Nubi molto fosche si addensano all’orizzonte. Lo squilibrio ambientale ha superato ogni limite e per la prima volta in Groenlandia non è scesa la neve, ma un’intensa pioggia, mentre una vasta zona del Giappone, con 5 milioni di abitanti, è stata evacuata a causa dell’innalzamento del livello del mare.
Sul piano etico le incredibili decisioni di Joe Biden hanno portato allo sfacelo l’Afghanistan, creando un disastro umanitario senza precedenti, nel quale sono state consegnate a dei criminali soprattutto le donne e le bambine come bottino di guerra. Resteranno impresse nelle nostre menti le madri che, eroicamente, mettono nelle braccia degli inglesi in partenza le loro piccole figlie, lanciandole oltre il filo spinato. La soluzione sembra difficilissima, e in occidente ci si limita a discutere, prima con il G7 e poi con il G20.
Filo conduttore di tutto è l’egoismo degli uomini, che ha trovato terreno fertile nel vigente sistema economico predatorio neoliberista, del quale stanno soffrendo moltissimo i nostri lavoratori, a causa, soprattutto, delle sempre maggiori delocalizzazioni. A tal proposito le reazioni governative sembrano dettate da una mente completamente offuscata dai principi del neoliberismo e i provvedimenti che si stanno per adottare si muovono in questo ambito, ricercando una soluzione all’interno del sistema economico vigente.
Il ministro Orlando e la sottosegretaria allo Sviluppo economico Alessandra Todde pensano di frenare il fenomeno delle delocalizzazioni prevedendo delle multe alle imprese che attuano questo meccanismo, peraltro limitatamente a chi delocalizza fuori dall’Unione europea, poiché le delocalizzazioni all’interno dell’Unione europea contrasterebbero con l’idea del mercato unico europeo e sarebbe contro il principio della concorrenza.
Non si accorgono, i nostri governanti, che così facendo essi fanno un buco nell’acqua, perché da un lato l’Unione europea non può definirsi un mercato interno, considerato che esistono ben 5 paradisi fiscali, con in testa l’Olanda e il Lussemburgo, che ricevono in prevalenza le tasse che i nostri gestori di servizi pubblici essenziali dovrebbero pagare in Italia; e d’altro lato per il fatto che il principio della concorrenza presuppone, come prevede l’articolo 11 della nostra Costituzione, la parità tra gli Stati e non una situazione come l’attuale, nella quale ci sono Stati economicamente più forti che depredano qualsiasi risorsa agli Stati economicamente più deboli come l’Italia.
Se è vero, come è vero, che le delocalizzazioni (ma non solo quelle) danneggiano l’economia, il nostro governo, anziché ricorrere al sistema delle multe, che come visto in Francia non produce nessun effetto, dovrebbe capire che siamo arrivati al punto di dovere intervenire immediatamente, non sulle singole imprese, ma sul sistema economico vigente. Si tratta infatti di mettere al sicuro, sottraendole al mercato, le fonti di produzione di ricchezza che sono indispensabili per il mantenimento e lo sviluppo della nostra economia, facendo in modo che passino in mano pubblica, come prescrive l’articolo 43 della Costituzione, le industrie strategiche, i servizi pubblici essenziali, le fonti di energia e le situazioni di monopolio, le quali costituiscono la proprietà pubblica demaniale del popolo sovrano e sono pertanto beni inalienabili, inusucapibili e inespropriabili.
In altri termini, tralasciando le idee peregrine della commissione Rodotà sui beni comuni, anziché eliminare il demanio dovremmo rafforzarlo, tenendo presente che il demanio previsto nel Codice civile, emesso sotto l’impero dello Statuto albertino, si riferiva alla proprietà privata della persona giuridica Stato, cioè di un soggetto singolo, mentre il grande cambiamento apportato dalla nostra Costituzione prevede che il demanio appartenga non allo Stato-persona, ma allo Stato-Comunità, cioè al popolo, che è un soggetto plurimo, per il quale la Costituzione stessa, all’articolo 42, prevede la forma della proprietà pubblica, intesa come immediatamente osservò Massimo Severo Giannini come proprietà comune e collettiva dell’intero popolo sovrano.
Di fronte all’impostazione costituzionale svaniscono, come è evidente, le tortuose implicazioni del diritto europeo nelle quali si agitano i nostri governanti, poiché la Costituzione, quando si tratta della proprietà pubblica del popolo, prevale sui trattati, come da tempo ci insegna la Repubblica Federale tedesca.
In conclusione, chi delocalizza non persegue la funzione sociale del bene e, ai sensi dell’articolo 42, comma 2, perde la sua proprietà privata, mentre il bene torna là da dove era venuto, cioè nella proprietà pubblica demaniale del popolo sovrano ed è per questo che invito ancora una volta i nostri governanti a dare applicazione agli articoli 1, 2, 3, 4, 9, 11, 41, 42 e 43 della nostra Costituzione repubblicana e democratica.