L’immane pasticcio creato dagli Usa in Afghanistan ha una lunga storia dietro. Per chi come me si occupa di comunicazione, rappresenta una case history fondamentale da studiare, un intero manuale sugli usi strategici della propaganda, le strategie di “ingegneria storica” e le false narrative. Me ne sono già occupato in un saggio ormai del 2015 (ISIS® il Marketing dell’Apocalisse, Baldini & Castoldi) spiegando come fu piena responsabilità del governo americano dagli anni ’80 aver fatto crescere generazioni di terroristi.
In sintesi, vista l’influenza che all’epoca i russi erano riusciti ad ottenere sull’Afghanistan, il democratico Jimmy Carter, su suggerimento della Cia, favorì la caduta del governo filosovietico afghano, provocando la risposta dei russi che invasero l’Afghanistan e furono così trascinati in una trappola: si sarebbero trovati ben presto impantanati in una guerra contro i talebani che erano armati e finanziati da Usa e Pakistan. Fin qui è storia nota. Un po’ meno note sono le strategie attuate dagli americani per capovolgere a proprio vantaggio la situazione.
Come scrivevo allora, il governo americano non solo istruì militarmente i talebani afghani a combattere per respingere gli invasori russi e liberare la regione da una presenza sgradita alla Casa Bianca, ma organizzò anche un piano per rendere durevole nel futuro l’odio della popolazione verso gli “atei comunisti” con un programma di educazione destinato alle scuole. Nel progetto fu coinvolto il Dipartimento di Studi Afghani dell’Università del Nebraska-Omaha. Dal 1984 al 1994 si investirono 51 milioni di dollari per realizzare libri di testo destinati ai bambini afghani, che vennero stampati in milioni di copie e inviati insieme agli aiuti umanitari tramite Usaid. Le pagine in essi contenute sono un’agghiacciante testimonianza, ancora conservata in un museo di Londra.
L’amministrazione americana fu sfiorata dallo scandalo e si affrettò a far sparire e a sostituire, nel 1992, tutti i testi ancora in distribuzione con dei nuovi libri – meno espliciti a livello grafico, ma perfino peggiori sul piano dei contenuti, a detta di educatori locali. L’Usaid interruppe il finanziamento del programma nel 1994, ma i manuali continuarono a circolare in varie versioni anche dopo che i talebani presero il potere nel 1996. L’Unicef avrebbe infine ricevuto l’incarico di distruggere 500.000 copie rimaste dei vecchi libri di testo e di rimpiazzarle con altri a contenuto più religioso.
Alcuni funzionari però avrebbero rivelato che organizzazioni umanitarie private continuarono a pagare le ristampe dei vecchi libri per anni. Viceversa, fu il governo dei talebani a voler mantenere i testi che incitavano al jihad, utilizzando quelli prodotti dall’Unicef solo come complemento. Per quanto possa sembrare paradossale, il motivo non è difficile da comprendere. Sono pagine che grondano sangue, destinate ai bambini. I documenti sono custoditi presso il National Army Museum, Royal Hospital Road, a Londra.
Ecco un esempio di come veniva insegnata l’aritmetica in quei sussidiari:
– Ci sono 10 atei. 5 vengono uccisi da 1 musulmano. Quanti atei rimangono? (risposta: rimangono 5 atei).
– 5 fucili + 5 fucili = 10 fucili; 15 pallottole – 10 pallottole = 5 pallottole
– Un gruppo di mujaheddin attacca 50 russi. Se in quell’attacco sono morti 20 russi, quanti russi sono scappati?
– Un proiettile di kalashnikov viaggia a una velocità di 800 metri al secondo. Un mujaheddin ha nel mirino la fronte di un russo a 3.200 metri. Quanti secondi ci vorranno al proiettile per colpire la fronte del russo?
Comprensibile, quindi, anche la necessità di un’opera capillare di rimozione da parte del governo Usa per prevenire l’incombente scandalo che avrebbe travolto tutta l’amministrazione e distrutto la reputazione del Paese. Il lavoro di “ingegneria storica” (come la definirebbe Chomsky) fu completato da un articolo pubblicato nel 2002 su una rivista del Massachusetts Institute of Technology da Craig Davis, operatore di Usaid e specialista del Nsep (National Security Education Program) che aveva condotto un lavoro sul campo per i programmi educativi, in Afghanistan e Pakistan, dal 1999 al 2000. L’articolo, riportando anche gli esempi sopra citati, ricostruiva i fatti in modo credibile, aggiungendo però che l’Università del Nebraska a un certo punto si era tirata indietro, non volendo che la sua immagine fosse collegata a testi in cui si predicava l’odio, sicché la redazione dei libri destinati ai bambini sarebbe stata interamente opera dei talebani mentre l’amministrazione americana si sarebbe limitata a finanziarla. Una bugia ben servita. In questo modo, le responsabilità del governo americano furono dissolte, ma ciò che importa veramente è che il progetto ottenne i suoi frutti: quei bambini sono le stesse persone che vent’anni dopo hanno aderito ad al-Qaeda, senza dimenticare che dal ramo iracheno della stessa organizzazione sarebbe nato anche l’Isis.
Ora vi chiederete cosa c’entrano i talebani di oggi con l’Isis. Assolutamente nulla. Eppure, in questo momento sui social stanno girando insistentemente video di esecuzioni dell’Isis che vengono sistematicamente attribuite ai talebani. Nessuno ricorda che l’Isis militarmente si è dissolto, è sparito dai territori che aveva occupato, mentre i talebani esistono eccome e continua ad esistere anche al-Qaeda, che da quando ha sostenuto la guerra civile afghana ha mantenuto con i talebani eccellenti rapporti.
Sono questi i fatti che noi tendiamo a dimenticare quando ci convinciamo che il ritiro delle truppe fosse necessario, lasciando il paese libero di autodeterminarsi, anzi rendendoci “disponibili al dialogo”. Per l’anacronistica guerra fredda, non voluta da noi e da cui non riusciamo a staccarci, abbiamo creato dei mostri, e adesso pretendiamo che si comportino bene, che “rispettino i diritti delle donne” e “non facciano troppo male alla popolazione”. Ma ci rendiamo conto di quanto sia ipocrita la nostra narrativa ufficiale?
Da parte loro, i talebani hanno assimilato la lezione dell’Isis e stanno utilizzando con notevole furbizia i canali social per veicolare una nuova immagine, più “umana”: già li vediamo rilasciare interviste ai media occidentali per tranquillizzare e dire che sì, “rispetteranno” senz’altro le donne e permetteranno loro di andare perfino (perfino!) a scuola e all’università, e faranno i bravi. Sono soltanto menzogne. Fa parte del loro abituale utilizzo della taqiyya, ovvero la pratica della bugia per ingannare chi mette in pericolo (o in discussione) la loro fede. Una pratica che si è sviluppata da questo verso: “Allah non vi riterrà responsabili di giuramenti involontari, ma di quello che volevate fare nei vostri cuori. Allah è il più indulgente, il più clemente” (Corano 2:225). D’altra parte ci considerano il nemico, e quindi, nell’ambito della guerra di propaganda, ci si può prendere gioco del nemico rispondendo alla sua narrativa con una falsa narrativa, come suggerisce quest’altro verso: “Nessuno inventa menzogne, tranne i miscredenti nei confronti dei segni di Allah, e sono loro i veri bugiardi” (Corano 16:105).
E adesso con quale leggerezza i nostri ministri degli Esteri andranno a trattare con loro? Quale strategia di comunicazione è possibile in questo valzer di menzogne reciproche?