Cinema

Mostra del Cinema di Venezia, l’America colpevole e dolente di Paul Schrader rivive ne “Il collezionista di carte”

Da domani nelle sale italiane, e in concorso oggi a Venezia, il film è interpretato da Oscar Isaac nei panni di un ex torturatore di Abu Ghraib divenuto giocatore d’azzardo incapace di perdonarsi

di Anna Maria Pasetti

Il Sogno Americano non esiste, e Paul Schrader ce lo insegna da almeno 50 anni. In arrivo domani nelle sale italiane e oggi in concorso alla Mostra veneziana, Il collezionista di carte (in originale The Card Counter) è il feroce e magnifico nuovo contributo del grande sceneggiatore e regista americano alla sua straordinaria filmografia, che annovera tra gli altri, la scrittura per Scorsese di capolavori come Taxi Driver e Toro Scatenato e per la propria regia di American Gigolo e il recente First Reformed. Protagonista del film è William Tell, ex militare dell’esercito americano ed ex detenuto per reati che ancora ne imprigionano la coscienza. Torturatore senza possibilità di scelta nel nefasto carcere iracheno di Abu Ghraib, l’uomo ha imparato a contare le carte da poker negli anni di galera, divenendo successivamente un infallibile giocatore professionista, implacabile e inavvicinabile dalle emozioni.

Questo è il suo metodo per sospendere la coscienza e convivere con il tormento di un’esistenza sopraffatta da fantasmi inquieti e incubi spaventosi, almeno fino all’incontro con due personaggi capaci, loro malgrado, di risvegliare il disagio della sua anima. Interpretato con intensità e aderenza da un perfetto Oscar Isaac – attore da tempo nell’orbita di Schrader che già lo voleva protagonista di First Reformed per il quale poi scelse Ethan Hawke – Tell è l’incarnazione dell’individuo classico ritratto da Schrader, portatore dolente delle tematiche da sempre a lui care: la colpa, l’espiazione, il tentativo di perdono e redenzione umana in parabole esistenziali vissute nella solitudine di personaggi antieroici, vittime del malessere generato sui frantumi del Sogno Americano, tradotto ormai in incubo.

Per quanto scritto e diretto assai prima, lo sfondo politico-militare de Il collezionista di carte è di drammatica attualità, considerando la complessa situazione corrente dell’Afghanistan in relazione alle scelte governative statunitensi, a dimostrazione di quanto Schrader sappia da sempre intercettare – se non prevedere – i meccanismi disfunzionali del potere e le sue tragiche conseguenze sul singolo individuo e la comunità di appartenenza. Una problematica, quella dei reiterati errori della Storia americana (ma non solo americana), che lo sceneggiatore-regista sa perfettamente inquadrare: “Il corpo umano ricorda i suoi traumi, ma i Paesi non sanno imparare dai propri errori. Questo non accade solo nel mio, anche la Russia se ci pensate, o altre nazioni. L’errore infatti non è legato a un popolo, è connesso all’idea stessa di potere che porta le comunità a vivere di illusioni. L’America è sotto illusione da almeno 100 anni, all’epoca eravamo un paese eccezionale ma quel tempo è ormai finito, specie da quando è nelle mani dei poliziotti. Ad ogni modo – sottolinea Schrader – tutti dobbiamo attraversare il nostro lato oscuro, non ci sono eccezioni. E ritengo l’unica via d’uscita parta dal perdono di se stessi”. Teso, granito e solenne, Il collezionista di carte è il nuovo tassello di Paul Schrader alla grande narrazione cinematografica americana, quella capace di unire arte e politica nel segno della miglior immaginazione umanista.

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