Tra un calcio (gli Europei) e l’altro (la ripresa della Serie A) siamo impazziti per le Olimpiadi. Gli italiani hanno ritrovato “lo spirito olimpico”, hanno riscoperto sport “minori”, atleti che si allenano senza i riflettori addosso e l’atletica di casa nostra. La sbornia di medaglie è placata, l’estate volge al termine e il mondo cambia in uno schiocco di dita (vedi l’Afghanistan).
Inevitabilmente il focus dello spettatore, anche il più attento a livello sportivo, ha già lasciato Tokyo da tempo. Il 24 agosto partono le Paralimpiadi, nel 2020 si sarebbero celebrati anche i sessant’anni dai primi Giochi paralimpici, quelli di Roma del 1960, ma bisogna celebrare ugualmente, forse ancora di più, un evento arrivato all’edizione XVI. Le Paralimpiadi nacquero dalla negazione dei diritti, dalla discriminazione, dall’odio razziale percepito dal suo creatore, il neurologo tedesco di origine ebrea Ludwig Guttmann.
Fu sua l’idea, nel 1944, di portare una palla in una corsia di ospedale colma di soldati feriti dopo lo sbarco in Normandia. Per costringerli a non arrendersi alle ferite e all’immobilismo gli consigliò di passarsela da un letto all’altro. Una speranza da restituire a chi aveva combattuto contro i nazisti e una missione iniziata molto prima e radicatasi nella mente di Guttmann. Nel 1917, appena 18enne, si presentò al 156esimo Reggimento Fanteria ma portando addosso i segni del drenaggio di un’infezione riportata per assistere un soldato ferito; si sentì dire dall’ufficiale: “Abbiamo già abbastanza storpi da queste parti”. Non fu arruolato.
Una frase che accrescerà in lui il rispetto per ogni paziente e l’idea di creare una grande manifestazione sportiva per persone con disabilità. I giochi di Stoke Mandeville del 1952 e poi i “Giochi internazionali per paraplegici” del 1960 a Roma (in seguito riconosciute e ribattezzate come Prima edizione delle Paralimpiadi estive dal Comitato Internazionale Paralimpico) sono tappe storiche e fondamentali per la manifestazione che vedremo disputarsi dal 24 agosto al 5 settembre.
C’è già un record per l’Italia: la delegazione azzurra è la più numerosa di sempre, composta da ben 115 atleti e puntare a un secondo record non è utopia, superare le 39 medaglie di Rio 2016.
Bebe Vio, portabandiera della cerimonia d’apertura, è sempre più il simbolo di un movimento che cresce e che porta con sé valori che vanno oltre lo sport. Sembrerebbero frasi fatte ma il passato che ho voluto raccontare, unito alla recente cronaca che avvolge anche le Paralimpiadi (e non mi riferisco al Covid), sottolinea quanto sia profondo il senso di questa manifestazione, soprattutto in queste settimane.
Questi giochi nacquero dalla discriminazione e contro la stessa piaga durante la cerimonia di apertura sfilerà anche la bandiera dell’Afghanistan. Un “segno di solidarietà” nei confronti degli atleti che non sono potuti partire per il Giappone dopo che i talebani hanno preso il controllo del Paese. La bandiera afghana arriverà nello Stadio Olimpico sventolata da un rappresentante dell’Agenzia dell’Onu per i rifugiati, l’Unhcr. Sarà un segno di presenza che sottolinea un’assenza, grave e impensabile nel 2021.
Partecipare, rilanciare video e notizie sarà il nostro modo di partecipare. Nessuno restituirà al mondo l’emozione e l’orgoglio che Zakia Khodadadi avrebbe potuto urlare in quello stadio. Sarebbe stata la prima donna atleta (nel taekwondo) a rappresentare il suo Paese alle Paralimpiadi. Anni di preparazione bruciati, per lei e chi come lei ha dovuto subire questa imposizione dai talebani. Anni di lotte per i diritti alle donne azzerati. Non è solo sport, non lo è mai, per fortuna o purtroppo, ma questa volta si fondono l’assenza sportiva e quella di genere. È troppo!
La tempistica degli eventi è stata davvero tragica per una ragazza che avrà immaginato decine di volte di salire su un aereo e volare verso Tokyo, volare con la mente, sognare di presentarsi sul tappeto per competere magari per una medaglia. Avrebbe già vinto mettendo piede sul primo gradino della scaletta di un aereo. Quell’aereo Kabul-Tokyo che non prenderà, che non esiste più.
Ci siamo appassionati e talvolta abbiamo pure scoperto dal nulla le storie dell’Olimpiade appena trascorsa, facciamo lo stesso con le Paralimpiadi, amplifichiamone la “voce” perché le storie di questi atleti insegnano tanto, tanto di più di quanto si possa credere. E di lezioni, alcune persone e alcuni Paesi di questo mondo ne hanno ancora incredibilmente bisogno.