Le conseguenze, di Caoilinn Hughes (traduzione di Anna Mioni, revisione di Federica Aceto; Pessime Idee), nominato miglior libro dell’anno da The Irish Times, Irish Independent, Sunday Independent, Irish Sunday Times, Fashion Journal, Extra.ie & Sydney Morning Herald, considerato uno dei cinquanta grandi romanzi irlandesi del ventunesimo secolo da The Times, è una storia di amore, odio, morte e perdita che disegna uno splendido affresco territoriale e umano.

Siamo all’inizio del nuovo millennio. Manus, un agricoltore di una contea dell’Irlanda centrale decide di investire un capitale convinto che i figli porteranno avanti l’azienda di famiglia, ma durante la crisi economica del 2008 tutto va a scatafascio e Manus, ammalatosi di cancro, decide di non curarsi e cerca tracce, nei libri sacri, del suicidio. Analizzando la dimensione conservatrice dell’Irlanda riguardo alle decisioni sulla vita e sulla morte dei singoli individui, l’autrice traccia una storia memorabile, scritta splendidamente e che segue un plot affatto scontato, dove i nodi narrativi emergono all’improvviso come dossi che tengono il lettore aggrappato alle pagine.

Cose impossibili di tutti i tipi, di John McGahern (traduzione di Stefano Friani, introduzione di Colum McCann; Racconti Edizioni), è una magnifica raccolta sulla filosofia dell’andare e ritornare che rappresenta una delle caratteristiche dello spirito irlandese. John McGahern, maestro scomodo della letteratura dell’Irlanda rurale, autore de Il pornografo, una delle grandi opere dedicate all’ossessione del sesso, in queste dodici storie narra di campi all’imbrunire, di padri ottusi, di figli senza aspettative che cercano fortuna in città, di cacciatori giunti al loro ultimo incontro terreno, di anziani che ricordano sbiadite passeggiate attorno a un lago, di commercianti di bestiame, di bare che tornano dalla Corea bellica, di pinte di birra che si svuotano e di nuovo vengono riempite. Il linguaggio di McGahern è semplice, funzionale, magnetico, impavido, capace di raccontare un Paese e gli uomini che lo abitano senza cadere nei luoghi comuni e nel facile buonismo.

Tokyo riconquistata, di David Peace (traduzione di Marco Pensante; Il Saggiatore), si snoda attraverso tre periodi storici: quello dell’occupazione americana post-Seconda guerra mondiale, quello frenetico della celebrazione delle Olimpiadi del 1964 e quello del lutto nazionale dopo la notizia della malattia dell’Imperatore. La linea che unisce questo trittico temporale è un evento storico realmente accaduto: a Tokyo, il 6 luglio 1949, il corpo di Sadanori Shimoyama, presidente delle Ferrovie giapponesi incaricato di licenziare migliaia di dipendenti, viene ritrovato sui binari della linea Joban, dilaniato dal passaggio di un treno. Grazie alla conoscenza dei luoghi (David Peace vive nella capitale giapponese da anni), l’autore inglese regala ai lettori l’ultimo vivido capitolo della trilogia dedicata a Tokyo, usando un ritmo di scrittura estremo, accurato e allucinato, dove le parole vengono consumate in una ripetizione quasi ossessiva, riuscendo a dare musicalità archetipale a un’inquietante storia di cronaca.

Sparando all’elefante e altri scritti, di George Orwell (a cura di Stefano Guerriero; Edizioni E/O), sono sei testi diversi tra loro, ma che fanno emergere, ognuno a modo suo, le principali tematiche dello scrittore inglese. La rivendicazione della motivazione politica nella scrittura, il rapporto tra politica e letteratura, un vademecum su come andrebbero e non andrebbero scritte le storie, le riflessioni su come si formano i pregiudizi, l’analisi sul nazionalismo, testi brevi sulla diretta esperienza nella Birmania coloniale: sono diverse le strade intraprese da Orwell per far risaltare il proprio punto di vista sulle situazioni del quotidiano e sul pensiero umano. Sparando all’elefante e altri scritti è un piccolo gioiellino che propone le notevoli capacità espressive di uno degli autori fondamentali del Ventesimo secolo.

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