Dal primo novembre le aziende hi-tech non potranno più raccogliere e utilizzare gran parte dei dati personali dei cittadini cinesi. È questa la prima e rigida legge sulla privacy e la “protezione delle informazioni personali” approvata in Cina dal Comitato permanente dell’Assemblea nazionale del popolo. Una decisione che avrà effetti considerevoli sulle compagnie tech e la loro possibilità di profilare gli utenti a fini di marketing, e che ha già avuto ripercussioni sulle borse finanziarie di tutta Asia. Va detto che sinora quella della gestione dei dati personali in Cina era una sorta di jungla dove colossi come Alibaba o Tencent, ma non solo, hanno fatto più o meno quello che volevano approfittando dell’assenza di una infrastrutture normativa sulla materia. Pechino interviene insomma a colmare una lacuna regolatoria che effettivamente esiste. Immediata la reazione dei titoli coinvolti. La borsa di Hong Kong, finestra da cui la Cina si affaccia sui mercati internazionali, ha chiuso in calo dell’ 1,8% spinta al ribasso dai tecnologici. Alibaba ha perso un altro 2,6%, Meituan (servizi di consegna a domicilio) il 4,5%. Dallo scorso febbraio il listino Hang Seng ha ridotto la sua capitalizzazione di un quinto.

La legge, modellata sul Regolamento generale sulla protezione dei dati dell’Unione europea, tra le più severe al mondo per il comparto online, vieta “la raccolta, l’uso, l’elaborazione, la trasmissione, la divulgazione e la commercializzazione illegali delle informazioni personali” a tutte le organizzazioni o soggetti che gestisce i dati personali degli utenti in Cina. La norma è stata varata dopo l’ultimo caso di “raccolta e uso illegale di informazioni personali” che ha coinvolto alcune società cinesi come Didi, l'”Uber cinese”, e Tencent (che gestisce tra l’altro il social wechat, ndr), ritenute colpevoli di usare impropriamente i dati dei loro clienti. L’intervento si inquadra in una più ampia azione di “contenimento” nei confronti dei colossi cinesi del web avviata da Pechino dallo scorso autunno. Come sa bene Jack Ma, patron di Alibaba ed ex uomo più ricco del paese, che dopo aver profferito improvvide parole nei confronti del governo cinese (“gestisce il sistema bancario come un banco dei pegni”) è stato ricondotto a più miti consigli dagli interventi delle autorità nei confronti del suo gruppo.

La normativa, mai diffusa prima dell’approvazione, prevede anche che i dati personali non possano essere usati per la profilazione degli utenti per migliorare le strategie di marketing. In questo senso, le aziende non potranno fissare prezzi diversi per lo stesso servizio in base alla cronologia degli acquisti seguita dei clienti, che è una pratica comune tra le compagnie online cinesi. E i dati personali dei cittadini cinesi non potranno essere trasferiti in Paesi con standard di sicurezza inferiori alla Cina, costituendo un serio problema per le imprese straniere, a partire da quelle Usa. Le compagnie che non si conformano alle indicazioni possono incorrere in multe fino a 50 milioni di yuan (7,6 milioni di dollari) o il 5% del fatturato annuo. I trasgressori gravi, inoltre, rischiano di perdere le licenze commerciali e di essere costretti a chiudere.

Tra i dati personali sensibili da mantenere privati ci sono anche le informazioni che, se trapelate, possono portare a “discriminazione o minacciare seriamente la sicurezza delle persone”: razza, etnia, religione, dati biometrici o dove si trova una persona. Ma secondo alcuni analisti politici del Wall Street Journal la nuova legge difficilmente limiterà l’uso diffuso della sorveglianza da parte del governo, con la vasta rete di telecamere e sistemi di riconoscimento facciale presenti in tutto il Paese: dispositivi utilizzati proprio per raccogliere dati biometrici e per verificare le identità dei cittadini in metropolitana, negli uffici e nelle scuole.

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