Nelle aree colpite dal sisma del 2016, che il 24 agosto, il 26 e il 30 ottobre, fece tremare la terra in quattro regioni, Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, causando la morte di quasi 300 persone, la ricostruzione, nonostante una lieve accelerazione nell’ultimo periodo, fa ancora fatica a partire. Così, oltre alla rassegnazione che accomuna molti degli abitanti rimasti, a spaventare ora è anche il rischio spopolamento. Tra chi ha deciso di cambiare vita e chi, con la percezione del Cas, contributo di autonoma sistemazione, si è trasferito sulla costa, a far vivere queste aree sono pochi e coraggiosi progetti di resilienza partiti dal basso.
Come quello portato avanti da Stefano Cappelli, che ad Arquata del Tronto (Ascoli Piceno) aveva un forno, e dalla compagna Elena Pascolini, che in quest’aerea, invece, ci si è trasferita dopo il sisma. “Abbiamo deciso di mettere su un’associazione, Monte Vector – spiega Stefano al Fatto.it – per dare una mano a noi e a tutti i nostri compaesani che hanno deciso di rimanere qui, ad Arquata”. L’obiettivo è quello di portare sul territorio un turismo lento, fatto di riscoperta dell’entroterra appenninico e di scoperta dei prodotti locali, sia con il rifugio Mezzi Litri che con altre iniziative. Ma non solo. “Ora abbiamo avuto anche l’idea di fare un turismo inclusivo, per tutti – spiega ancora Stefano – E così abbiamo realizzato una yurta, che sarà pronta per il prossimo anno, per poter inserire anche dei ragazzi disabili che al rifugio non possono accedere”. “In questo territorio ora non resta più niente, quindi l’unica possibilità di fare qualcosa è sul turismo lento – conclude Stefano – fatto di gente che viene con la consapevolezza di dove sta e di dove va, dando anche un contributo a quelli che sono rimasti”.
Anche la Fattoria la Rocca, a Montefortino, insieme a tutto il progetto Sibillana, che punta a ridare valore al filato della pecora sopravvissana, evitandone l’estinzione, con la sua filiera corta, le sue attività didattiche e il suo piccolo lanificio, regala all’entroterra un barlume di speranza. Il progetto “al femminile”, partito dalle allevatrici Giulia Alberti e Silvia Bonomi, nonostante lo scarso aiuto istituzionale, è decollato nel 2021. “Ora tra aziende che conferiscono la fibra e persone che gravitano intorno, tra chi tinge e chi lavora la lana, siamo più di trenta persone“, spiega Giulia, ricordando che “non avendo da mangiare né da dormire”, la Fattoria la Rocca può essere un’opportunità anche per le attività ricettive della zona.