L’obiettivo era ricostruire un Paese dalle fondamenta e dalle macerie della storia. A partire dalle infrastrutture. In Afghanistan l’Agenzia governativa italiana per la cooperazione (Aics) dal 2016 a oggi si è occupata di molti progetti: risorse e fatica investite forse, a questo punto, per nulla. Storia di uno spreco che parte da lontano. Il grosso dei cantieri progettati, infatti, rischia di non vedere mai la consegna a causa del nuovo cambio di leadership nel Paese. A partire dal collegamento stradale tra Kabul e Bamiyan – area famosa per i Buddha distrutti dai Talebani nel marzo 2001 – che non è ancora stato completato. Ufficialmente tutti i carteggi avviati da Aics risultano ancora attivi, ma un enorme punto interrogativo grava sul futuro. E già prima del ritorno degli “studenti coranici” le prospettive non erano incoraggianti. Oltre ai lavori generali e alla manutenzione, il problema principale sono gli assalti dei predoni lungo il percorso: bande di criminali comuni o gruppi legati agli stessi Talebani che la rendono insicura.
“L’opera non è ancora stata completata, ma consentirebbe di collegare i due centri in un paio di ore invece di impiegarne una decina abbondanti a causa del tortuoso percorso montagnoso”, spiega Rossella Monti che ha lavorato in Aics Afghanistan fino alla primavera del 2018 nel settore ‘infrastrutture’ prima di passare alle Nazioni Unite e alla sua attuale missione a Gibuti. I progetti delle opere principali li ha curati lei: “Strade, ma anche ferrovie, aeroporti, opere necessarie per aprire il Paese e farlo uscire dalla sacca di isolamento in cui è stato relegato. Lo sviluppo della rete delle comunicazioni è una delle chiavi. Negli anni Aics ha lavorato con personale molto qualificato che credeva nel cambiamento dell’Afghanistan. Oggi quelle persone, giovani tra 28 e 40 anni, sono in pericolo e andrebbero aiutate a scappare dal Paese: sono professionisti da valorizzare. Ora sono in pericolo”. A livello infrastrutturale Aics negli anni ha progettato e lavorato a interventi per centinaia di milioni di euro. Il budget degli ultimi anni sfiora i 400 milioni di euro. Nello specifico si ricordano le opere nell’area di riferimento della provincia di Herat. A partire dalla trasformazione dell’aeroporto militare della città in sito civile, per una spesa di 30 milioni di euro, non andata a termine. Ancora da finire il collegamento viario da Herat al confine occidentale con l’Iran, un tracciato di 90 chilometri per oltre 92 milioni di euro, mentre vanno meglio le cose per l’analogo collegamento ferroviario, una spesa di 68 milioni di euro. Nessuna di queste opere, tuttavia, risulta attiva al momento.
L’altro capitolo di primaria importanza per la nostra cooperazione in Afghanistan è la sanità. L’Italia non ha eretto nuovi ospedali, ma potenziato quelli esistenti e soprattutto attivato una miriade di servizi sempre nella provincia di Herat e a Kabul. Il dottor Arif Oryakhail è scappato dall’Afghanistan a causa dei Talebani. In Italia ha studiato e si è laureato per poi tornare, nel 2004, nel suo Paese d’origine guidando la struttura settoriale di Aics. Lunedì, assieme al collega del settore agricoltura/ruralità Pietro Del Sette, è rientrato a Fiumicino. “Aics ha un budget per la sanità di circa 30 milioni di euro e con quelle risorse abbiamo sistemato una serie di reparti dell’ospedale regionale di Herat”, racconta. “In particolare ci tengo a ricordare il centro ustioni per curare una delle pratiche più drammatiche in Afghanistan: le donne che si immolano, spesso con i figli in braccio, per farla finita a causa delle condizioni di vita. Ma poi anche la chirurgia, il pronto soccorso, abbiamo ammodernato le apparecchiature, fatto formazione. Parte delle risorse sono state dedicate al servizio di soccorso delle ambulanze, il nostro 118, costruendo stazioni di emergenza nel territorio, acquistando nuovi mezzi. Penso poi ai progetti sulla malnutrizione, la vaccinazione, la violenza sulle donne. Infine la realizzazione della cardiochirurgia pediatrica all’ospedale Indira Ghandi a Kabul: siamo oltre la metà dell’opera e il personale sanitario è già stato formato. Tutti i progetti non sono chiusi e se è necessario io sono pronto a tornare a Kabul per coordinare il tutto. I Talebani? Temo il peggio, non sono cambiati rispetto al 1996: tempo due mesi e faranno piazza pulita di tutto”.
Uno dei settori con il budget più risicato di Aics in Afghanistan, ma di elevata importanza sociale, è quello della giustizia. Per anni, fino alla primavera 2019, se n’è occupato Federico Romoli, oggi operativo per l’Unione Europea e pronto alla missione nella sede di Islamabad in Pakistan: “Il nostro compito ai tempi di Aics è stato quello di fornire supporto per ricostruire il settore della giustizia in un Paese complesso che si è dato una nuova Carta Costituzionale, la settima della storia moderna”, spiega Romoli, in Afghanistan già dal 2006. “Dalla realizzazione di tribunali e uffici giudiziari alla costruzione di gruppi di lavoro per scrivere le nuove leggi, dalla formazione di giudici e avvocati ai contatti diretti col ministero competente fino alla mobilia e alle fotocopie. Cosa accadrà ora? Difficile dirlo a caldo. Molti articoli del testo del 2004, di stampo moderno e occidentale, non credo piaceranno agli Studenti Coranici. Intanto so che la situazione tra i nostri collaboratori a Kabul è molto difficile, si assiste a scene deliranti. Personale e famiglie, in tutto un centinaio di persone, si spera possano essere aiutati ad andare in Italia”.