In genere cerco di misurare le parole e quando chiedo le dimissioni di qualcuno non lo faccio a cuor leggero. A proposito di Roberto Cingolani, l’avevo già fatto per il suo attivismo non richiesto a favore di inceneritori, idrogeno sporco e combustione dei rifiuti nei cementifici. Beh, adesso dire che Cingolani è un ministro che dovrebbe lavorare per la Transizione ecologica è come dire che “le volpi difendono i pollai!”
Non è un caso che cotanto ministro sia andato a straparlare alla corte di uno che da sempre è nemico dell’ambiente. Infatti, dov’era il nostro ministro quando ha proferito così tante oscenità? Domanda retorica… Era da Matteo Renzi, l’uomo delle trivelle (oltre che amico dei Sauditi!), dell’articolo 35 che voleva circa 20 nuovi inceneritori e dello Sblocca Italia. Un ministro così in un dicastero decisivo come quello della Transizione Ecologica che amministrerà un botto di miliardi di euro è una sciagura. Se ci sono forze che hanno a cuore la questione ambientale dentro il Governo Draghi ne chiedano le dimissioni.
Una sola battuta nel merito degli pseudo argomenti che Cingolani ha adoperato. Egli parla come se l’unico problema ambientale planetario che esiste fosse “solo” il riscaldamento globale. In quest’ottica egli vorrebbe riabilitare il nucleare, a suo dire alleato del contrasto alla CO2. Ma a parte il fatto che il “nucleare pulito” esiste solo nella testa del suo fideismo, esistono anche altri problemi di enorme rilevanza ambientale, quali l’insostenibile pesantezza dei “prelievi” (impronta ecologica) del modello economico lineare e usa e getta, che non consente la rigenerazione delle risorse sprecate e il disastro della plastica nei mari che, citando la Fondazione Ellen Mc Arthur, se non verrà arginato produrrà oceani che vedranno più plastica che creature marine.
Senza poi dimenticare gli effetti sulla pace e sulle migrazioni bibliche derivanti dalle sempre più accentuate crisi provocate dalla competizione globale legata alla scarsità delle materie prime, a partire dall’accaparramento delle famigerate “terre rare”, senza le quali la rivoluzione industriale 4.0 è pura utopia.
Temi troppo grandi evidentemente per una figura come quella del ministro (speriamo ancora per poco), che quando parla lo fa con il riflesso condizionato di avvocato d’ufficio dell’industria sporca.