Il centravanti, l’allenatore e il team manager. Il braccio, la mente e adesso anche lo spirito. Dopo Romelu Lukaku e Antonio Conte, l’Inter perde anche Gabriele Oriali: il processo di smantellamento dei campioni d’Italia procede, chissà se è finito o non ancora, certo è già definitivo perché la squadra che oggi apre la Serie A 2021/2022, nel primo anticipo del campionato a San Siro riaperto al 50% contro il Genoa, non è più la stessa che l’aveva vinta solo mesi fa.
Scontato, annunciato da settimane, l’addio è arrivato venerdì, con un freddo comunicato, a tratti quasi sgarbato, che ha comunque scosso l’ambiente. Ci sono tante ragioni per cui la separazione era probabilmente inevitabile. Oriali – non è un mistero – era legato personalmente a Conte: era il suo uomo di raccordo tra campo e società, per questo tipo di figura è difficile essere confermati in una nuova gestione. Non che sia stato Simone Inzaghi a volere il suo allontanamento, ma ogni allenatore si circonda dei suoi bracci destri. Succede quasi sempre così, è successo anche all’Inter con Oriali. E poi Oriali era (ed è ancora) anche team manager della nazionale: un doppio ruolo oggettivamente inopportuno, di cui tutti si sono dimenticati sull’onda del trionfo azzurro agli Europei ma che presto avrebbe ricominciato a suscitare polemiche. Una scelta prima o poi andava fatta e, viste le condizioni, è stata la più naturale.
Eppure l’addio di Oriali fa male all’Inter. Per i modi, i toni: quel “è stato sollevato” messo per iscritto, a precisare che la risoluzione non è stata consensuale. Oriali è stato proprio cacciato, evidentemente per una mancanza di sintonia totale con la proprietà persino su come separarsi. Aveva ancora un anno di contratto e sarà pagato fino a giugno. Fa così male semplicemente perché sono l’Inter e Oriali: non un club e un dirigente qualsiasi, ma una squadra e una sua bandiera, dentro e fuori dal campo, uno a cui è stata dedicata anche una canzone e che non si può licenziare come uno dei tanti professionisti che vanno e vengono nel pallone.
Per questo è un addio diverso dagli altri. Quelli di Lukaku e Conte probabilmente sono stati più devastanti, ma questo se possibile è più doloroso. E lo fa capire anche la presa di posizione di Javier Zanetti, capitano e vicepresidente (fin troppo) silenzioso, uno che raramente parla ma non ha potuto esimersi dal salutare un altro nerazzurro come lui, lasciando intendere che non tutti all’interno dell’ambiente erano d’accordo. Il Corriere della Sera ha scritto che la proprietà cinese non avrebbe gradito la sua presa di posizione e ora nemmeno Zanetti sarebbe più solidissimo: sarebbe davvero troppo, o forse non c’è limite al peggio.
A livello affettivo la perdita è incalcolabile, ma non bisogna sottovalutare nemmeno quella a livello tecnico: Oriali svolgeva un ruolo delicato e importante, magari non lui ma quel tipo di figura avrebbe potuto servire anche a Inzaghi, tecnico giovane, chiamato al compito difficilissimo di gestire una grande squadra in una fase di transizione. Invece Oriali non sarà sostituito, anche perché di Oriali ce n’è uno solo. Lo dice la storia: dove c’è lui, si vince. Come in nazionale, quest’anno agli Europei. C’era lui in panchina insieme a Conte a maggio per il 19esimo scudetto, e ancora lui con Mourinho nel 2010, quando l’Inter aveva vinto l’ultima volta. I tifosi nerazzurri si augurano di non dover aspettare che ritorni un’altra volta, per sollevare il prossimo trofeo.