differenza notevole con il dibattito attuale nella maggioranza di governo, da cui non abbiamo udito nessuna critica alla politica americana e Nato e che addirittura ora mette in discussione l’accoglienza dei rifugiati, un obbligo che viene dall’adesione dell’Italia alla Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati e che dovrebbe essere attuata, date le circostanze straordinarie e la peculiare posizione geografia dell’Afghanistan, da appositi corridoi umanitari verso l’Europa.
Da questo desolante quadro complessivo viene fuori un mondo meno sicuro, un’Europa debole, una presenza americana globale al tramonto e un’Italia poco influente. Da questo fallimento però, sono sicuro possa nascere una nuova speranza. Qui in Occidente, la speranza che possano essere ripensati gli strumenti di sicurezza internazionale collettiva, ad esempio superando i limiti attuali tramite una maggiore integrazione europea in tema di difesa e politica estera. A Kabul, la speranza che le nuove generazioni afghane, che sono andate a scuola e all’università, che conoscono l’inglese, che usano internet e i social network, che hanno letto e sviluppato una coscienza laica, non si arrendano mai alla supremazia della forza talebana. Sono sicuro che grazie a loro, l’impegno di questi vent’anni, costato più di 150.000 vittime tra la popolazione civile afghana, 3541 tra i soldati della coalizione e 53 tra quelli italiani, non sarà stato pagato invano.
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Milano, 12 feb. (Adnkronos) - Il conto in Olanda dove sono stati sequestrati i soldi versati da Massimo Moratti, nell'ambito di una truffa in cui è stato usato il nome del ministro della Difesa Massimo Crosetto, risulta intestato a più persone straniere su cui ora sono in corso gli accertamenti per verificarne l'esistenza e anche per capire eventuali collegamenti con altri soggetti. E' quanto si apprende da fonti investigative.
In particolare, da quanto emerge, sul conto olandese risultano versati i 980mila euro della truffa al presidente di Saras, soldi che il gruppo avrebbe tentato di spostare altrove, ma la tempistica non ha giocato a loro favore e il 'congelamento' del denaro è arrivato prima.
In attesa degli esiti delle rogatorie, si attendono già domani, in procura a Milano si continua a lavorare anche sui numeri telefonici usati per mettere a segno i plurimi tentativi di truffa - ora usando il nome del ministro o del suo staff - nei confronti del gotha dell'imprenditoria e della finanza.
Roma, 12 feb. (Adnkronos) - Sicurezza negli stadi, contrasto alla criminalità e prevenzione dei comportamenti illeciti. Sono le tematiche al centro del tavolo presieduto dai ministri dell’Interno e per lo Sport e i giovani, Matteo Piantedosi e Andrea Abodi che hanno incontrato i presidenti di Figc Gabriele Gravina, Lega serie A, Ezio Simonelli, Lega nazionale professionisti serie B, Paolo Bedin, Lega italiana calcio professionistico, Matteo Marani, Lega nazionale dilettanti, Giancarlo Abete. Presenti anche il sottosegretario all’Interno Nicola Molteni, il capo della Polizia, Vittorio Pisani e il presidente dell’Osservatorio sulle manifestazioni sportive, Mario Improta.
La riunione è stata l’occasione per proseguire il confronto già avviato su proposte e iniziative da mettere in campo congiuntamente. L’obiettivo rimane quello di tutelare le tifoserie sane e di individuare in maniera chirurgica coloro che vanno allo stadio per attuare comportamenti criminali e violenti, assicurando un ambiente più sicuro e vivibile per tutti gli appassionati. Il tavolo ha anche discusso di azioni concrete per contrastare le scommesse illegali e per arginare il fenomeno della pirateria audiovisiva, sanzionando i fruitori dei contenuti illegali. Prossimo incontro tra un mese. Così una nota congiunta dei ministri dell'Interno e per lo Sport e i giovani.
Londra, 12 feb. (Adnkronos) - Non sarà consentito l'alcol ai Mondiali del 2034 in Arabia Saudita. Lo ha dichiarato l'ambasciatore saudita nel Regno Unito, il principe Khalid bin Bandar Al Saud. I tifosi che assisteranno al torneo non potranno trovare bevande alcoliche negli hotel, nei ristoranti o negli stadi. L'Arabia Saudita è un paese differente dal Qatar, dove l'alcol era disponibile in alcuni posti durante i Mondiali del 2022, e non ci saranno eccezioni per questo torneo. "Al momento, non consentiamo l'alcol", ha detto Al Saud a LBC.
"Ci si può divertire molto senza alcol, non è necessario al 100% e se vuoi bere dopo essere andato via, sei il benvenuto, ma al momento non abbiamo alcol. Un po' come il nostro clima, è un paese secco". L'Arabia Saudita è stata confermata come paese ospitante della Coppa del Mondo a dicembre, nonostante le preoccupazioni sui diritti umani. Alla domanda se i tifosi gay di calcio sarebbero stati al sicuro nel paese, Al Saud ha aggiunto: "Daremo il benvenuto a tutti in Arabia Saudita. Non è un evento saudita, è un evento mondiale. E in larga misura, daremo il benvenuto a chiunque voglia venire".
Roma, 12 feb. (Adnkronos) - Le attiviste del Referendum Cittadinanza hanno lanciato un appello via social alle artiste e agli artisti che in questi giorni si esibiranno sul palco del Festival di Sanremo: dire Sì all’Italia che riconosce tutte le sue figlie e tutti i suoi figli direttamente dall’Ariston. La cantante Giorgia e Brunori Sas sono stati i primi a rispondere all'appello e, insieme alle attiviste di ActionAid Utibe Joseph e Kejsi Hodo, hanno cantato il celebre brano di Toto Cutugno L'Italiano.
Gli artisti, poi, hanno ricevuto in dono un ciuccio con un nastrino tricolore da portare con sé sul palco, come simbolo di tutti quei figli e figlie d'Italia che non hanno ancora il riconoscimento della cittadinanza. Il referendum cittadinanza ha ricevuto l'ok dalla Corte Costituzionale lo scorso 20 gennaio insieme agli altri 4 quesiti sul lavoro promossi dalla Cgil. Andrà al voto in primavera.
Dopo la bocciatura del quesito sull'Autonomia la sfida del quorum si fa più ardua, ed è per questo che i promotori partono proprio dal più popolare spettacolo televisivo italiano per richiamare l'attenzione del Paese sull'appuntamento referendario. Il referendum cittadinanza è stato promosso da +Europa, Possibile, Dalla Parte Giusta della Storia, ActionAid, Libera, Arci, Italiani senza Cittadinanza, Conngi, insieme a una grande rete di oltre 70 organizzazioni.
Milano, 12 feb. (Adnkronos) - La competenza territoriale si radica a Milano, da qualunque lato si inquadri la questione. Lo sostiene la Cassazione nelle motivazioni sul caso Visibilia che vede indagata, tra gli altri, la ministra del Turismo Daniela Santanchè con l'ipotesi di truffa aggravata all'Inps in relazione alla cassa integrazione nel periodo Covid. Nel provvedimento, che segue la decisione dello scorso 29 gennaio, si rigetta la richiesta della difesa di considerare singole ipotesi di truffa (e non una truffa continuata) e di radicare la competenza a Roma.
Per il collegio della seconda sezione penale presieduta da Anna Petruzzellis - chiamato a rispondere alla questione sollevata dalla giudice delle indagini preliminari di Milano Tiziana Gueli - dato che la procura meneghina ha rilevato che l'ultima erogazione dei contributi è stata pagata a un dipendente in una banca nel Milanese, "deve essere affermata la competenza territoriale del Tribunale di Milano". Nell'indagine, coordinata dai pubblici ministeri Maria Giuseppina Gravina e Luigi Luzi, risultano coinvolti 13 dipendenti delle due società indagate, Visibilia Concessionaria srl e Visibilia Editore spa, che sarebbero stati messi in cassa integrazione a zero ore senza saperlo (e quindi continuando a lavorare) causando un 'danno' di oltre 126 mila euro versati dall'Inps.
"La soluzione - si legge nella decisione della Cassazione - non cambia nel caso in cui si voglia ancorare la competenza territoriale al momento della richiesta della cassa integrazione, posto che dalla documentazione prodotta in atti risulta che la richiesta è stata inviata alla sede Inps di Milano e che sempre la sede Inps di Milano ha autorizzato la cassa integrazione". Infine, a rafforzare la competenza territoriale il fatto che "avendo le società sede a Milano, il delitto di truffa si è comunque consumato a Milano, al momento della acquisizione dell’ingiusto profitto da parte delle società, che si realizza in concomitanza con la percezione dei contributo da parte dei lavoratori". L'udienza preliminare sul caso Visibilia riprenderà come da calendario il 26 marzo prossimo.
Roma, 12 feb. (Adnkronos) - L'aula della Camera ha approvato la proposta di legge recante 'modifiche alla disciplina della Fondazione Ordine costantiniano di San Giorgio di Parma'. I voti favorevoli sono stati 140, 84 quelli contrari e 3 gli astenuti.
Roma, 12 feb. (Adnkronos) - "Ho visto Sanremo ieri sera, erano anni che non lo vedevo, ma sono rimasto sveglio fino alle 2 per vedermelo tutto. Mi è piaciuto per la qualità espressa, è una vetrina italiana vera. Come ha detto Jovanotti è un po’ come Natale, capodanno, carnevale". Filippo Ricci, direttore creativo della Stefano Ricci Spa, ha commentato così con l'Adnkronos la prima serata del 75esimo Festival di Sanremo e gli outfit del conduttore Carlo Conti creati dalla maison.
Che emozione è stata vedere Carlo Conti con i vostri abiti in apertura del 75esimo Festival della Canzone italiana?
"Siamo abituati a palcoscenici internazionali, ma è la prima volta che saliamo con rispetto sul palco dell'Ariston, tra l'altro con il conduttore e direttore, e quindi è stata una bella emozione. Ero un po' in apprensione che questo outfit gli tornasse bene addosso in una serata movimentata. E' fatto tutto al 100% in Italia, su misura per Carlo, e c'è stato dietro un lavoro di ricerca, insieme a lui, dei tessuti e della costruzione dei modelli in questi mesi, quindi è stato parte proattiva della ricerca e dello sviluppo degli outfit per queste cinque serate", ha spiegato Filippo Ricci.
Che idea avete avuto nello sviluppo degli outfit? Ne utilizzerà uno a serata?
"L'idea che abbiamo avuto, sin dall'inizio, è stata quella di fare un percorso di sartorialità. Noterete che sono tutti outfit abbastanza rigorosi, anche se la qualità dei tessuti conferisce un senso di morbidezza. L'idea era di dare un concetto di eleganza senza tempo perché Sanremo appartiene alla cultura del Paese. Poi ieri sera abbiamo giocato con il colore, il midnight blu, questo blu notte che è ben diverso dal classico nero, anche se ci saranno degli outfit scuri in seguito. Non conosco la sequenza, visto che la deciderà lui con il proprio staff ogni sera. Sono tutti pronti e a disposizione, con un nostro sarto dedicato dietro le quinte. Carlo ha più scelte, ma credo userà un outfit a serata perché da quello che ho visto ieri, nel movimento veloce tra uno spazio e l'altro credo che voglia mantenere un ritmo serrato per le tempistiche sceniche sue".
Quali emozioni ci sono state durante la prima serata del Festival?
"E' stato bello vedere Papa Francesco e ascoltare il suo messaggio, credo che sia la prima volta nella storia del Festival, quindi anche solo quella è stata un'immagine potente. Poi Jovanotti ha provocato una scarica d’energia positiva, da re dell'entertainment", ha spiegato il direttore creativo della Stefano Ricci Spa.
Carlo Conti era preoccupato di non riuscire a valorizzare la classe e la modernità degli smoking, ci è riuscito?
"Ci è riuscito assolutamente, ha un bel portamento, e gli ho detto 'sei proprio un bel modello'. E' un uomo che sa stare sul palcoscenico e vestire dei capi sartoriali. Quello di ieri non era un capo semplicissimo, è una giacca smoking in velluto blu, tra l'altro quello è un jersey di velluto, quindi più morbido, ma lo vestiva molto bene, con i tre pezzi, e sotto aveva un gilet in lana coordinato con il pantalone mohair. Abbiamo voluto fare proprio il tocco estremo di sartorialità con tutto il bordino in raso che è stato fatto su tutto il revere. L'idea era quella di rispettare un percorso abbastanza classico della sartorialità italiana e fiorentina, perché se si va a vedere la spalla, è una vecchia scuola fiorentina il modo di realizzarla in maniera morbida, quindi la giacca è molto leggera".
Queste sera la seconda serata con nuove sorprese?
"Gli abiti sono smoking oppure giacche da cocktail, quindi ci sarà un'alternanza dove Carlo ha possibilità di scelta anche tra cravatta o papillon. Ci hanno scritto in molti sui social, anche dall’estero a conferma di una vetrina internazionale come Sanremo, proprio per avere questa informazione, ed è molto divertente. La cosa interessante è che ci arrivano messaggi da tutto il mondo, perché è il Festival della canzone italiana, è italianissimo, ma lo guardano in America, lo guardano gli italo-americani, lo guardano in Sud America, lo guardano a Est, e comunque la visibilità internazionale è importante. Questo è un palcoscenico di italianità che richiama la musica italiana in generale ma non solo", ha spiegato Filippo Ricci la cui maison vende in tutto il mondo.
I nostri mercati principali?
"Noi produciamo tutto in Italia, ma in Italia vendiamo poco. Noi vendiamo a clienti in tutto il mondo, con le nostre 82 boutique e in Italia ne abbiamo due a Firenze dove è anche la sede dell'azienda, due a Milano, uno a Porto Cervo. Tra i mercati più importanti gli Stati Uniti, le capitali del continente europeo come Londra e Parigi, al Middle East, Dubai, fino alla Cina. A Carlo Conti abbiamo fornito tutto l'outfit, dalle scarpe, alle camicie, e abbiamo anche fatto diversi capi sportivi per le conferenze stampa e gli altri impegni del Festival. Dalle giacche in maglia sportive con le sneaker più casual e abbiamo lavorato insieme per fargli provare un po' di tessuti anche particolari"ha concluso Filippo Ricci. (di Emanuele Rizzi)