Fermatevi. Le dimissioni del sindaco di Casal Di Principe, Renato Natale, meritano un sussulto di attenzione, esigono un ripensamento e la democrazia, al contrario delle dittature, è costruita per consentire i “ripensamenti” proprio perché è consapevole della fallacia del giudizio umano e della complessità sempre in divenire della condizione umana medesima.
Vi prego, ascoltate la conferenza stampa del sindaco, guardatela bene, perché ci troverete espresse le ragioni che stanno alla base del suo gesto, ma non sarà difficile scorgere, oltre a quelle espresse, pure quelle non espresse. Per ritegno, per prudenza, per dignità istituzionale e personale. Il sindaco di Casal di Principe si dimette perché non può rappresentare con la propria faccia uno Stato che attraverso la legalità fa ingiustizia.
Le ruspe non possono essere l’unica soluzione a Casal Di Principe contro la piaga degli abusivismi edilizi: non si può levare, senza ricostruire. Le parole del sindaco sono chiare, senza mai una contraddizione rispetto al valore della legalità, alla volontà di perseguire i criminali, di collaborare con la magistratura. Nelle parole di Renato Natale non c’è enfasi retorica, non c’è autocommiserazione, non c’è semplificazione: c’è la traduzione in un discorso di venti minuti di una vita intera coerentemente passata sempre dalla stessa parte. Ed è questa coerenza manifesta che rende le parole del sindaco ineludibili, è questa coerenza che impone quel sussulto.
Non c’è concessione narcisistica nella scelta di dimettersi: c’è la consapevolezza che le parole non accompagnate da azioni concrete che ne specifichino la gravità sono destinate a perdersi nell’aria in un momento. Invece l’atto di dimettersi provoca una lacerazione evidente, di cui non è possibile non farsi carico. Perché quali rischiano di essere i messaggi impliciti di questa favolaccia?
Lo Stato “posa” Renato Natale. Come si fa a non capire che un atto del genere rischia di suonare come una sconfessione da parte dello Stato dell’azione difficile di un sindaco che ha scelto una strada impervia nel riaffermare la legalità, perché vuole una legalità non “contro” una intera comunità per troppo tempo genericamente criminalizzata, ma “insieme” a quella comunità, portandosela appresso, compiendo un cammino “a ritorno” verso una Repubblica a lungo negata?
Lo Stato “posa” Renato Natale, confermando quell’adagio così corrosivo per la tenuta democratica di un Paese: “la Giustizia è forte con i deboli e debole con i forti”. Ed è questo il regalo più grande che si possa fare alle mafie, far apparire lo Stato come niente di meglio di loro. Non ce lo possiamo permettere alla vigilia della commemorazione del generale Carlo Alberto dalla Chiesa, assassinato a Palermo nel 1982: il generale che diventato prefetto aveva insistito fino alla fine, fino a quell’ultima intervista rilasciata in agosto a Giorgio Bocca, sull’importanza di sottrarre i cittadini alla mafia, coniugando giustizia e legalità. Che se ne dirà, insomma, di una Giustizia che abbatte le case a Casal di Principe, ma concede alla Lega un piano di rientro secolare dei soldi sottratti illegalmente allo Stato?