L'Alto rappresentante per la Politica Estera dell'Ue, Josep Borrell, intervistato dal Corriere della Sera invita i 27 a unirsi nella formazione di una First Entry Force che possa essere impiegata rapidamente in caso di emergenza, senza passare dal Consiglio Ue. E invita gli Stati membri a non dividersi sui rifugiati afghani: "Non sono semplici migranti, molti di loro stanno chiedendo asilo politico"
L’esperienza afghana dimostra che l’Europa deve dotarsi il prima possibile di una sua forza militare di intervento rapido perché la strategia di Washington nel Paese asiatico è la prova che “gli Usa non hanno più intenzione di combattere le guerre degli altri”. Ne è convinto l’Alto rappresentante per la Politica Estera dell’Ue, Josep Borrell, che, intervistato dal Corriere della Sera, invita i 27 a unirsi nella formazione di una First Entry Force che faccia sì, ad esempio, che Bruxelles possa impiegare in poco tempo e senza dover ottenere il via libera di tutti i membri un contingente come quello che gli Usa sono riusciti a schierare a protezione dell’aeroporto di Kabul, rendendoli indispensabili anche per l’evacuazione degli altri Paesi impegnati su suolo afghano. E annuncia che, riguardo alla questione dei rifugiati, l’Unione sosterrà anche economicamente i Paesi confinanti con l’Afghanistan, compreso l’Iran, per la gestione delle persone in fuga dal nascente Emirato Islamico. Concetti simili a quelli espressi ieri anche dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, che ha parlato di un’Europa che in Afghanistan “ha messo in evidenza la sua scarsa capacità di incidenza, totalmente assente negli eventi. È indispensabile assicurare subito gli strumenti di politica estera e di difesa comune“, oltre a definire “sconcertante” un’Ue che “esprime solidarietà agli afghani che perdono i diritti ma non vuole accoglierli”.
“Questa è in primo luogo una catastrofe per gli afghani, un fallimento per l’Occidente e un punto di svolta per le relazioni internazionali – esordisce secco il capo della diplomazia europea – È la fine della presenza militare occidentale in Afghanistan, ma di sicuro per noi questa non è la fine della questione, perché dobbiamo continuare a sostenere la gente in Afghanistan”. L’intervento militare, quello delle forze Nato ed europee, fu necessario visto che gli Usa stavano rispondendo a un attacco arrivato da un Paese non-Nato, ma ha mostrato ancora una volta i limiti dell’Europa nel coordinarsi: “Come europei – ammette Borrell – non abbiamo avuto un approccio chiaro e che fosse nostro. Il primo obiettivo era combattere al-Qaeda e lo abbiamo fatto. Poi c’era un secondo obiettivo più confuso, ossia cercare di costruire uno Stato moderno. E in questi vent’anni qualcosa è stato fatto, non possiamo essere negativi su questo. Fra l’altro, abbiamo permesso a 3 milioni di bambine di andare a scuola. Ma la costruzione di uno Stato moderno non ha avuto tempo di mettere radici profonde. Dunque come europei abbiamo la nostra parte di responsabilità, non è stata solo una guerra americana”.
America che, inoltre, ha mostrato prima con Donald Trump e definitivamente con Joe Biden che il dossier Afghanistan è ormai chiuso. Ma gli Stati europei non possono avere lo stesso approccio, anche perché la grave crisi umanitaria che potrebbe esplodere nel Paese avrà inevitabili ripercussioni anche sul Vecchio Continente: “Non è il momento di disimpegnarci, come europei dobbiamo usare questa crisi per imparare a lavorare di più insieme. E per rafforzare l’idea dell’autonomia strategica. Dovremmo essere in grado di muoverci anche da soli. Rafforzando le nostre capacità, rafforziamo la Nato. L’Europa spesso reagisce solo di fronte alle emergenze. Da questa esperienza dobbiamo trarre degli insegnamenti. Ognuno dei Paesi Ue presenti in Afghanistan si è mobilitato attorno all’aeroporto di Kabul in queste settimane. Hanno cooperato fra loro e hanno condiviso le capacità di trasporto. Ma come europei non siamo stati in grado di mandare 6mila soldati attorno all’aeroporto per proteggere la zona. Gli americani ci sono riusciti, noi no. Per questa ragione nella ‘bussola strategica’ proponiamo la creazione di una Initial Entry Force europea che possa agire rapidamente nelle emergenze. La Ue deve essere in grado di intervenire per proteggere i propri interessi quando gli americani non vogliono essere coinvolti. La nostra Initial Entry Force dovrebbe essere composta di 5mila soldati in grado di mobilitarsi a chiamata rapida”. E nel caso in cui questa proposta non dovesse ottenere l’unanimità in Consiglio Ue, aggiunge, “prima o poi un gruppo di Paesi deciderà di andare avanti da solo. I governi che lo vogliono non accetteranno di essere fermati”.
E si sofferma anche sulla questione dei rifugiati, spiegando che almeno su questo tema dovrebbe esserci unità in Ue. Non si tratta, infatti, “semplicemente di migranti, la maggior parte di loro sono richiedenti asilo“. Le capacità di assorbimento di un eventuale esodo, spiega però, non sono sufficienti ed è quindi necessario attuare accordi con i Paesi limitrofi, quelli al confine con l’Afghanistan, per la gestione dell’emergenza migratoria, un po’ come già fatto con la Turchia per i rifugiati siriani: “Quello che è vero è che sulle questioni relative all’Afghanistan dovremo aumentare la cooperazione con i Paesi limitrofi. Dobbiamo aiutarli di fronte alla prima ondata di rifugiati. Non è che gli afghani che fuggono arrivano per prima cosa a Roma, ma magari a Tashkent. I Paesi in prima linea vanno aiutati – conclude – Senza una forte cooperazione non si può fare niente. I Paesi limitrofi saranno coinvolti più e prima dell’Europa. Dunque, vuol dire anche dare a quei Paesi un sostegno finanziario come abbiamo fatto con la Turchia”.