Martedì scorso un operaio e il titolare dell’impresa edile per cui lavorava sono morti schiacciati da una lastra di cemento. Giovedì un tecnico sub è rimasto ucciso in un impianto ittico. Sono gli ultimi casi coperti dalle cronache. Così la bandiera italiana e quella europea volute da Bruno Giordano davanti all’Ispettorato nazionale del lavoro sono anche oggi a mezz’asta. Come tutti i giorni, visto che di vittime del lavoro ce ne sono in media tre ogni 24 ore. Dal 2015 gli incidenti mortali non sono mai scesi sotto i 1000 all’anno. Mentre il tasso di irregolarità rispetto alle normative contrattuali e di sicurezza riscontrato con le ispezioni viaggia intorno al 70%. “Dopo 30 anni di attività giudiziaria in questo campo mi sono convinto che le cose si possono cambiare solo con la prevenzione”, spiega Giordano, giudice di Cassazione (oltre che docente di diritto della sicurezza del Lavoro) che da luglio, per decisione del ministro del Lavoro Andrea Orlando, ha preso la guida dell’agenzia creata dal Jobs Act. “E per prevenire servono da un lato controlli più numerosi e più mirati, dall’altro il rafforzamento del potere di sospendere l’attività di impresa in caso di violazioni”.
L’Ispettorato avrebbe dovuto accorpare le funzioni di vigilanza di ministero del Lavoro, Inps e Inail per razionalizzare i controlli. Ma la riforma è rimasta sulla carta. Che strumenti vi mancano?
Alcune delle norme più importanti del decreto istitutivo, come il coordinamento dei servizi ispettivi di Inps e Inail, devono ancora essere attuate. Sarebbe un passo fondamentale per poter fare in una volta sola controlli incrociati sulla regolarità complessiva dell’azienda e sulla posizione contributiva, assicurativa e di sicurezza dei lavoratori. Oggi ogni ispettore guarda alla materia di sua competenza e il coordinamento è affidato alla buona volontà. Dietro però ci sono anche questioni tecniche e informatiche: noi abbiamo un accesso molto parziale alle banche dati di Inps e Inail con le informazioni sulle aziende controllate. Ci stiamo lavorando in queste settimane.
Poi c’è il problema del coordinamento con le Asl, a cui spettano i controlli su salute e sicurezza.
Sono più di 100 e fanno capo alle Regioni e province autonome, per cui ognuna risponde a un certo orientamento politico. Per di più non sono nemmeno in rete tra loro, oltre a non avere una banca dati comune con Inps e Inail. Che è indispensabile per conoscere il lavoro che stanno facendo gli altri ed evitare duplicazioni o triplicazioni. Affidare agli enti locali la tutela della salute e sicurezza aveva senso nel 1978, quando è nato il Servizio sanitario nazionale, ma oggi per farlo servono competenze sull’ergonomia, sugli algoritmi che regolano il lavoro per le piattaforme, sullo stress e le curve di attenzione…dobbiamo alzare il livello tecnico. E in aggiunta a questo ci sono anche gli organi di vigilanza settoriali su cui l’Istituto deve vigilare, per esempio l’agenzia per la sicurezza ferroviaria…
Quindi la Spagna, dove i controlli sono di competenza degli enti locali, non è un modello da seguire?
In Spagna gli enti locali hanno poteri sanzionatori, ma c’è anche un ispettorato centrale che è molto forte. E’ un sistema molto diverso rispetto alla nostra regionalizzazione che oggi mostra le corde.
In che tempi arriveranno i 2mila nuovi ispettori annunciati dal ministro Orlando? Sono sufficienti?
I primi 800 entro fine anno, gli altri subito dopo con altri concorsi. Quando saranno entrati tutti andremo a pieno regime, con 4.800 persone in totale: oggi siamo sotto di cerca metà. Ma anche le Asl hanno notevoli carenze: il personale è diminuito del 50% negli ultimi dieci anni.
Una volta rimpinguati gli organici e ottenuto l’accesso alle banche dati come si aumenta l’efficacia dei controlli?
Ho dato direttive perché gli interventi siano mirati, chirurgici, grazie all’utilizzo di parametri di rischio che consentono di capire dove è più diffuso il lavoro irregolare e insicuro. Non posso dare dettagli sugli indicatori, ma sicuramente i settori più critici sono edilizia, agricoltura, terziario, logistica. Nella logistica tendiamo a vedere grandi aziende che si servono di tante coop e dobbiamo verificare la natura di queste coop, verificare se sono un modo per dissimulare un rapporto di lavoro.
Tre morti sul lavoro ogni giorno. E tassi di irregolarità altissimi. Le imprese risparmiano sulla sicurezza?
Nelle piccole e medie imprese spesso, per vari motivi, c’è trascuratezza: le normative in materia di sicurezza vengono viste come un onere e un costo da ridurre, non un investimento che produce efficienza perché migliora anche i processi produttivi. Non è un caso se tutti i casi più recenti, dalla morte di Luana D’Orazio a quella di Laila El Harim fino all’imprenditore morto insieme a un operaio in Valle d’Aosta solo due giorni fa, sono avvenuti in piccole imprese con pochi lavoratori e forti rapporti personali. E con la ripresa economica e il traino del superbonus per l’edilizia i rischi aumentano. Un altro problema è l‘interpretazione burocratica e amministrativa degli adempimenti che riguardano la formazione: non può essere solo un adempimento formale, il lavoratore va preparato per la sua specifica attività. Gran parte degli infortuni gravi sono dovuti a mancata valutazione del rischio e mancata formazione. Un altro problema è il falso mercato della formazione con soggetti che danno certificazioni senza fare davvero i corsi.
Servono sanzioni più severe?
Dopo 30 anni di attività giudiziaria in materia di sicurezza sul lavoro mi sono convinto che punendo di più non si ottengano maggiori risultati. Occorre prevenire gli incidenti e per farlo servono controlli quantitativamente e qualitativamente incisivi e un rafforzamento del potere sospensivo dell’attività di impresa che già abbiamo. Oggi l’Ispettorato può fermare un’azienda che abbia oltre il 20% di lavoratori in nero o che sia recidiva nel commettere violazioni in un arco di 5 anni. Si potrebbe ridurre la quota di lavoratori in nero oltre la quale scatta la sospensiva – perché il lavoro nero è lavoro insicuro – e si potrebbero aumentare i casi in cui possiamo esercitare questo potere.
Il leader della Cgil Maurizio Landini ha rilanciato la richiesta di una patente a punti per le imprese, con un punteggio iniziale che calerebbe in caso di violazioni e incidenti fino a far scattare l’esclusione dalle gare o il blocco delle attività. Ma era già prevista dal testo unico del 2008 per l’edilizia…
L’idea era ottima ma in 14 anni non è stata mai realizzata per difficoltà tecniche relative all’accesso alle banche dati, al sistema di conteggio, alla registrazione delle imprese. E’ una materia che necessita un confronto tra le parti sociali, speriamo che ora i tempi siano maturi.
La proposta di legge che prevede la creazione di una Procura Nazionale in materia di sicurezza e infortuni sul lavoro non fa passi avanti. Secondo lei servirebbe?
Credo sia una necessità. Molti magistrati lo sostengono da anni, perché dove c’è specializzazione di attività c’è anche maggiore velocità dei processi. Per evitare la prescrizione e l’improcedibilità anche per questi processi servono ottime indagini e dunque personale specializzato.