Pechino ha deciso di fermare un terminale del gigantesco scalo di Ningbo-Zhoushan dopo un caso di Covid. Insieme ai prezzi aumentano i ritardi nelle consegne, mentre 350 navi cargo attendono il loro turno per attraccare in banchina. Situazione che aggrava i problemi delle filiere produttive alle prese con la crescita della domanda innescata dalla ripartenza. Boom di utili per le compagnie marittime
Nei primi 6 mesi del 2021 la compagnia di trasporti navali tedesca Hapag-Lloyd ha realizzato quasi il triplo dei profitti dei 10 anni precedenti. Due miliardi e 700 milioni di euro, contro 900 milioni. Nello stesso periodo il valore di borsa del concorrente danese Maersk è raddoppiato. Risultati spettacolari che accomunano i grandi operatori del settore ma che non sorprendono se si considera che spedire un singolo container dalla Cina all’Olanda nell’ottobre del 2020 costava 2mila dollari, oggi 14mila, sette volte tanto. Se si guarda alla rotta Cina – Stati Uniti si sale fino ad oltre 20mila dollari. E raramente il servizio è impeccabile. Anzi, i ritardi delle consegne sono in aumento, in media si attende il carico quasi 3 giorni più del dovuto. In porti come Los Angeles, il più trafficato degli Stati Uniti, si sale a 6 giorni. Prima della pandemia (ottobre 2019) il ritardo medio non superava la mezza giornata.
La congestione affligge tutti i principali scali marittimi del globo. In questo momento ci sono circa 350 gigantesche porta-container che aspettano il loro turno per l’attracco. Una quarantina aspettano nelle acque di Los Angeles. Davanti ai soli porti cinesi, che movimentano una larga fetta degli scambi globali via mare, sono fermi 130 vascelli. In alcuni casi si tratta di navi sottoposte a quarantena in quanto precedentemente transitati dall’India. Altre attendono l’esito dei tamponi, resi obbligatori per gli equipaggi. La pandemia è il principale fattore di rallentamento, soprattutto su questa sponda del Pacifico. Anche perché, alle prese con la risorgenza del virus in alcune zone del paese, Pechino non usa mezze misure. Venerdì scorso uno dei terminal del porto di Ningbo-Zhoushan, il terzo più trafficato al mondo, è stato chiuso dopo che un solo lavoratore è risultato positivo. Secondo caso quest’anno in cui le autorità cinesi adottano soluzioni tanto draconiane.
E così mentre il volume degli scambi globali è tornato ai livelli pandemia (ma non abbastanza da recuperare i mesi “persi) la logistica marittima ancora non scorre a pieno regime. Problema che contribuisce ad esacerbare la carenza di materiali e i ritardi nelle forniture che molte imprese lamentano. A fronte di una domanda che spinge, chi offre il servizio di trasporto può permettersi di farlo pagare a peso d’oro. Molte aziende hanno contatti a lungo termine con i trasportatori e che quindi bloccano il costo del servizio, salvandosi da questa ondata di rincari che si scarica invece sui contratti “spot”, occasionali. Tuttavia nell’insieme il prezzo dei trasporti è salito in media del 46% negli ultimi sei mesi. Se spedire merci via mare costa di più e per un periodo di tempo prolungato, presto o tardi ci saranno ricadute sul costo finale dei prodotti e dunque una spinta all’inflazione. Scenario che, al momento, non desta particolari preoccupazioni in Europa, dove l’andamento dei prezzi al consumi, seppur in rialzo, pare sotto controllo, quanto piuttosto negli Stati Uniti dove il tasso di inflazione è ormai al 5,4%. Qualcuno già paventa conseguenze in vista del prossimo “black friday” il venerdì di fine novembre in cui i bilanci dei commercianti tornano in “nero” (e quindi in attivo) grazie alle super promozioni e al boom di vendite.
A spingere la domanda di prodotti non c’è solo la ripresa dell’attività economica e dei consumi. C’è anche un ripensamento sul modello produttivo adottato da molte aziende. La pandemia ha insegnato che affidarsi ad un modello “just in time” esasperato, in cui i magazzini sono perennemente vuoti e i pezzi arrivano esattamente nel momento in cui devono essere montati, comporta dei rischi. E che quindi qualche scorta da parte è meglio avercela. Cosa dobbiamo attenderci? Secondo gli esperti è difficile che la situazione possa tornare rapidamente alla normalità. I più ottimisti parlano di inizio 2022. Gradualmente l’eccesso di domanda verrà smaltito, i magazzini non dovranno più essere riempiti. Alcune aziende faranno di necessità virtù, affidandosi a filiere produttive geograficamente meno estese e sfilacciate.
Gettando lo sguardo ancora più lontano c’è però una considerazione importante che viene evidenziata da alcuni analisti. In questi decenni il trasporto via mare è un meccanismo che ha funzionato, quasi alla perfezione. Tanto da essere sostanzialmente silente. Ad assicurare fruibilità e sicurezza delle rotte è stata la marina statunitense che con le sue flotte ha presidiato, dalla fine della 2a guerra mondiale, tutti i punti strategici delle vie marittime. Dallo stretto di Hormuz a Gibilterra, inclusi i punti critici più prossimi alla Cina. Non è detto che questa “pax marittima” non possa subire qualche incrinatura in un futuro prossimo, anche alla luce delle crescenti aspirazioni cinesi di “ri cacciare” la Us Navy più lontana dalle proprie coste.