È morto il batterista dei Rolling Stones, Charlie Watts. Aveva 80 anni. A dare la notizia la Bbc. “È mancato pacificamente in un ospedale di Londra, circondato dalla sua famiglia”, ha fatto sapere con una nota il suo addetto stampa, Bernard Doherty. E non pare possibile. Con lui se ne va un pezzo di storia della musica. Quella fatta insieme agli Stones, “60 anni di band”. Nato nel 1941 all’University College Hospital di Londra e cresciuto a Kingsbury, Watts era un “working class musician“, cresciuto in una famiglia umile e con il jazz in testa, da sempre (per citare con licenza uno che con lui s’è fatto un periodo di vita e di finte litigate). Un ragazzino che ascoltava John Coltrane e Miles Davis, carismatico e schivo: è la musica che ne ha segnato la vita sin da quando i genitori gli regalarono una batteria. Aveva 13 anni. Non ha più smesso, e lo sappiamo. Neppure di suonare live: l’addio definitivo ai concerti dal vivo lo aveva dato proprio a inizio agosto 2021 a causa di un peggioramento delle sue condizioni di salute (aveva avuto un cancro alla gola nel 2004, ndr). Watts entrò negli Stones formazione Mick Jagger, Keith Richards e Brian Jones, anno 1963. Ed è sempre stato diverso, Charlie. Niente groupies per lui, ma la moglie Shirley. In Rock Bazar, un libro di Massimo Cotto, si capisce da un aneddoto quale fosse la personalità del grande batterista. Villa di Hefner. Lui dorme. Jagger e Richards decidono di chiamarlo al telefono, anche se è tardi: “Dov’è il mio fottuto batterista?”, grida Mick. Lui, Watts, riattacca. E raggiunge l’altro di persona: “Sei tu, il mio fottuto cantante“, dice prima di andarsene. Eccolo. Solitario, educato, elegante. Un stile secco, minimale. Dal 2016 è nella lista dei migliori batteristi di tutti i tempi secondo Rolling Stone. E Watts compare anche nella lista dei 50 musicisti inglesi più ricchi di sempre, stilata da NME.
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