In molti si odiano, altri semplicemente si detestano, hanno tramato e complottato l’uno contro l’altro, amici non saranno mai, forse nemmeno alleati ma almeno stanno provando a chiudere un capitolo per far fronte a un nemico che sentono avanzare nei loro emirati, sultanati e repubbliche presidenziali: l’Isis. E’ questo il senso del vertice di Baghdad dove governanti e leader del Mondo Arabo si sono seduti allo stesso tavolo, c’era anche il capo della diplomazia dell’Iran. Garante – che non ci fossero coltelli sotto il tavolo e che il tè alla mente non fosse avvelenato – il presidente francese Emmanuel Macron. La presa dell’Afghanistan da parte dei Talebani e il ritorno dell’Isis sulla scena mondiale hanno costretto tutti ad un bagno di umiltà e affrontare la situazione con maggiore pragmatismo.
Gli organizzatori hanno tenuto la bocca chiusa sull’agenda del vertice, ma l’incontro arriva mentre l’Iraq, da tempo vittima del terrorismo dell’Is, cerca di affermarsi come mediatore tra i Paesi arabi e l’Iran. Baghdad è da anni “intrappolata” in un delicato equilibrio tra i suoi due principali alleati, Iran e Stati Uniti. L’Iran esercita una grande influenza in Iraq attraverso gruppi armati alleati all’interno dell’Hashd al-Shaabi, una potente rete paramilitare sponsorizzata dallo Stato. Gli Usa hanno in Qatar la più grande base militare fuori dal territorio nazionale e senza l’aiuto di Doha la ritirata da Kabul sarebbe stata ancora più sanguinosa. Baghdad ha anche negoziato lo scorso aprile le trattative tra l’Arabia Saudita, alleata degli Stati Uniti, e l’Iran per ricucire i legami interrotti nel 2016.
C’erano i “carissimi nemici”, Egitto e Qatar seduti allo stesso tavolo e il presidente egiziano Abdel Fasttah al Sisi si è a lungo trattenuto a colloquio con l’emiro del Qatar Tamim bin Ahmed al Thani, dopo anni di gelo diplomatico. Il Qatar negli anni passati ha sempre sostenuto la Fratellanza musulmana in Egitto, il nemico giurato dell’attuale regime. Un clima disteso fra i due leader anche se privo di grandi risultati, se non la ripresa dei collegamenti aerei fra i due Paesi. C’era re Abdullah di Giordania, il cui trono traballante è stato oggetto di trame dell’Arabia Saudita per rovesciarlo in favore del più giovane (e malleabile) fratellastro. Poco distante il ministro degli Esteri saudita in tirato quanto poco convincente sorriso. Sono oltre 4mila i volontari giordani che si unirono all’Is negli anni passati, il risentimento per il fallimento economico è benzina per le cellule dormienti sparse nel regno hashemita, specie sul labile confine desertico con l’Iraq.
Hossein Amirabdollahian, fresco di nomina agli Esteri da parte del nuovo presidente iraniano Ebrahim Raisi, ha scambiato qualche battuta con il “nemico” Adel bin Ahmad al-Jubayr capo della diplomazia di Riad. I due Stati si stanno facendo una feroce guerra per procura nello Yemen, precipitato ormai nella catastrofe umanitaria. A lui il tentativo di ricucire le relazioni estere del suo reame devastate dalle scelte del principe ereditario Mohammed bin Salman. Dopo lo scandalo sull’assassinio di Jamal Kashoggi a Istanbul, l’Occidente ha chiuso le porte a MBS che è anche “persona non gradita” negli Usa.
D’altronde chi si siederebbe al tavolo da poker con un baro dichiarato? Eppure Riad è uno storico alleato degli Usa. Gli arabi sono orgogliosi, verbosi, mutevoli, capziosi, ostinati e vendicativi. Ma se gli attuali governanti vogliono restare in sella sono costretti a trovare un fronte comune per affrontare i nuovi scenari. Sono tutti sopravvissuti alle “primavere arabe” ma potrebbero non sopravvivere al ritorno dell’Isis. E’ il Qatar lo Stato di cui nel futuro non si potrà fare a meno per negoziare con l’Iran e con i nuovi padroni di Kabul. L’emirato di Al Jazeera ha sempre mantenuto canali aperti con i talebani sconfitti prima e vittoriosi adesso. Stando a quanto riferito proprio dal canale satellitare di Doha, i talebani in Afghanistan chiederanno l’aiuto del Qatar nella gestione dell’aeroporto internazionale di Kabul dopo la partenza delle forze internazionali.