Ieri il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha spiegato che anche in Italia si farà partendo dai fragili. Gli Stati Uniti inizieranno il 20 settmbre
La terza dose di vaccino anti Covid, già avviata in Israele e in programma negli Stati Uniti, è ancora oggetto di valutazione da parte dell’Agenzia europea del farmaco nonché di Aifa. Anche se ieri il ministro della Salute, Roberto Speranza, ha spiegato che anche in Italia si farà partendo dai fragili. Ema, interpellata dall’Ansa, fa sapere che è ancora presto per parlare della terza somministrazione, e in Europa l’autorizzazione definitiva per Pfizer, appena accordata negli Usa, potrebbe arrivare nel 2023, anche se quella sancita finora dà tutte le garanzie di sicurezza ed efficacia necessarie.
“In questa fase non è stato ancora determinato quando potrebbe essere necessaria una dose di richiamo per i vaccini Covid e per quali fasce di popolazione”, ma l’Ue sta già lavorando con Stati membri e produttori per accelerare le procedure in caso di bisogno, chiarisce l’Agenzia. Il lavoro va avanti anche sull’autorizzazione definitiva, chiarisce l’agenzia, che però non arriverà prima del 2023. I rapporti finali sugli studi clinici del vaccino di Pfizer-BioNtech (Comirnaty) dovrebbero essere presentati nel dicembre di quell’anno, spiega l’Ema, consentendo di trasformare l’autorizzazione Ue da condizionata a standard.
Il lavoro è reso più complesso dalle continue nuove scoperte che si fanno sui vaccini già approvati. È di oggi la notizia che il vaccino Johnson and Johnson, approvato per la somministrazione monodose, ha un’efficacia ancora maggiore, fino a nove volte, se viene fatto un richiamo dopo 28 giorni. Per quanto riguarda la sicurezza inoltre, uno studio appena pubblicato sul New England Journal of Medicine ha trovato che il rischio di miocardite, aumenta sì con la somministrazione del vaccino Pfizer, ma molto meno di quanto aumenti a causa dell’infezione dal virus. Per lo studio sono stati analizzati i dati di 880mila persone sopra i 16 anni vaccinate con Pfizer, ognuna delle quali è stata ‘accoppiata’ ad una non vaccinata paragonabile per caratteristiche fisiche e demografiche.
Nei soggetti sono stati calcolati i tassi di incidenza di 25 potenziali effetti avversi, che in un’altra analisi sono stati calcolati per un campione di 170mila persone positive al Covid confrontate a loro volta con un gruppo di controllo. Anche se la miocardite rimane un effetto raro, scrivono gli autori, è risultata più comune nei vaccinati rispetto ai non vaccinati, con 2,7 casi in più ogni 100mila immunizzati. È molto più alto però il rischio di avere la miocardite se si è avuto il Covid, con 11 casi ogni 100mila persone. “Se la ragione per cui molti sono esitanti a vaccinarsi – afferma al New York Times Ben Reis del Boston Children’s Hospital, uno degli autori – è per la paura di un eventi avversi molto rari e solitamente non molto seri come la miocardite, questo studio dimostra che il rischio è molto più alto se non si è vaccinati e ci si infetta”.