di Fabrizio Cortesi*
“La grandezza di una nazione e il suo progresso morale possono essere valutati dal modo in cui vengono trattati i suoi animali“: è una profonda affermazione che ci dovrebbe tutti far riflettere, non a caso attribuita a Gandhi.
Premessa: in una società sana, in equilibrio e armonia con la Natura, non ci sarebbe bisogno di nessuna iniziativa referendaria contro abomini come la caccia, la vivisezione, gli allevamenti intensivi, gli zoo, i circhi, i delfinari e simili degenerazioni del nostro rapporto con il resto degli esseri viventi. Già popoli antichi come gli Egizi, i Persiani, i Greci, gli Indiani, anche quelli nativi d’America, e le religioni millenarie dell’umanità, come l’induismo e il buddismo, facevano del biocentrismo uno dei loro cardini inviolabili, al punto da rispettare come esseri dotati di anima e di saggezza tutti gli animali e le creature terrestri dai quali trarre insegnamento. Un’antica saggezza perduta.
Viviamo purtroppo in una società che, al contrario, ha sempre più posto se stessa al centro del mondo, rompendo definitivamente il suo rapporto con la Natura, e considerando tutto il resto da sé come qualcosa di accessorio e al suo arbitrario servizio. Una società progressista, del resto, è antropocentrica per definizione, ecco il vero peccato originale che ci sta portando dritti verso la sesta estinzione di massa.
E’ questo il contesto in cui si è resa necessaria l’importante iniziativa di proposta di un referendum per l’abolizione della caccia, la cui raccolta firme proseguirà fino ad ottobre. I tre quesiti, a mio parere tutti validi (nonostante una serie di critiche circolate che paiono più che altro strumentali), mirano a vietare su tutto il territorio italiano l’eliminazione annuale di decine di milioni di esseri senzienti e incolpevoli, oltre che ad evitare decine di vittime umane. Pur mantenendo intatto l’impianto normativo della legge 157/92, che tutela la fauna selvatica, definita “bene indisponibile dello Stato”, cioè di tutti i cittadini, la proposta referendaria mira ad abrogare selettivamente le sole deroghe contenute in tale legge ad uso di una ristretta comunità di circa 600mila cacciatori italiani per esercitare il loro “sport, svago e hobby” sul territorio nazionale, e un terzo quesito proposto a vietare ai cacciatori l’accesso ai fondi privati, con l’abrogazione dell’articolo 842 c.c.
La proposta referendaria vuole ricondurre inoltre l’uccisione di animali al rango di reato penale secondo l’art. 544 bis c.p. Se la raccolta raggiungerà la soglia di 500 mila firme autenticate, nel 2022 gli italiani potrebbero essere chiamati ad esprimersi su questo importante tema, il che porrebbe il nostro paese, nel caso di esito positivo, all’avanguardia in Europa nel porre fine ad una pratica davvero anacronistica, violenta e ingiustificabile.
Già qui subito spicca la contraddizione di uno Stato che, previo semplice pagamento di una licenza, consente ad una minoranza di cittadini in deroga ad una legge che dichiara di proteggere e tutelare tutti gli animali, di sterminare quegli stessi animali, che rappresentano proprio l’immenso valore di biodiversità (proprio quella che lo Stato dovrebbe tutelare in Costituzione) e che appartiene a tutti, dato che anche dai sondaggi pare che oltre il 70-80% della popolazione sia contrario alla caccia.
Se qualcuno ha visto video di scene di caccia e l’agonia straziante dei poveri animali colpiti a morte da proiettili, pallini o addirittura frecce, assistiti fino all’ultimo dai componenti del proprio branco, sa che alle persone normali piange il cuore. La caccia comporta inoltre uno sperpero annuale di decine di milioni di euro di denaro pubblico per il ripopolamento degli animali selvatici; ha dietro interessi economici dell’industria delle armi; addirittura ogni anno, regolarmente, semina decine di vittime umane tra morti e feriti, a seguito di incidenti. Senza poi considerare gli incalcolabili danni ambientali e di biodiversità.
Nessuna presunta convenienza economica, sociale, industriale, politica, nessuna motivazione storica saranno mai sufficienti a giustificare qualsiasi atto di violenza, né tanto meno a renderlo lecito con apposite leggi statali, che da un lato dichiarano la fauna selvatica come bene indisponibile dello Stato, ma al tempo stesso derogano da questo principio concedendo improbabili licenze.
Di fronte a tutte queste considerazioni si resta perciò basiti nel rilevare ad oggi una piuttosto scarsa affluenza a firmare a favore di questo referendum. Sarà forse per scarsa divulgazione del tema? Per indifferenza se non ostracismo di certo mondo politico e, sorprendentemente, delle maggiori associazioni ambientaliste? Per mancanza di “sponsor”? Tutte grandi differenze con il referendum parallelo dell’eutanasia che, pur essendo un tema assai divisivo e di più difficile presa di posizione netta, addirittura con tutto il mondo cattolico contrario, ha invece raggiunto oltre 700 mila firme in soli due mesi.
Speriamo davvero nella possibilità di ricorrere alla firma digitale anche per il referendum contro la caccia, se sarà resa possibile come è stato ad esempio per il referendum proposto sull’eutanasia, avendo solo altri due mesi alla conclusione della raccolta firme.
Nell’attesa che fra qualche generazione la nostra società e sensibilità ambientale evolvano, auspicando un mondo dove uccidere o seviziare un animale non sarà più considerato un fatto normale, bensì un imperdonabile reato, non resta che provare ad abbattere, pezzo per pezzo, le leggi che si oppongono ai principi di rispetto per tutti i nostri amici animali.
“Basta guardare negli occhi qualsiasi animale, osservarlo con i figli e vegliarlo quando soffre per sentire un identico destino tra noi e loro” (A. Di Consoli).
*consulente in sostenibilità d’impresa e ambientalista