Franco Bifo Berardi ha scritto sul manifesto una lettera contro quegli intellettuali che, secondo lui, difendono l’esportazione della democrazia. L’immancabile Ernesto Galli della Loggia e Fiamma Nierenstein, che a mio avviso può essere tutto fuorché una persona con solidi argomenti culturali, fanno parte di quegli intellettuali del Bar Messico, sostenitori dell’impero a stelle e strisce.
Sono capaci, dice Berardi, di esaltare un paese che ha fatto del razzismo parte integrante della propria storia e, si legge fra le righe, anche del presente. È quindi ovvio, seguendo il pensiero di un filosofo anti-americano, che gli Usa siano il vero impero del male. Al diavolo, possiamo dirlo, una analisi più approfondita che ci si aspetterebbe da un marxista. Le domande che rimangono inevase al centro sociale, fra una birra e una canna, sono: come mai venti anni non hanno indebolito la propaganda talebana?
Come mai, e qui lo chiediamo al gentile Berardi, gli intellettuali come lui non hanno posato la birra e provato a cercare forme di solidarietà culturale che quaranta anni fa sono riusciti a esprimere durante la crisi in Cile? Sull’ultima domanda io ho una risposta: non esiste più l’intellettuale impegnato ma solo l’intellettuale da social network.
E questo è evidente dal fatto che metta allo stesso tavolo del bar Messico Nierenstein e Della Loggia e, magari, come se si collezionassero figurine, ci fosse sempre in agguato un Panebianco con un mezzo e mezzo in mano. Sono questi gli intellettuali di riferimento per l’Afghanistan? Per essere credibili, e durare nel tempo, bisognerebbe uscire dalle torri d’avorio e andare nelle piazze; parlare, creare solidarietà e esaltare le voci degli altri: di quei popoli oppressi che sono adoperati come feticcio da una sinistra da centro sociale che sa solo protestare e non trova argomenti costruttivi.
Non è finito l’Occidente, caro Berardi: sono finiti gli intellettuali. E nascondere questa assenza dietro a un antiamericanismo che serve a non rispondere alle vere domande non serve a nulla.