Il capannone di Cormano acquistato da Lombardia Film Commission, scrive il gup di Milano Guido Salvini, "rischiava di rimanere invenduto e di deteriorarsi e solo la decisione degli imputati di acquistarlo" gli ha attribuito il valore gonfiato di 800mila euro. Soldi che poi furono spartiti tra Di Rubba e Manzoni (condannati rispettivamente a 5 anni e 4 anni e 4 mesi per peculato), il venditore Michele Scillieri e l'imprenditore Francesco Baracchetti
Alberto Di Rubba e Andrea Manzoni, revisori contabili della Lega in Parlamento, hanno usato “la loro attività di origine politica” per “ottenere arricchimenti personali”, mettendo in pratica un “modello davvero deteriore”. Sono le dure valutazioni espresse dal gup di Milano Guido Salvini nelle motivazioni della sentenza con cui il 3 giugno scorso ha condannato Di Rubba a 5 anni di reclusione e Manzoni a 4 anni e 4 mesi per il caso del capannone di Cormano, nel Milanese, acquistato dalla Lombardia Film Commission in una compravendita con cui sarebbero stati drenati 800mila euro di fondi pubblici. Per il giudice – si legge nelle oltre 100 pagine del provvedimento – non si è trattato “di un peculato piccolo piccolo, come quello dell’impiegato comunale o del dipendente delle Poste che si appropria di beni”, bensì di un “piano costruito nel tempo“, già dal 2017, “che si è avvalso, per la sua realizzazione, delle competenze di Di Rubba (che all’epoca era presidente di Lfc, ndr) e Manzoni, inseriti ad alto livello in enti pubblici”, e di quelle di Michele Scillieri, commercialista esperto e di successo”, che ha patteggiato 3 anni e 4 mesi lo scorso febbraio. Per Di Rubba e Manzoni, finiti ai domiciliari, di recente la misura cautelare è stata convertita in quella più lieve dell’obbligo di dimora.
Insediarsi “in un Ente regionale e sfruttare tale posizione” per “dirottare su se stessi denaro pubblico – scrive il giudice – è un pessimo esempio perché aggiunge sfiducia e rifiuto da parte dei cittadini nei confronti delle amministrazioni territoriali e nella attività politica in genere”. Nell’inchiesta, coordinata dall’aggiunto Eugenio Fusco e dal pm Stefano Civardi, gli imputati hanno anche mostrato reticenza. “È immediato notare come quelle di Di Rubba – si legge – siano dichiarazioni confuse, incerte, imbarazzate e in parte contraddittorie. Tutto avviene per caso, ogni avvenimento è sfocato, indistinto, come immerso in una nebbia lombarda”. Un intero capitolo è dedicato al concetto di prezzo come proprietà “non intrinseca” di un bene mobile o immobile. “Un immobile – scrive il giudice – è un ente fisico, ma il suo valore non è intrinseco ad esso, non è una sua proprietà, non fa parte della sua “sostanza” ma è determinato “dalle relazioni soggettive tra il proprietario e i possibili acquirenti”. Il capannone di Cormano “rischiava di rimanere invenduto e di deteriorarsi per un tempo indefinito, gravato in più dal debito erariale, e solo la decisione degli imputati, nei loro diversi ruoli, di acquistarlo” ha “attribuito in concreto il valore di 800.000 euro” a un bene “che altrimenti poteva non valere nulla“.
A vendere il capannone a Lfc fu Andromeda, società riconducibile a Scillieri: i commercialisti si spartirono il prezzo pagato dall’ente assieme all’imprenditore Francesco Barachetti (ancora a processo), sulla carta impegnato nella ristrutturazione. In più, nelle motivazioni, sono riportati passaggi di interrogatori nei quali Scillieri ha parlato di “prassi adottate dalla Lega Nord e di cui aveva avuto conoscenza personalmente, relative agli incarichi pubblici e alla successiva parziale retrocessione degli emolumenti (il “sistema del 15%” raccontato dal Fatto, ndr)“. Prassi “condivise e collaudate” da Di Rubba e Manzoni. Per quanto riguarda i filoni d’indagine ancora aperti, infine, dovrebbero presto arrivare a Milano gli atti dell’inchiesta sulla sparizione dei 49 milioni di euro della Lega, una parte della quale è stata trasferita dalla Procura di Genova ai colleghi lombardi, mentre l’altra (su un presunto riciclaggio di dieci milioni in Lussemburgo) va verso l’archiviazione.