Khalida Popal è un’istituzione dello sport mondiale. È infatti la capitana della prima nazionale di calcio femminile nella storia dell’Afghanistan che ha esordito nel 2008, ed è fondatrice e direttrice dell’associazione Girl Power Organization per promuovere attraverso lo sport l’uguaglianza sociale nel Paese. Fino al 2001, anno della caduta del primo regime talebano, le donne non potevano partecipare a nessuno sport, nemmeno andare in bicicletta. Popal e tante altre donne hanno creato un movimento che ha rivoluzionato il Paese, permettendo a tante ragazze di mettersi in gioco arrivando persino a rappresentare l’Afghanistan nelle competizioni internazionali. Ora, con il nuovo dominio dei talebani, tutte queste sportive e attiviste temono per il proprio futuro sportivo e personale, e per la vita delle loro compagne di squadra.
“Oggi telefonerò e dirò loro di bruciare o sbarazzarsi delle loro uniformi della squadra”, dice Popal a Reuters, riferendosi alle sue giocatrici. Negli anni il suo impegno ha portato alla nascita della prima federazione calcistica femminile, l’Afghan Football League, e che ancora oggi è sotto la protezione e il sostegno della Fifa. Ma gli eventi delle ultime settimane hanno sconvolto la sua vita e quella di tantissime altre attiviste impegnate nella loro lotta per i diritti. “È doloroso per me”, dice Popal, “e per chiunque abbia fatto il possibile per ottenere quello stemma sul petto, il diritto di giocare e rappresentare la nostra nazione“. “Le ragazze sono spaventate”, spiega la capitana, “non solo le giocatrici, ma anche le attiviste. Sono tutte spaventate di sentire, in ogni momento, bussare alla porta”. Dalla Fifa, intanto, un portavoce ha espresso “preoccupazione e vicinanza” per la situazione che ha travolto le calciatrici, scrive The Guardian, promettendo “supporto e aiuto” nei mesi che verranno
Le ragazze della nazionale afghana non sono le uniche sportive che si sentono minacciate dai talebani. Una fonte vicina al team afghano del ciclismo ha diffuso una nota che invita a non postare nulla sui social. “Nessuno può garantire per la loro vita”, ha detto la fonte al The Guardian, “La libertà che avevano di salire in sella a una bici non sarà più possibile… Sono scioccate e hanno paura”. Alcune cicliste, riporta il quotidiano britannico, temono che i talebani le costringano a vendere la propria bicicletta: “Prego perché il Paese possa essere un posto sicuro per le donne come noi, specialmente per chi vuole continuare ad andare in bici”, ha riferito un membro della nazionale di ciclismo, “ma sono abbastanza sicura che i talebani non permetteranno mai alle donne di studiare, lavorare, avere un lavoro”. “Quindi com’è possibile che ci permetteranno di andare in bici?”, conclude la ciclista, “Non lo faranno. Ci spareranno“.
“I talebani hanno promesso di permettere alle ragazze di istruirsi sotto la legge della Sharia”, commenta invece al New York Times l’imprenditrice tecnologica Roya Mahboob, fondatrice del primo team afghano di robotica. La squadra di robotica dell’Afghanistan, chiamata Afghan Dreamers, è un gruppo di ragazze tra i 12 e i 18 anni che si impegnano nell’ingegneria meccatronica e nelle invenzioni tecnologiche. L’anno scorso, per combattere la pandemia da Covid-19, hanno creato il prototipo di un ventilatore sanificante formato da parti di automobili. Ora le ragazze che a differenza di alcune compagne non hanno concluso i loro studi in Qatar, e sono rimaste in Afghanistan, guardano con apprensione il loro futuro: “Dobbiamo aspettare e vedere cosa significa”.