Malala Yousafzai è sopravvissuta ai talebani pakistani e ora si batte perché venga assicurato il diritto all'istruzione in tutto il mondo. Teme per il futuro delle cittadine afghane e si rivolge ai Paesi confinanti e le organizzazioni umanitarie: "Chiedono protezione". Il suo intervento sul New York Times
“Come molte donne, temo per le mie sorelle afghane”. Lo scrive Malala Yousafzai, attivista globale per l’istruzione e Nobel per la pace, in un intervento sul New York Times ripreso da Repubblica. Malala, sopravvissuta ai talebani pachistani, è preoccupata che il regime talebano in Afghanistan possa mettere fine a molti diritti fondamentali delle donne, tra cui quello all’istruzione. Negli ultimi vent’anni “milioni di donne e bambine afghane hanno ricevuto un’istruzione”, scrive. Ora “il futuro che è stato promesso loro è vicino a svanire“.
L’esclusione dalla scuola Malala l’ha vissuta sulla propria pelle, quando i talebani hanno preso il controllo della sua città natale, Swat, in Pakistan, nel 2007: “Vietarono a tutte le bambine di andare a scuola“. Cinque anni dopo, continua, “quando avevo 15 anni, i talebani cercarono di uccidermi per aver difeso pubblicamente il mio diritto di andare a scuola”. Le bambine e le ragazze afghane, scrive l’attivista, “si trovano di nuovo nella situazione in cui mi sono trovata io“, in preda alla “disperazione all’idea di vedersi negare la possibilità di entrare in un’aula scolastico o tenere un libro in mano“. Dall’Afghanistan, intanto, giungono già i primi segnali del cambiamento che i talebani vogliono imporre alla vita di milioni di donne, “studentesse cacciate dall’università e lavoratrici mandate via dagli uffici”, continua Yousafzai. Come il caso che ha visto coinvolta Shabnam Dawran, nota giornalista e presentatrice della tv di Stato afghana, che è stata allontanata dal suo luogo di lavoro.
Le potenze regionali “devono contribuire attivamente alla protezione di donne e bambini”, continua Malala, “i Paesi confinanti devono aprire le loro porte per salvare vite umane e consentire ai bambini profughi di iscriversi nelle scuole locali”. “Le organizzazioni umanitarie devono allestire scuole temporanee in campi e insediamenti”, aggiunge, rimarcando l’importanza di rimandare le discussioni su “quello che non ha funzionato nella guerra” e mettere in primo piano l’ascolto “delle voci delle donne e delle bambine afghane”: “Chiedono protezione, istruzione, libertà e il futuro che erano stati promessi loro”, conclude la premio Nobel, “non possiamo continuare a deluderle. Non abbiamo tempo da perdere”.