In questa settimana di lacrime e sangue la circolarità della storia emerge con forza e ci ricorda che la politica, quella fatta male, con secondi fini, è sempre schiava del fucile. Gli americani se ne vanno dall’Afghanistan con il sangue degli innocenti che scorre nelle strade, lasciando il paese in mano agli stessi terroristi che dovevano pagare per quello che ha bagnato i marciapiedi di New York. È questo il bilancio orrendo della guerra al terrorismo.
Se ne vanno con alla guida del paese un comandante supremo che promette di punire i colpevoli, in che modo, con che cosa? Nessuno lo sa. Parole, propaganda che non cancellano i fatti. Joe Biden è un presidente incapace di gestire la complessità di quanto stiamo vivendo con la manipolazione, prima di lui altri presidenti sono caduti nella stessa trappola. E gli alleati, tutte quelle nazioni che dopo la tragedia delle torri gemelle avevano fatto quadrato intorno alla Casa Bianca, e che cercano di giustificare una decisione che ancora una volta non ha senso, anche loro appartengono a questa categoria di politicanti da due soldi.
Invece di concentraci sull’Afghanistan, di stroncare il cancro dei Talebani, ci si è concentrati in Iraq, si sono costruite prove false, prodotte fandonie, tra cui l’alleanza tra bin Laden e Saddam Hussein, si è dichiarata l’esistenza di armi di distruzione di massa per rimuovere un dittatore che non andava più a genio all’Occidente. Nessuno ne parla oggi, ma un giorno i nostri nipoti lo leggeranno sui libri di storia. Leggeranno anche che nell’ombra di una politica egemonica da guerra fredda, in un mondo senza due superpotenze ma profondamente multipolare, i Talebani si sono leccati le ferite e lentamente sono tornati al potere.
Ecco la debolezza dell’Occidente post 1989. Non serve oggi, per giustificare questa catastrofe, fare distinzioni tra vecchi e nuovi terroristi, come quelli dell’ISIS-K. Come se si potesse distinguere tra mafia classica e ‘ndrangheta, come se ci fosse un crimine organizzato che si riforma e con il quale si può dialogare. Come se il nemico comune trasformasse un nemico in amico. Basta con queste strategie teatrali.
Talebani, al Qaeda, Isis qualunque sia la sigla usata sono tutte organizzazioni terroriste, si fanno la lotta tra di loro? È nella loro natura, chi usa la violenza quale strumento di potere fa la guerra permanente, anche le famiglie mafiose ogni tanto fanno scorrere il loro sangue, ma questo non significa che siano diventate legittime. È ora di dire basta e di mettere a tacere chi con analisi fantapolitiche ci vuol far credere che andarsene dall’Afghanistan è giusto perché in fondo l’obiettivo è stato raggiunto, sarebbe invece ora di punire chi per secondi fini ci ha fatto credere che il mandante dell’11 settembre era Saddam Hussein.
La verità? L’Occidente questa guerra l’ha persa ed è una guerra che continuerà. Non illudiamoci, Biden pagherà cara la ritirata ma è vecchio e dunque poco interessato a una rielezione. Chi invece sconterà le sue colpe sono i democratici, che appaiono deboli e senza un piano strategico. E infatti dopo il secondo attentato lo hanno abbandonato, ma è tardi, il danno c’è, si vede e non scomparirà.
Ironia della sorte vuole che la guerra contro il terrorismo sia opera repubblicana, e anche l’accordo con i Talebani per ritirare le truppe dall’Afghanistan è opera dell’amministrazione Trump. Ma la decisione di riportare le truppe a casa da questo paese fu di Barack Obama, come fu Obama che appena eletto incitò gli alleati a trattare con i Talebani. Io facevo parte di un gruppo di esperti sotto la guida dei governi alleati, quando ci venne detto il piano d’azione fui l’unica a rifiutarlo, quel giorno in protesta uscii dalla riunione e presentai le mie dimissioni. Il piano andò avanti e oggi è l’ex vice di Obama, Joe Biden, che presenzia all’uscita miserabile della bandiera a stelle e strisce da Kabul.
Anche gli alleati, i ministri degli Esteri europei che ci promettono di gestire i Talebani, quelli che dialogano con Putin affinché faccia in Afghanistan quello che ha fatto in Siria, anche loro non devono illudersi, prima o poi la caduta di Kabul e il sangue degli innocenti porrà fine alla loro carriera in maniera ignominiosa. Il tribunale dei diritti umani della gente non perdona. Fortunatamente anche nell’era delle notizie lampo, delle fake news e dei social media, la memoria resiste. Ci vorrà tempo, tanto, ma succederà.
Ai colleghi che insieme a me in queste settimane hanno pianto di dolore e di rabbia, alcuni anche davanti alle telecamere, che hanno dedicato vent’anni della loro vita per fare giustizia e che si domandano a cosa sia servito, voglio ricordare che la storia non dimentica, che tutto ciò che abbiamo fatto è valso a testimoniare la verità. Che chi verrà dopo di noi almeno saprà cosa non fare. No, noi non abbiamo perso.