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Afghanistan: pesa il ruolo dell’Unione europea, ancora incapace di una politica coesa

di Paolo Di Falco

Negli ultimi giorni, malgrado promesse e accordi, dall’Afghanistan arrivano video e immagini raccapriccianti che cercano di smascherare quei “talebani moderati” che mostrano la loro faccia migliore all’Occidente tutto, riunitosi ad assistere alla presa di Kabul, all’Occidente che guarda i volti di tutte quelle persone a cui aveva offerto istruzione, lavoro, democrazia e che ora vengono lasciate al triste ritorno di un medioevo mai del tutto sconfitto.

Talebani che, da un lato, si fanno intervistare da giornaliste in diretta televisiva e, dall’altro, girano a Herat “casa per casa”, non per trovare i loro elettori alla Enrico Berlinguer, ma per scovare le nubili tra i 16 e i 45 anni da dare in sposa ai loro uomini, per scovare i nemici e le giornaliste da far tacere, così come la ventiseienne Malala Maiwand, giustiziata a dicembre nella provincia di Nangarhar insieme al suo autista.

Talebani che promettono di rispettare la libertà di stampa quando i numeri e le parole ci dicono ben altro: dal 1994 sono ben 51 i giornalisti uccisi così come solamente tre mesi fa gli stessi avevano minacciato i giornalisti schierati a favore del precedente governo di dover “affrontare le conseguenze” delle loro azioni.

A promettere non sono solo i talebani, ma anche il presidente americano Joe Biden che, solamente pochi giorni prima della presa di Kabul, si ostinava a ripetere che: “Non ci sarà nessuna circostanza in cui vedrete persone sollevate dal tetto dell’ambasciata degli Stati Uniti in Afghanistan”. Il presidente si riferiva alle tragiche immagini della caduta di Saigon del 1975, immagini che sono state sicuramente superate nella tragedia umana di Kabul: persone pronte a tutto per imbarcarsi su quei voli della salvezza che portano lontano dalla legge islamica, persone pronte ad aggrapparsi anche alle ruote degli aerei e che abbiamo visto precipitare dal cielo di Kabul, madri pronte a rinunciare ai loro bambini per condurre almeno i più piccoli lontano dal nuovo regime afghano.

Promesse che alla fine lasciano il tempo che trovano e che dopo un ventennio sembrano ridicole a tal punto che, invece di preoccuparci della situazione attuale, è già iniziato lo scaricabarile per trovare il responsabile di questa che non è una semplice disfatta, ma rappresenta la fine per milioni di persone che abbiamo illuso e che adesso abbiamo abbandonato in balìa di narcotrafficanti e fiancheggiatori di terroristi.

A pesare in questo scenario è anche il ruolo dell’Unione europea incapace di adoperare una politica estera univoca e coesa: è molto più conveniente giocare un ruolo di subalternità alle decisioni statunitensi in modo da non assumersi responsabilità. Quell’Unione europea che, davanti al ritiro statunitense e forte della presenza sul territorio inglese e italiana, avrebbe potuto intervenire, avrebbe potuto scendere in campo e farsi garante della transizione non solo pacifica ma umana, una transizione di potere dove i diritti umani dovevano essere messi al primo posto. Invece ha deciso di seguire le mosse statunitensi senza voce in capitolo e iniziativa, in modo da lasciare campo libero agli interessi cinesi e russi e concentrarsi già sulla distribuzione dei profughi afghani che riusciranno a fuggire.

Tema su cui va anche segnalato il trionfo dell’ipocrisia nostrana: se davanti ai video diffusi in rete la condanna dietro le proprie bandierine politiche è stata bipartisan, adesso si iniziano già ad alzare le barricate per non accogliere quelle stesse persone. È il caso dell’Austria che continua addirittura con i rimpatri forzati in Afghanistan. Così sulla stessa scia, indifferenti alla catastrofe umanitaria che si sta abbattendo sullo Stato afghano dai noi abbandonato, anche i patrioti di casa nostra tra qualche giorno cambieranno idea.

L’unica certezza in questo circo di promesse e ipocrisia restano le 3,5 milioni di donne e, secondo le stime dell’Unicef, gli oltre dieci milioni di minori che hanno bisogno di assistenza umanitaria e che stiamo condannando a una vita senza istruzione, a una vita senza futuro, al ritorno del medioevo dominato dalla sharia, così come prima del 2001 quando alle donne non solo era vietato lo studio e il lavoro, ma dovevano uscire di casa rigorosamente sepolte dentro a un burqa e con un accompagnatore maschio. Un medioevo dove le adultere vengono lapidate e l’omosessualità viene punita con la pena di morte: ecco cosa si nasconde dietro a quei talebani moderati che si divertono a bordo delle macchinine dell’autoscontro.

Ecco perché la gente è disposta a fuggire preferendo la morte a una vita del genere, ecco perché non basta un semplice mea culpa per giustificarci da quello a cui abbiamo condannato quell’Afghanistan in cui ci eravamo promessi di portare i diritti umani.