I talebani hanno massacrato e torturato diversi membri della minoranza Hazara in Afghanistan. Sembra una notizia datata alla prima ondata di odio nei confronti dei rappresentanti della terza etnia del Paese (in larga maggioranza Pashtun, con la seconda base etnica rappresentata dai tagiki), andata in scena tra il 1994 e il 2001. Al contrario, si tratta di una denuncia lanciata in queste ore da Amnesty International. Testimoni hanno fornito resoconti strazianti degli omicidi, avvenuti all’inizio di luglio nella provincia di Ghazni (la città lungo la direttrice Kabul-Kandahar). Nel rapporto pubblicato ieri Amnesty afferma che nove uomini Hazara sono stati uccisi tra il 4 e il 6 luglio nel distretto di Malistan, nella provincia orientale di Ghazni. L’organizzazione ha intervistato testimoni oculari e ha esaminato le prove fotografiche dopo gli omicidi. Gli abitanti del villaggio hanno affermato di essere fuggiti sulle montagne quando i combattimenti tra le forze governative e i combattenti talebani si sono intensificati. Quando alcuni di loro sono tornati al villaggio di Mundarakht per raccogliere cibo, hanno detto che i talebani avevano saccheggiato le loro case e li stavano aspettando. Alcuni di loro hanno subito un’imboscata.

Tre delle nove vittime sarebbero state torturate, agli altri i talebani avrebbero sparato. Dura la condanna del segretario generale di Amnesty, Agnès Callamard: “La brutalità a sangue freddo di questi omicidi è un promemoria del passato dei talebani e un orribile indicatore di ciò a cui si potrebbe andare incontro con un governo talebano”. L’etnia Hazara, di fede sciita, meno del 10% della popolazione afghana, può essere paragonata a quella Yazida, nel nord dell’Iraq: entrambi vittime di una atroce persecuzione, i talebani come il Califfato di Daesh, impegnati a cancellarne le tracce. Discriminati per motivi religiosi (i Pashtun sono sunniti, come l’Isis), gli Hazara sono vittime di ripetuti genocidi e la loro storia, in parte, somiglia anche a quanto accaduto in Ruanda nel 1994 tra Hutu e Tutsi.

Oltre alla religione, come nel caso ruandese, dietro la follia genocida dei talebani ci sono motivazioni fisiognomiche: dagli occhi a mandorla al naso schiacciato in relazione alle origini mongole. In tempi moderni la popolazione Hazara ha vissuto e vive in alcune aree del centro-nord dell’Afghanistan, tra Kabul e Bamiyan fino alla regione di Mazar-i-Sharif. Storicamente il primo eccidio degli Hazara risale alla fine del XIX Secolo, col 60% della popolazione sterminata, pulizia etnica di nuovo messa in atto proprio nel 2001, ai tempi della distruzione dei Buddah di Bamiyan. Ora, dopo vent’anni in cui l’etnia Hazara ha potuto ricostruire in parte la sua identità, si teme per un nuovo, drammatico ritorno al passato. Tra le rappresentanti più in vista del popolo Hazara c’è sicuramente la regista Shahrbanoo Sadat, più volte in concorso nei Festival internazionali di cinema tra cui Cannes; tra le sue pellicole merita una menzione particolare Wolf and sheep (lupo e pecore) una lucida allegoria della vita nel suo Paese d’origine. In un’intervista di qualche tempo fa Shahrbanoo, originaria proprio della provincia di Bamiyan, parlando dei talebani affermò: “Qualora dovesse tornare quel regime io non potrei più fare questo mestiere, a meno di non lasciare il Paese”. Adesso, nel caos dei nostri giorni la stessa talentuosa regista afferma: “Sono a Kabul e se sopravvivrò a questo dramma racconterò cosa sta accadendo”.

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