Solo nell'ultimo anno le coltivazioni sono aumentate del 37%. Dalla coltivazione di oppio proviene in questo momento la principale fonte di sostentamento dei Talebani e, in fondo, del paese. Quasi due milioni le persone che gravitano intorno a questo settore. L'azione di contrasto di Usa e alleati non ha prodotto nessun risultato apprezzabile, anzi, in alcuni casi è risultata controproducente
Tra le tante promesse dei Talebani una delle più inverosimili è probabilmente quella della rinuncia ai proventi della coltivazione dei papaveri da oppio. Da cui derivano anche eroina e morfina. Ne avrebbero forse le capacità, nel 2000 avevano praticamente azzerato la produzione riducendo l’offerta di eroina a livello globale del 75 per cento. Ma, in questo momento, fare a meno di questo flusso di denaro, al momento il 65% delle entrate dei Talebani, è impensabile. Senza aver accesso alle riserve di dollari (depositate presso strutture esterne al paese e bloccate) con i finanziamenti internazionali, per ora, sospesi, oppio e narcotraffico sono l’unica significativa fonte di introiti su cui possono davvero contare le milizie al potere. Che ora devono governare, e sfamare, 38 milioni di afgani se vogliono avere una qualche possibilità di consolidare la posizione conquistata.
“Nel 2000 i Talebani riuscirono effettivamente ad abbattere la produzione di oppio. Lo fecero nel tentativo di ottenere un qualche riconoscimento sul piano internazionale”, spiega Fabrizio Foschini, membro dell’Afghanistan Analysts Network, che precisa: “Fu però un’azione di breve durata. Già l’anno successivo la produzione tornò a crescere. L’ambito riconoscimento non era arrivato e sui talebani si intensificarono le pressioni delle comunità di coltivatori”. Nel frattempo, nota Foschini, l’economia dell’oppio afgano si è molto evoluta ed organizzata. Oltre la metà dei raccolti viene ormai raffinata all’interno del paese che dunque esporta soprattutto il prodotto finito, principalmente eroina. Non sono più coinvolti solo i coltivatori ma fasce di popolazione ad ogni livello. “Tuttavia mi aspetto che i Talebani proveranno ad utilizzare di nuovo questa leva negoziale per accreditarsi e che cercheranno di limitare la produzione. Tra il 2019 e il 2020 è molto aumentata, provocando una sovrabbondanza di offerta e dunque un crollo dei prezzi dell’oppio grezzo. Penso che tenteranno di limitare questa sovrapproduzione, sostenendo così i prezzi e dunque incontrando l’apprezzamento dei produttori, i contadini di alcune province del Sud che costituiscono un’importante base sociale per il movimento”.
Afghanistan e Sud Est asiatico sono i motori del traffico mondiale dell’eroina. La cocaina è invece appannaggio del Centro e Sud America. Dal solo Afghanistan proviene l’85% dell’oppio consumato nel mondo e i proventi della coltivazione valgono la metà dell’intero Prodotto interno lordo del Paese, ossia una decina di miliardi di dollari. Quasi 600mila afgani sono occupati in questo settore e si stimano in 2 milioni le persone che sopravvivono grazie a queste coltivazioni. Nell’ultimo anno i campi di papaveri afgani sono aumentati del 37% raggiungendo una superficie di 224mila ettari, suddivisi in 21 delle 34 province del paese.
Helmand e Kandahar, province nel Sud Ovest del paese al confine con il Pakistan, sono le principali zone di raccolto. Attraverso l’Iran (rotta balcanica) oppio ed eroina raggiungono le piazze europee. Dal Sud, via Pakistan, arrivano in Canada, Usa e Australia. Nell’ultimo decennio (il boom delle coltivazioni da oppio risale al periodo dell’occupazione sovietica negli anni ’80) il paese ha avviato anche la commercializzazione di efedrina, da cui si ottiene metanfetamina, potente stimolante. La sostanza viene estratta dalla efedra sinica, pianta che gradisce l’habitat afgano. A differenza dell’oppio l’efedrina è in larga misura destinata al solo mercato iraniano, paese in cui le autorità si trovano a fronteggiare una vera e propria epidemia giovanile di abuso di questa sostanza. “L’economia dell’oppio è un po’ l’ancora di salvezza di larghe fasce di popolazione. Quando le cose vanno male si torna a coltivare papaveri che garantiscono delle entrate”, spiega Foschini. “Le zone dove si produce di più sono anche roccaforti talebane nel paese, in particolare l’Helmand è una sorta di “piccola capitale” del movimento talebano, uno dei primi territori che è riuscito a riconquistare stabilmente in Afghanistan dopo l’intervento Nato. Qui tutti sono in qualche modo implicati nell’economia dell’oppio, a cominciare dalle autorità politiche”, conclude.
Cosa è successo in questi 20 anni di occupazione statunitense? Poco, anzi meno: dal 2001 ad oggi le coltivazioni di oppio sono aumentate del 340%. Tra il 2008 e il 2011 si è registrata una limitata flessione. Dal 2013 le coltivazioni e le produzioni tornano a salire, impennandosi dal 2015. Già a quest’epoca i Talebani avevano il controllo del 40% del territorio afgano. Un altro dato è molto eloquente: la quantità di oppio sequestrata dal 2008 al 2018 è stata pari al 5% della produzione del solo 2017. Gli Usa hanno speso poco meno di 9 miliardi di dollari per tentare di arginare la coltivazione di papavero. La parte princioale è stata destinata all’interdizione di coltivazione e all‘eradicazione. Solo 1,4 miliardi allo sviluppo di coltivazioni sostitutive come grano o zafferano. La soppressione dei campi di papaveri era inserita tra gli obiettivi della missione, seppur non tra quelli prioritari. Il denaro che genera da questi campi finanzia i Talebani ma irriga anche una costellazione di altre organizzazione terroristiche, non ultima Al Qaeda. Soprattutto nei primi anni della missione anche la Gran Bretagna ha tentato di avviare programmi per sopprimere questa fonte di finanziamento, anche in questo caso con risultati fallimentari.
Perché questo fallimento? Secondo le considerazioni dell’organismo di monitoraggio della missione statunitense in Afghanistan (Sigar) l’azione di eradicazione si è basata su ipotesi errate e dati insufficienti che hanno favorito aspettative irrealistiche. Gli Stati Uniti hanno puntato molto sulla distruzione dei campi tramite l’irrorazione aerea di pesticidi, una soluzione fortemente osteggiata dal governo afgano e dai partner della coalizione. Le irrorazioni comunque effettuate non hanno prodotto riduzione significative delle coltivazioni. Dove si è cercato di sostituire il papavero con altre coltivazioni si è ottenuto il risultato di far spostare i coltivatori in aree fuori dal controllo delle forze alleate, poiché l’azione di sostituzione era largamente insufficiente per compensare il ruolo economico del papavero da oppio. In alcuni casi il miglioramento dell’infrastrutturazione agricola, in particolare con una irrigazione più efficace, ha avuto il solo effetto di migliorare la resa dei papaveri.