L’altra sera su Rete4 c’era un dibattito tipico di questa fine estate: Maria Giovanna Maglie e Ignazio La Russa fronteggiavano Oliviero Toscani sul tema dell’immigrazione e dell’Islam partendo dalla crisi afgana.

Oliviero Toscani invitava i due rappresentanti della destra politica e giornalistica a chiudere gli occhi per immaginarsi il mondo tra 15 anni. La tesi del fotografo era che si sarebbero vergognati delle loro tesi odierne ripensando a come volevano lasciar morire nel 2021 chi ci implora aiuto fuggendo da una guerra creata dall’occidente. Alla fine La Russa rispondeva a Toscani (da lui chiamato Toscano come fanno i nonni anziani che storpiano i cognomi) che anche lui un rischio lo vedeva tra 15 anni ma era quello di importare in Italia, con l’immigrazione, la cultura islamica.

Stufo del dibattito prevedibile ancorché ben orchestrato da Veronica Gentili, ho girato su LaF, rete di Feltrinelli, scoprendo così un bel programma dal titolo Voglio vivere in Italia, giunto alla sua seconda edizione. La scheda di presentazione dice: “Seguiamo due couchsurfers, persone che viaggiano facendosi ospitare sul divano di sconosciuti. Simone ed Anna sono in visita in diversi posti d’Italia per scoprirne le caratteristiche uniche”. Ogni puntata racconta le storie di immigrati che hanno scelto l’Italia.

Ed effettivamente le storie scovate sono originali: c’è il ragazzo venuto dall’Africa senza un soldo in tasca, adottato dall’artista della pietra leccese che ora è diventato un maestro quotato, c’è l’italo-americano tornato in Molise, dove ha messo su un’impresa per aiutare i nipoti degli emigrati come lui a rintracciare le loro radici con tanto di documenti originali scovati negli archivi, e soprattutto c’è la storia di Saifeddine Maaroufi. All’intervistatrice che gli chiedeva perché fosse venuto in Italia, spiegava con il sorriso di essere andato via dal suo paese perché la situazione politica che si era creata dopo la rivoluzione gli impediva di professare le sue idee. Così aveva preso un volo ed era atterrato in Italia con tutta la famiglia dove si è trovato benissimo a Lecce, in cui vive e lavora e ha avuto altri due figli maschi.

La cosa per me interessante è che lo Stato abbandonato da Saifeddine Maaroufi non era l’emirato islamico appena nato in Afganistan, ma la Tunisia. Il Governo dal quale fuggiva non era troppo islamico ma troppo laico. Il “cambio di regime” che lo aveva convinto a trasferirsi definitivamente in Italia era la cosiddetta “Rivoluzione dei gelsomini”, accolta in Italia e in Occidente positivamente perché ha portato alla fuga in Arabia del presidente Ben Ali e alle elezioni di un’Assemblea Costituente.

Saifeddine Maaroufi spiegava che a Tunisi in quegli anni non si sentiva tranquillo a circolare con la barba. A leggere un’intervista sul web si scopre che era dispiaciuto anche perché le donne, compresa sua moglie, a Tunisi non potevano portare il velo in santa pace. Il Governo, inoltre, già ai tempi di Ben Ali lo aveva schedato per il suo credo. Il religioso tunisino in Italia invece, come mostrato in tv, si è realizzato pienamente. Tanto che è l’Imam di Lecce da molti anni. La sua emigrazione non è stata dettata da motivi economici.

Era un dirigente e anche la moglie a Tunisi lavorava. Vivevano in un quartiere di lusso della capitale e, come diceva Saifeddine scherzando all’intervistatrice de LaF, in Italia non sono arrivati con il barcone ma con il volo in business class. Una scelta di libertà religiosa quindi lo ha portato in Italia, ma di segno opposto a quella che ci si aspetterebbe. Si viene in Italia per professare non la religione cattolica o la laicità ma la religione islamica. La sua scelta si è rivelata giusta: l’Imam è perfettamente integrato a Lecce al punto che ha portato gli inviati del programma a visitare le bellezze nascoste dell’antica Lecce che nemmeno i leccesi conoscono.

L’Imam è un moderato che predica la tolleranza e la pace con toni molto diversi da quelli dei talebani e sostiene che la sua religione non prevede lo stato islamico. Infatti è stato più volte minacciato in questi anni dagli estremisti. La sua presenza in Italia nel servizio era descritta come un fattore positivo di convivenza civile, nella diversità netta e non sempre per noi comprensibile, certo. Per esempio sul web si trova traccia del suo rifiuto di partecipare alla messa cattolica come forma di solidarietà per l’assassinio di padre Jacque Hamel a Rouen, sgozzato nella chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray.

L’Imam guida a Lecce una comunità di 7mila fedeli, in tutto il tacco d’Italia 22mila. Nel filmato lo si vede sorridere ai leccesi e abbracciarsi in piazza con l’amico parroco, come nella migliore delle favole a lieto fine. Per un breve istante alla fine del servizio si intravedeva tutta la famiglia con la moglie coperta dal suo chador che nascondeva i capelli e le forme ma mostrava il volto. Non ha parlato in tv. E quindi dal servizio non si capiva cosa ne pensi lei del trasferimento, dell’Italia e se anche a Lecce continui a lavorare come in Tunisia. Comunque sembrava felice con il marito e i figli, probabili futuri cittadini italiani.

Alla fine quali sono le conclusioni di questa serata di zapping tra culture e reti diverse? Che viviamo una stagione complicata. Che non esistono schemi semplici per interpretare la realtà e che per capire qualcosa di più talvolta è meglio un’inchiestina sociale che ti lascia qualche dubbio di un talk-show politico pieno di certezze contrapposte.

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