Sting, un bicchiere di barolo spacciato per chianti (a detta sua), la “fatiscente” villa acquistata in Toscana (sempre a detta sua), e gli eredi dei duchi Velluti Zati di San Clemente si incazzano. La querelle enologica tra il 69enne cantautore britannico e il duca Simone Vincenzo Velluti Zani di San Clemente sembra avere finalmente scritto la parola fine. Ma sono stati giorni ad alto tasso alcolico per l’autore di Brand new day. Perché le sue affermazioni pubblicate in un’intervista sul Corriere della Sera riguardo l’acquisto della sua villa “il Palagio” in Toscana, avvenuta più di 20 anni fa, hanno scatenato le ire ducali come nemmeno un referendum per l’abolizione dell’aristocrazia.
Tutto è partito da un’affermazione di Sting piuttosto peregrina: “L’ex proprietario, il duca Simone Vincenzo Velluti Zati di San Clemente, ci offrì un bicchiere di rosso da una caraffa durante la nostra visita a Il Palagio. Stavamo trattando l’acquisto, la proprietà ci piaceva molto anche se era quasi in rovina. Il duca mi chiese se volessi assaggiare del vino della tenuta e io dissi di sì. Era un vino ottimo quindi mi convinse a comprare anche le vigne. Poi abbiamo capito che il duca ci aveva servito un Barolo e non un vino locale”. Sting ha poi aggiunto un dettaglio piuttosto sconveniente: “Dopo un po’ di tempo, quando abbiamo servito ai nostri ospiti il vino della tenuta e ho visto che qualcuno vuotava il bicchiere nelle aiuole. Così abbiamo deciso di “vendicarci” e di dimostrare che era possibile produrre del vino ottimo anche dai vigneti del Palagio. Tutta questa nostra avventura toscana in realtà è un modo per vendicarci”.
Ohibò, pure la vendetta di Sting al duca – oste – malandrino. Ma questo ricamare sui morti fa imbestialire il figlio del duca, Simone Vincenzo, che in una lettera aperta all’edizione cartacea del Fatto Quotidiano non va molto per il sottile rivolgendosi alla pop star sempre in equilibrio zen. L’erede ducale intanto puntualizza che la villa aveva sì bisogno di manutenzione ma non era affatto fatiscente al momento dell’acquisto di Sting e non le mancava l’energia elettrica. Il duca, tra l’altro, punzecchia il cantante criticandone le trasformazioni del casale e dell’area circostante effettuate nel tempo: “Il Palagio è stato trasformato in un resort stile Palm Beach. Un toscano mediamente acculturato sa che in questa parte della nostra regione ville, giardini e campagne sono o erano tra loro collegate e facevano parte di un unico complesso paesaggistico. Al contrario, quello che è stato fatto, come rifacimento della villa e del giardino, è stata una violenta decontestualizzazione rispetto a quella campagna di cui Sting dice di sentirsi parte”. L’affondo finale, però, è l’autentica bordata della querelle enologico architettonica: “Infine la calunnia velenosa e completamente falsa. Mio padre, Simone di San Clemente, avrebbe con un trucco da osteria spacciato del barolo per del vino prodotto in fattoria. Niente di più alieno dal carattere, dalle abitudini, dai comportamenti, dallo spirito di mio padre, comportarsi da oste truffaldino, e diciamolo pure, anche un po’ cretino; senza considerare che un signore navigato come Sting, all’epoca 46enne, non dovrebbe confondere barolo con chianti, vale a dire nebbiolo con sangiovese”.
Il duca ricorda che Sting avrebbe avuto ben 15 anni di tempo per tirare fuori la questione e permettere al padre di replicare. Cosa che l’uomo non ha potuto fare perché deceduto nel 2012. Sting, comunque, si è ufficialmente scusato. “Gentilissimo Simone Francesco Velluti Zati di San Clemente, Lei ha ragione e Le devo quindi le mie più profonde scuse – c’è scritto sul Corriere della Sera – L’aneddoto, come riferito, era irrispettoso alla memoria del Suo illustre padre e, per questo, porgo le mie più sincere e inequivocabili scuse. Suo padre era un uomo onesto, che non mi ha mai ingannato. L’intenzione dell’aneddoto era fornire un commento ironico sulle mie ingenue ipotesi, sulla mia inesperienza e sul fatto imbarazzante che 25 anni fa non riuscivo a distinguere un Barolo da una saponetta. Dovrei essere ormai consapevole che l’ironia viene più difficilmente percepita nei testi scritti, tuttavia riconosco e accetto che ciò ha causato grande stress a Lei e alla Sua famiglia e per questo sono sinceramente dispiaciuto. Può essere certo che non accadrà di nuovo”. Un’ironia così sottile, quella di Sting, sulle doti da oste miracoloso del duca toscano che nel tempo ha variato copione ma sempre con l’effetto, a detta sua, di una battutona spiritosa su quel buffo inganno da soliti ignoti all’italiana.
Nel 2017 intervistato dal sito Drink Business, Sting raccontò lo stesso aneddoto con una variante enologica non proprio da sprovveduto. Intanto il pezzo si intitola come quello del Corriere (Sting: faccio del buon vino per vendetta). Poi all’interno il cantante spiega che il dubbio su quel bicchiere offertogli per l’accordo nacque proprio quando un manipolo di ospiti gettò nelle aiuole il vino della casa. A quel punto Sting torna miracolosamente ad assaggiare il rosso, anzi il rosato a questo punto, prodotto in loco, dopo parecchio tempo e scopre proprio quella sera in mezzo agli ospiti che era “un chiaretto crù classé”. “Il vino non era così buono come il vino che mi era stato dato dal duca, ma poi mi è stato detto che il duca non mi aveva dato vino della tenuta, ma vino francese. Così sono stato provocato a fare del buon vino per vendetta”. La stessa percezione che in quel bicchiere dell’accordo con il duca fosse stato versato altro rispetto al Chianti locale l’ha anche affermato più volte la moglie di Sting, Trudie Styler. In un’intervista rilasciata ad Icon, rintracciabile online, la Styler spiega che il duca rifilò nientemeno che un bicchiere di bordeaux a suo marito. E via, ancora, con la storia del vino V per vendetta: “Trudie si prefissò, ispirata da quel mitico giorno, di produrre vini eccellenti”. Insomma, alla fine della fiera, scuse archiviate, si spera che Sting riesca oggi almeno a distinguere un sangiovese da un nebbiolo.