La ricerca evidenzia un aumento del benessere dei lavoratori e la loro riallocazione "dalle realtà meno produttive a quelle più competitive". Nessun impatto negativo sulla crescita: da quando l'ha introdotto, nel 2015, il Paese ha visto il pil salire del 20%. Smentite le previsioni che paventavano 900mila nuovi disoccupati
Il salario minimo funziona e non causa perdita occupazionale. Anzi, aumenta la qualità della vita dei lavoratori e consente di ammodernare gli stabilimenti produttivi. A riportarlo è Il manifesto, citando uno studio del dipartimento di Economia dell’università di Harvard pubblicato dalla Oxford University Press, Reallocation Effects of the Minimum Wage. La ricerca, firmata dagli studiosi del Dipartimento di economia Christian Dustmann, Attila Linder, Uta Schonberg, Matthias Umkehrer e Philipp Vom Berge, analizza gli effetti del salario minimo introdotto in Germania dal 2015. E smentisce ancora una volta – come altri studi riferiti agli Stati Uniti – le analisi fatte da economisti business-oriented e liberal, secondo cui la misura avrebbe dovuto produrre nel Paese 900mila nuovi disoccupati e un impatto negativo sul pil.
In Germania il salario minimo è stato gradualmente aumentato partendo dagli 8,5 euro all’ora del gennaio 2015 e arrivando a 9,19 euro nel 2019. “Fino alla metà degli Anni Novanta”, invece, spiega la ricerca, “gli stipendi negoziati tra sindacati e federazioni imprenditoriali” erano basati su “competenze ed esperienze dei lavoratori”. E questo aveva causato un progressivo aumento della disuguaglianza sociale. La misura, si legge nello studio, ha aiutato le fasce di popolazione più fragili, come “residenti nell’Est della Germania di origine immigrata, in prevalenza donne, con scarse qualifiche personali, di età inferiore a 24 anni e spesso disoccupati da oltre un anno”. Grazie al salario minimo, continua la ricerca, questi lavoratori non solo sono stati riallocati “dalla fascia di stipendio minimo al livello superiore”, ma anche “dalle realtà meno produttive a quelle più competitive“. Tutto questo senza causare perdite occupazionali se non limitate.
Il primo effetto della misura è stata la messa “fuori mercato” degli impieghi pagati meno di 8,5 euro l’ora, che sono diminuiti subito dopo la sua introduzione. A questo si è affiancato l’aumento degli impieghi maggiormente retribuiti. Un effetto positivo che si è riversato anche su aziende e comparti produttivi, soprattutto quelli che hanno beneficiato maggiormente della misura, come trasporti, pulizie e logistica alimentare. In queste aree, prosegue lo studio dell’Università di Oxford, si è registrato un “innalzamento della qualità media degli stabilimenti”. Conseguenze largamente positive, quindi, che secondo i ricercatori spiegano perché “la popolarità del salario minimo sta crescendo” e sia gli Stati Uniti sia i Paesi europei, in cui è già in vigore – l’Italia è una delle poche eccezioni – stanno mettendo in cantiere aumenti.
A livello macroeconomico, infine, nel periodo tra il 2011 e il 2016 in vigenza del salario minimo “il pil della Germania è cresciuto del 20%“, il numero di occupati in Germania “è passato da 41,5 milioni a 43,6 milioni” e il tasso di disoccupazione nazionale si è ridotto di un punto percentuale, passando dal 7,1% al 6,1%. Tutto questo a fronte dell’unica nota negativa, evidenziata dai ricercatori, che è quella dell'”aumento del pendolarismo che potrebbe avere costretto a peggiorare la condizione di vita”, nonostante il salario più alto. “Ma in media il benessere dei lavoratori è migliorato dopo l’introduzione della misura.