Il presidente di Confindustria mette nel mirino il titolare del Lavoro e la sua bozza del decreto anti-delocalizzazioni: "Sappiano bene che la legge vigente non prevede la possibilità di licenziare via Whatsapp. E sbaglia il metodo, non si confronta". Il vicesegretario dem Provenzano: "Si preoccupi di chiedere alle imprese di rispettare l’accordo sui licenziamenti". Misiani: "Dal Conte-bis e Draghi aiuti diretti, sgravi fiscali e misure di settore"
Un altro attacco, un affondo pesante che scatena la replica dei vertici del Pd. Carlo Bonomi mette nel mirino Andrea Orlando e la sua bozza del decreto anti-delocalizzazioni, che sta impegnando il ministro del Lavoro e la viceministra dello Sviluppo Economico Alessandra Todde. Lo fa in un’intervista all’Huffington Post, negando che si tratti di un attacco al governo. Insomma: il bersaglio è proprio Orlando. “Come è già avvenuto sui licenziamenti – dice – segnaliamo tempestivamente le nostre valutazioni, in modo che anche il presidente del Consiglio ne possa tenere conto. Per rafforzare l’operato del governo, non certo per boicottarlo”.
Il leader degli industriali rivendica la ‘scomparsa’ dal testo delle multe e della blacklist e nega che ad oggi esista la possibilità di licenziare via Whatsapp, mail o sms. Eppure è successo nelle scorse settimane e, con ogni probabilità, continuerà ad avvenire: “Sono certo che sia il ministro del Lavoro Orlando sia la sottosegretaria Todde, che ha la delega alle crisi d’impresa, sappiano bene che la legge vigente non prevede questa modalità di licenziamento, ma precise modalità di informazione e confronto con sindacati e lavoratori. Devo dunque dedurne che continuare a parlarne è pura propaganda anti-impresa”, è l’affondo del leader di Confindustria.
Di fronte all’uscita di Bonomi, il Pd fa quadrato attorno al suo ex vice-segretario. “Il presidente di Confindustria, invece di rivolgere attacchi sguaiati al ministro Andrea Orlando dovrebbe preoccuparsi di chiedere alle imprese di rispettare l’accordo sui licenziamenti sottoscritto con i sindacati davanti al presidente Draghi e già tradito in diversi casi”, attacca l’attuale vicesegretario dem Peppe Provenzano su Facebook. “In due anni i governi Conte-bis e Draghi hanno stanziato per le imprese 115 miliardi tra aiuti diretti, sgravi fiscali e misure di settore – ricorda Antonio Misiani – Dal presidente di Confindustria, che lamenta una presunta ‘propaganda anti impresa’, ci piacerebbe ascoltare ogni tanto il riconoscimento del valore e dell’efficacia di queste scelte, fortemente sostenute dal Pd”. “Con le polemiche, il vittimismo e le lamentazioni – avvisa – non faremo passi in avanti. Meglio, molto meglio lavorare insieme con il necessario pragmatismo per raggiungere questi obiettivi”.
Ma Bonomi, dopo quanto avvenuto con la proroga allo stop dei licenziamenti, critica anche il metodo di lavoro del ministro del Lavoro: “Mi limito a constatare che siamo costretti a commentare misure che purtroppo continuiamo ad apprendere dai giornali. Il ministro Orlando dichiara che vuole fare un lavoro comune. Bene. E poi? Annuncia che porterà una bozza in Consiglio dei ministri. Così non va. Se si vuole fare un lavoro comune, il confronto deve precedere l’inoltro al Consiglio dei ministri dei testi dei decreti”. L’incontro, assicurano dal governo, ci sarà. La scrittura del testo, ancora in corso, vede impegnati il ministero del Lavoro, il Mise e Palazzo Chigi e, a breve, verranno coinvolti anche sindacati e Confindustria. La speranza è che il decreto arrivi in Consiglio dei ministri “in tempi rapidi” ed è per questo, viene spiegato, che “temporaneamente” sono state escluse dall’articolato multe e blacklist. Tali fattispecie, infatti, avrebbero comportato anche il coinvolgimento del ministero della Giustizia, allungando i tempi: “Abbiamo 30 giorni per Gkn e ancor meno per Whirlpool, dobbiamo sbrigarci”, filtra dal Mise. Bonomi “sa che non tutte le imprese la pensano come lui – è il ragionamento – qui non si tratta di impedire di licenziare, cosa che sarebbe incostituzionale, ma di prevedere un percorso per le aziende non in crisi che hanno preso finanziamenti pubblici. L’Italia è l’unico paese Ue a non farlo”.