La Procura dello Stato egiziano ha dato ordine di scarcerare tre giovani attivisti accusati, tra gli altri, di terrorismo. Si tratta di Shaima Sami, giornalista e ricercatrice dell’Anhri di Alessandria d’Egitto, Shady Sorour, blogger e regista, e Ziad Abou al-Fadi, esponente politico. La notizia è arrivata nella tarda serata di domenica e ha provocato tantissime reazioni nel mondo dell’attivismo egiziano. Tre casi di ingiusta detenzione, tre storie di ordinaria follia quelle legate ai protagonisti che presto torneranno a riabbracciare le loro famiglie. Tutti con una lunga detenzione alle spalle e con i singoli casi giudiziari modificati in corso d’opera da parte del diabolico sistema giudiziario del paese dei Faraoni, abile a sfinire i suoi ‘nemici’, specie i soggetti arrestati per reati di coscienza.

Una buona notizia per il movimento di resistenza egiziano che mai come nel 2021 sta ricevendo segnali concreti che qualcosa all’interno del granitico apparato giudiziario sta iniziando, forse, a cambiare. Una piccola breccia in continuo allargamento. Mai come negli ultimi mesi si sta assistendo a un lento ma costante rilascio di giornalisti, avvocati, politici, professionisti, blogger e così via, anche se tantissimi restano ancora rinchiusi nelle loro celle. Tra loro, ovviamente, anche Patrick Zaki, lo studente Erasmus dell’Università di Bologna arrestato da quasi 600 giorni e in carcere a Tora. La concessione della Procura, ergo dello Stato egiziano, di ‘rimettere in strada’ come i usa dire nel gergo dell’attivismo locale, altri pezzi di un mosaico fatto di attivisti dei diritti umani è un segnale molto positivo che presto potrebbe riguardare anche il ‘nostro’ Zaki.

Shaima Sami era stata arrestata il 20 maggio 2020 ad Alessandria d’Egitto, la sua città natale, quando una squadra della National Security era piombata in casa sua in piena notte per strapparla ai suoi affetti. Come la maggior parte dei detenuti politici in Egitto anche Shaima ha visto il suo caso originale riciclato in un altro nel gennaio scorso. La modifica del caso, non del capo d’imputazione principale, sempre legato a ‘terrorismo’ e ‘diffusione di false notizie’, aveva fatto pensare a una lunga detenzione e invece nella tarda serata di ieri la comunicazione che ha fatto esultare tutto il mondo delle ong locali che si occupano di tutela dei diritti umani.

La notizia, diffusa dalla stessa Procura dello Stato e rilanciata attraverso i canali ufficiali e social, comprendeva l’ordine di scarcerazione di Shady Sorour, 26 anni, regista e blogger, finito in carcere nel marzo 2019, quindi ben oltre il termine del secondo anno di detenzione rinnovata ogni 15 e poi 45 giorni. Tecnicamente Sorour avrebbe dovuto lasciare il carcere da cinque mesi, considerato il termine massimo di due anni di detenzione senza giudizio, ma anche lui ha subìto la modifica del caso giudiziario, da qui la dilatazione dei tempi. L’orizzonte per lui sembrava molto peggiore degli altri visto che gli inquirenti lo accusavano di terrorismo in relazione alla sua presunta vicinanza coi Fratelli Musulmani, l’organizzazione messa al bando dal presidente Abdel Fattah al-Sisi dopo la sua salita al potere con il Golpe di Stato del luglio 2013.

A pesare nei confronti di Sorour i suoi video satirici molto pungenti, soprattutto quelli di carattere religioso appunto. Fino ai post Facebook del febbraio 2019 quando annunciava la sua decisione di diventare ateo e poi aderiva alla campagna di manifestazioni anti-regime rilanciati dalla Turchia da un noto giornalista e critico televisivo, affiliato alla Fratellanza Musulmana. Nonostante Shady Sorour si sia sempre dichiarato ostile ai Fratelli Musulmani non è bastato a evitargli l’arresto e la lunga carcerazione preventiva.

Infine il terzo e ultimo rilascio ‘eccellente’. Riguarda Ziad Abu al-Fadi, membro politico del Partito Bread and Freedom (Pane e libertà), arrestato il 5 marzo 2019. Al-Fadi è stato messo in prigione quasi due anni e mezzo fa nel caso 1739, poi modificato nel n. 855 del 2020 con le seguenti accuse: affiliazione a gruppo terroristico, pubblicazione di notizie false, uso distorto dei social media, tutto con la consapevolezza degli scopi. Un recente rapporto dell’Ecrf (Commissione egiziana per i diritti e le libertà), la stessa ong che tutela la famiglia di Giulio Regeni al Cairo, diffuso a livello internazionale presenta il quadro dettagliato dei detenuti politici in prigione. Il documento, lungo quasi 130 pagine, presenta i casi di centinaia di attivisti egiziani arrestati dal regime negli ultimi otto anni. La lunga lista va decurtata dei tre giovani su cui ieri sera è arrivato l’ordine di scarcerazione.

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