Il Consiglio dei Ministri è stato impegnato nell’ultimo anno ad impugnare le leggi regionali che ridimensionavano due Parchi – il Parco dei Monti Simbruini nel Lazio e quello del Sirente-Velino in Abruzzo – perché in contrasto con la Legge quadro sulle Aree Protette. Inoltre, ha dovuto impugnare anche la legge della Regione Puglia di istituzione dei parchi naturali regionali di Costa Ripagnola e del Mar Piccolo di Taranto perché prevedevano tutele minori di quelle del relativo Piano Paesaggistico (ricordiamo che la Puglia è una delle poche regioni italiane ad avere un Pptr).
Queste leggi possono considerarsi inquietanti attacchi alla Legge quadro sulle Aree Protette (6 dicembre 1991, n. 394) e ai pochi Piani Paesaggistici vigenti e pertanto vanno stigmatizzate, ma si tratta di una tendenza al ribasso delle tutele, presente anche in altre leggi regionali che affrontano trasversalmente la gestione del territorio. Si va dalle semplificazioni alle modifiche e deroghe agli strumenti urbanistici, fino all’esonero dai procedimenti autorizzativi previsti per legge.
Il Cdm con una lunga e dettagliata argomentazione ha impugnato la legge della Regione Abruzzo che riduceva di 6.500 ha il Parco Regionale Sirente-Velino, mettendo in evidenza come talune disposizioni si pongono in contrasto con la normativa statale in materia di aree naturali protette e in materia di ordine pubblico e sicurezza e violano gli articoli 117, 2° comma lettera g), h), l) e s) della Costituzione, richiamando in proposito numerose sentenze della Corte Costituzionale. L’impugnativa del Governo ha evidenziato con estrema chiarezza le illegittimità: dal mancato coinvolgimento degli Enti locali alla violazione del Piano per la Tutela dell’Orso Marsicano (che potrebbe determinare anche procedure di infrazione da parte della Unione Europea) e delle norme in vigore nei Siti Natura 2000, fino al contrasto con il Piano Paesistico attualmente vigente.
Infine, nel caso pugliese, il Cdm ha ravvisato nella normativa regionale, laddove disciplina gli interventi consentiti all’interno dei parchi in modo difforme e peggiorativo rispetto alla disciplina contenuta nel Pptr vigente, la violazione dell’articolo 145 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, in contrasto con la competenza esclusiva statale in materia di tutela del paesaggio di cui all’articolo 117, 2° comma, lett. s) della Costituzione. Nell’impianto del sistema nazionale della tutela del paesaggio, infatti, il Piano Paesaggistico si pone quale piano direttore generale, sovraordinato a tutti gli altri strumenti di pianificazione territoriale, sia urbanistica, sia settoriale.
Emerge in particolare una criticità di fondo nell’impostazione delle suddette leggi regionali: quella di affidare la conservazione della natura, bene comune che riguarda l’intera collettività regionale e nazionale, a logiche puramente localistiche, proprio quello che le Associazioni ambientaliste hanno sempre cercato di contrastare e che è stato il motore propulsivo della Legge Quadro sulle Aree Protette del 1991. Le impugnative del Cdm esplicitano proprio questo concetto: la disciplina delle aree protette rientra nella competenza esclusiva dello Stato e le Regioni possono soltanto determinare maggiori livelli di tutela, ma non derogare alla legislazione statale.
Tra l’altro, la più volte menzionata legge n. 394 del 1991 non si limita, per l’appunto, a dettare standard minimi uniformi finalizzati a tutelare soltanto i parchi e le riserve naturali nazionali, ma impone anche un nucleo minimo di tutela del patrimonio ambientale rappresentato dai parchi e dalle riserve naturali regionali, che vincola il legislatore regionale nell’ambito delle proprie competenze.
Le impugnative che censurano le numerose leggi regionali che si pongono in contrasto con l’articolo 9 e 117 della Costituzione in materia di tutela dell’ambiente, dell’ecosistema, del paesaggio e dei beni culturali sono in crescita in questi anni, come documentato nell’infografica del Cdm, Dipartimento per gli Affari Regionali e le Autonomie. Un dato preoccupante, che comporta costi sociali e amministrativi inaccettabili.