In queste settimane, i mass media nazionali si sono spesso occupati dell’Afghanistan, specie dopo il ritiro delle truppe militari americane e la presa del potere da parte dei talebani. Tuttavia, si è parlato delle conseguenze di questi “interventi” militari sulla salute pubblica e sulla mortalità molto raramente. Lo stesso discorso vale per l’Iraq, nazione che, come l’Afghanistan, è entrata nel mirino degli Usa e degli alleati dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001.
Al fine di comprendere questi paesi e il contesto che li caratterizza, sarebbe necessario che i mass media nazionali si occupassero anche di una domanda: quanti civili hanno perso la vita in seguito alle violenze e alle conseguenze degli “interventi” militari in Afghanistan e Iraq?
Il numero esatto non lo sapremo mai. Esistono però alcune stime che fanno riflettere.
Afghanistan (e Pakistan)
Secondo i dati del Watson Institute della Brown University, dal 2001 al 2021, le vittime civili decedute a causa delle violenze e delle conseguenze dell’intervento militare sono state circa 47245 in Afghanistan e 24099 in Pakistan. Lo stesso rapporto spiega che i costi di questi interventi per i contribuenti statunitensi si è aggirato attorno ai 2200 miliardi di dollari! Tale quantità di denaro ha arricchito soprattutto l’industria militare e solo una minima parte di queste risorse sono state investite in sviluppo socioeconomico, istruzione e salute. Il tema è stato oggetto di numerose analisi, inclusa una feroce critica da parte di Jeffrey Sachs, direttore del Centro per lo Sviluppo Sostenibile della Columbia University.
Jeffrey Sachs mi ha spesso fatto riflettere: l’economista americano, ex consulente della Banca Mondiale, è stato uno dei pianificatori delle politiche neoliberiste applicate alla ex Unione Sovietica durante la cosiddetta “transizione economica” dopo il crollo del muro di Berlino, misure che sono state spesso denominate “terapia dello shock” e associate a una delle peggiori crisi di mortalità di origine politico-economica nella storia recente. Tuttavia, le sue posizioni politiche più recenti includono non solo critiche alla politica internazionale degli Usa nei confronti di paesi come l’Afghanistan (e la Cina), ma anche forti prese di posizione contro le politiche economiche americane che, secondo Sachs, favoriscono una “plutocrazia” e il profitto di pochi.
Iraq
Sull’Iraq esistono numerose stime, alcune al centro di polemiche e discussioni tra epidemiologi, biostatistici e ricercatori. Uno studio su Lancet, che ha stimato oltre 600.000 decessi nel periodo dal 2002 al 2006, è stato al centro di numerose critiche. Un altro studio pubblicato su New England Journal of Medicine, relativo allo stesso periodo temporale, ha prodotto una stima di 151.000 decessi. Infine, secondo il progetto Iraqi Body Count, tra il 2003 e il 2017 sono morti circa 200.000 civili a causa dell’intervento militare e delle sue conseguenze.
Queste stime sono già tragiche così. Tuttavia, non considerano gli effetti di queste guerre su importanti determinanti della salute come l’accesso al cibo, l’accesso all’acqua e servizi igienici, l’accesso alle cure sanitarie e il peggioramento delle condizioni socioeconomiche dei paesi esposti a decenni di conflitti.
I giornali e le tv nazionali dovrebbero informarci meglio sugli effetti di queste guerre ma, come spiegano Edward Herman e Noam Chomsky in Manufacturing Consent, alcune vittime ricevono ampia attenzione mediatica, mentre altre poca o nessuna. Ecco perché se facessimo una breve indagine sulla consapevolezza e sulle conoscenze degli italiani e degli americani relativamente alle vittime di queste guerre, ne uscirebbero risultati poco edificanti. Per fortuna, esistono documentari come il film di John Pilger The War You Don’t See e l’ultima puntata di Presa Diretta, dove i morti nella popolazione civile durante le “guerre” (sarebbe meglio chiamarle invasioni e occupazioni) in Afghanistan e Iraq vengono trattate come “vittime di serie A”.