La semestrale vede la redditività industriale salire al 61% dei ricavi, contro il 57% assicurato prima della cessione dell’88% di Aspi a Cdp. A tirare la volata è la forza dei numeri della conglomerata Abertis, di cui la holding partecipata dai Benetton possiede il 50% più un’azione. E la vendita ha anche avuto altri benefici indiretti: 8 miliardi di debiti in capo ad Aspi passano sotto il cappello degli acquirenti. E l’incasso finirà per buona parte a remunerare gli azionisti, a cui andranno oltre 600 milioni l'anno
Molti ricorderanno gli strali contro il presunto esproprio di Autostrade per l’Italia da parte dello Stato nei confronti di Atlantia, la holding di controllo quotata di cui i Benetton posseggono il 30% del capitale. Erano i mesi, drammatici, successivi al crollo del Ponte Morandi, cui è seguito un interminabile balletto durato tre anni e chiuso a giugno di quest’anno con l’acquisizione di Autostrade per l’Italia (Aspi) da parte del consorzio capitanato da Cdp. Le motivazioni di quel fuoco di sbarramento? Senza Aspi, si diceva, Atlantia sarebbe crollata. E ancora: non si spoglia una società quotata sul mercato, compromettendo gli azionisti di minoranza. Dimenticando che l’investimento azionario è tipicamente un investimento di rischio, rischio che prevede anche la perdita di asset. Ora a sgombrare il campo da tanta demagogica enfasi liberista ci sono i risultati fattuali. Atlantia, pur senza Aspi è viva e vegeta. E più di prima. Nella semestrale appena pubblicata dalla holding infrastrutturale dei Benetton emerge un dato chiave. La marginalità industriale di Atlantia è addirittura migliorata, pur senza l’apporto di Aspi.
Nella presentazione agli analisti è stata pubblicata una tabella di confronto dei dati di Atlantia con e senza l’apporto di Autostrade per l’Italia, dopo la cessione a Cdp. Ebbene il fatturato è sceso da 4,4 miliardi nei 6 mesi del 2021 comprensivi dei ricavi di Aspi a 2,8 miliardi senza i ricavi di Autostrade. Ma, è qui è la sorpresa, il margine operativo lordo (ricavi meno costi industriali), che è quello che misura la redditività industriale, è aumentato rispetto ai ricavi. Oggi senza Aspi vale 1,72 miliardi su 2,8 miliardi di fatturato, contro i 2,5 miliardi con Aspi su 4,4 miliardi di fatturato. Il peso del margine sui ricavi sale così senza l’apporto di Autostrade al 61% dei ricavi contro il 57% assicurato prima della cessione dell’88% di Aspi posseduto da Atlantia.
Quindi Atlantia ha visto aumentare di ben 4 punti percentuali la sua marginalità industriale già elevata di suo. Certo su una torta più piccola di ricavi che mancheranno da ora in poi alla holding quotata, che però non ha affatto perso smalto sul dato che conta per il mercato, che è quello della redditività. A tirare la volata ai nuovi conti di Atlantia è la forza dei numeri di Abertis, di cui Atlantia possiede il 50% più un’azione. L’aumento del traffico post Covid ha ringalluzzito i conti e i margini della grande conglomerata Abertis che opera sui mercati europei. Soffrono invece gli aeroporti, da Adr a quello di Nizza penalizzati ancora dalla flessione del traffico aeroportuale. L’asset però più ricco e che vale oltre l’80% del giro d’affari di Atlantia è proprio il colosso spagnolo Abertis, che di fatto ha più che compensato il venir meno del contributo di Aspi ai conti.
Ma la vendita di Autostrade non solo non ha intaccato la formidabile profittabilità di Atlantia: ha anche avuto altri benefici indiretti. La holding si è sbarazzata in un colpo solo di oltre 8 miliardi di debiti in capo ad Aspi che ora passano sotto il cappello di Cdp e della cordata che ha rilevato Aspi. E poi c’è l’incasso di 8,1 miliardi per Atlantia dalla vendita. Soldi che in buona parte, come scrivono nella presentazione dei conti i vertici della holding, finiranno a remunerare gli azionisti, Benetton in testa con la loro quota parte del 30%. Dividendi quindi già assicurati in 600 milioni all’anno e che saliranno, sempre secondo i manager di Atlantia, tra i 630 e il 650 milioni annui entro il 2023.
Quegli 8 miliardi di incasso saranno anche usati per piccole acquisizioni nei settori della mobilità infrastrutturale, ma garantiscono ai soci di Atlantia un flusso di dividendi per almeno 600 milioni l’anno per i prossimi 10 anni. In fondo la stessa mole di denaro che i soci di Atlantia hanno incassato negli anni pre crollo del Ponte Morandi. Va poi aggiunto il beneficio di non dover mettere mano al portafoglio per le spese di investimento e manutenzione che passeranno come onere allo Stato. Nell’ultimo piano industriale di Aspi, infatti, Atlantia si era impegnata a investire entro il 2038, data di scadenza della concessione, la bellezza di 21 miliardi. E solo nel periodo 2020-2024 l’ammontare di spese per Aspi sarebbe stato di 8,6 miliardi, il doppio di quelle sostenute nel periodo 2015-2019. Soldi sulla carta, ben sapendo che poi questa mole di denaro, che inevitabilmente avrebbe dimezzato la redditività futura di Aspi, sarebbe finita dritta dritta nelle mani del compratore Stato.
Tra l’incasso di 8,1 miliardi, il minor debito per altri 8 miliardi e le minori grane derivanti dalla ventennale cattiva manutenzione della rete di Autostrade, per Atlantia e i Benetton, la partita con lo Stato si chiude alla fine con un successo secco. Nessuna penalizzazione economica, dopo la drammatica tragedia che ha fatto emergere un quadro di avidità da profitti senza scrupoli, tenendo artatamente bassi investimenti e manutenzione, pur di garantire ai Benetton dividendi sempre più copiosi per un ventennio. Altro che “non si possono danneggiare i Benetton e i soci di Atlantia”. Il titolo in Borsa ha ripreso non a caso da mesi a salire.