Cronaca

Federico Barakat, a più di dodici anni dalla morte ancora non ci sono responsabili

Sono trascorsi più di dodici anni dall’assassinio di Federico Barakat, avvenuto nella sede dell’Asl di San Donato Milanese durante una visita vigilata, e ancora non ci sono responsabili per una morte che fu annunciata da un padre violento con vessazioni, violenze e minacce.

La madre di Federico, Antonella Penati, oggi presidente dell’associazione “Federico nel Cuore”, attende ancora giustizia e chiede che siano individuate le responsabilità che portarono alla morte violenta, avvenuta con 37 coltellate, del figlio di 9 anni. Oggi c’è stata la conferenza stampa organizzata dall’associazione “Federico nel Cuore” e dall’Udi (Unione donne in Italia) e alla quale hanno partecipato Antonella Penati, Vittoria Tola, presidente Udi, e gli avvocati Federico Sinicato e Bruno Nascimbene. L’avvocato Sinicato ha ricostruito l’intera vicenda: dal 2005 subito dopo la separazione dal marito, Mohamed Barakat, Antonella Penati presentò ben 17 denunce per maltrattamenti e minacce ma non fu creduta, anzi venne giudicata da una Ctu “madre iperprotettiva”. Federico venne costretto a incontrare il padre nonostante ne fosse terrorizzato fino al giorno in cui venne ucciso, il 25 febbraio 2009.

“Antonella Penati incomprensibilmente non ha mai ottenuto giustizia, – ha detto l’avvocato Sinicato – né dallo Stato italiano, che assolse gli assistenti sociali e l’educatore dell’Asl di San Donato Milanese in primo grado e poi in Cassazione (in appello fu solo riconosciuta una responsabilità parziale). La Suprema Corte affermò il principio secondo cui non si potesse individuare nessuna responsabilità in capo agli imputati perchè il decreto del Tribunale dei Minorenni che affidava il bambino al servizio sociale, era finalizzato a scopi educativi e non espressamente a tutela dell’incolumità psicofisica del minore. Pare assurdo pensare che vi debba essere una norma scritta che sancisca la sussistenza di una posizione di garanzia in capo all’ente affidatario del minore, eppure è ciò che emerge dall’iter processuale”.

Antonella Penati nel 2015 è ricorsa alla Corte Europea dei diritti umani (Cedu) perchè il suo bambino “non era stato protetto per violazione del diritto alla vita (articolo 2 della Convenzione europea dei diritti umani) e per la mancata adozione di misure preventive e di protezione di un bambino esposto all’incontro con il padre violento”. Ma la Cedu, l’11 maggio scorso, ha respinto il ricorso di Antonella Penati, aderendo alle stesse motivazioni che avevano portato all’assoluzione in Italia, degli assistenti sociali e dell’educatore. L’avvocato Sinicato parla “un pericoloso precedente che solleva un’istituzione dall’obbligo di garantire l’incolumità fisica di un minore in sua custodia”. A seguito della pronuncia della Cedu, Antonella Penati ha deciso di appellarsi alla Grande Camera di Strasburgo e chiede la riapertura del fascicolo sulla morte di Federico, ma le possibilità che la sua richiesta sia accolta sono esigue, solo il 5% dei ricorsi hanno esito positivo.

“La sentenza Cedu ha confermato – ha dichiarato Antonella Penati – che lo Stato italiano non ha alcuna responsabilità ed è necessario sollevare l’opinione e la coscienza pubblica su questo caso. Se uno Stato non è obbligato a tutelare i bambini chi li deve proteggere? Lo Stato italiano ha preteso di avocare a sé la decisione di organizzare quegli incontri, dopo aver limitato la responsabilità genitoriale e aver ignorato gli appelli della madre a tenere nella dovuta considerazione i precedenti e la pericolosità del padre, pretende di non aver commesso errori”.

In questa battaglia Antonella Penati è sostenuta dall’Udi, dalla Cgil, la Cisl e la Uil e dall’associazione nazionale DiRe – Donne in rete contro la violenza: “Ad oggi nessuno nel nostro Paese si è assunto la responsabilità della morte di Federico nel corso di un incontro protetto – ha osservato Elena Biaggioni, referente del Gruppo avvocate DiRe – per questo la rete dei Centri antiviolenza auspica che la Grande Camera riesamini la vicenda, stabilendo la responsabilità degli Stati nella valutazione del rischio di subire nuova violenza cui sono esposti i bambini e le donne”.

DiRe chiederà di intervenire come amicus curiae come già fatto nel caso “Kurt contro Austria” per ricordare la necessità da parte delle istituzioni, di valutare il rischio, di ascoltare le vittime di violenza e di tutelare i bambini che assistono ai maltrattamenti.

Anche l’associazione “Dieci” sarà accanto ad Antonella Penati nel ricorso alla Grande Camera. “Dieci”, come le denunce che la sua presidente, Etica Patti, fece contro l’ex marito Pasquale Iacovone, che uccise i loro figli, Davide e Andrea, dopo mesi di violenze e minacce. Nemmeno le visite tra Pasquale Iacovone e i figli vennero sospese. Una vicenda analoga a quella di Antonella Penati che rivela come il sistema a tutela delle donne e dei minori vittime di violenza domestica non funzioni e abbia gravi lacune con esiti talvolta tragici e irreversibili.

Siamo tutte con Antonella Penati e auspichiamo che la Grande Camera accolga il suo appello, per Federico e per tutti i bambini e le bambine che restano senza tutela per incompetenze e pregiudizi che portano alla sottovalutazione della violenza nelle relazioni di intimità.

@nadiesdaa