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Genova Jeans, dal 2 al 6 settembre la mostra dedicata al capo d’abbigliamento più usato al mondo (che ha origini proprio in città)

È una via del jeans che si snoda nel centro storico, quello più vissuto, consumato, ‘stropicciato’ delle canzoni di Fabrizio De Andrè. Un museo diffuso che, fra opere contemporanee e reperti antichi, punta a diventare un appuntamento fisso

di Simona Griggio

Giuseppe Garibaldi, alla guida della Spedizione dei Mille, indossava i jeans. Persino con la toppa. Siamo nel 1860 e l’Italia sta per essere unita. In partenza dallo scoglio di Quarto a Genova, il patriota indossa un pantalone di fustagno blu, conservato oggi al Museo centrale del Risorgimento a Roma. Il filo che lega le tappe della storia dell’indumento più usato al mondo parte proprio dal capoluogo ligure: jean infatti è un tipo di tela ruvida e resistente di origine genovese. Usata già prima di Garibaldi da chi lavorava in porto, arriva oltreoceano e dall’America rimbalza nuovamente in Europa nel corso dei secoli. Fino a diventare il capo di abbigliamento simbolo della parità fra i sessi, della contestazione giovanile, della libertà, del rock, del punk, del rap. Ma non senza polemiche, giudizi, divieti. Tanto che il dress code di alcune compagnie aeree fino a qualche anno fa lo vietava nelle prime classi. Dal 2 al 6 settembre, la mostra Genova Jeans ne racconta il percorso, l’evoluzione, l’innovazione.

È una via del jeans che si snoda nel centro storico, quello più vissuto, consumato, ‘stropicciato’ delle canzoni di Fabrizio De Andrè. Un museo diffuso che, fra opere contemporanee e reperti antichi, punta a diventare un appuntamento fisso. Ma non senza polemiche, reazioni, interrogativi. Genova Jeans nasce in un clima politico incandescente: accuse dell’opposizione Pd-5 Stelle alla giunta del sindaco Marco Bucci su costi eccessivi e gestione poco trasparente dei fondi e delle spese per la manifestazione, esposti alla Corte dei conti, proteste di artisti pronti a ritirare le loro opere poi rientrate.

L’invito allo “sciopero del jeans” contro l’invito a indossarlo tutti per la settimana della mostra. L’evento genovese svela alcuni passaggi chiave della storia del jeans. Il 1538 è la data a cui risalgono i Teli della Passione, che rappresentano la Passione di Cristo e sono esposti al Museo Diocesiano di Genova. Sono di lino grezzo blu, un tessuto che sembra anticipare il denim.

Il 1577 è invece l’anno in cui nel catalogo di un commerciante inglese si legge “whitt jeanes” (arcaismo per “white jeans”) a indicare il tessuto genovese bianco. E si arriva al 1700. Le statuine del presepe conservate al museo Luxoro di Genova indossano abiti da lavoro in jeans. Un salto di quasi due secoli, passando per Garibaldi, e siamo negli Stati Uniti. E’ il 1873 quando il governo concede agli imprenditori Davis e Levi Strauss un brevetto. Riguarda la rivettatura, il rinforzo in rame che irrobustisce le tasche dei jeans dei cercatori d’oro in California. I pionieri. Ma è con la Grande Depressione del 1929 che il pantalone in denim si impone sul mercato. Costa poco ed è resistente.

Manca solo un dettaglio. Produrlo in versione femminile. Ci si arriva nel ’37 ed è subito la prima pagina di Vogue. Negli anni ’50 e ‘60 i jeans conquistano il mondo: on the road e nelle case con piscina, nelle manifestazioni della contestazione giovanile e fra i divi del cinema. James Dean in Gioventù Bruciata, sigaretta e sguardo inquieto, li indossa blu scuro, Marlon Brando nel film Il Selvaggio con i bottoni. Persino Jacqueline Kennedy porta il jeans, ma bianco. Mentre Gunter Sachs, marito di Brigitte Bardot, lancia l’abbinamento camicia semi-aperta, jeans e mocassino. E che dire di Gianni Agnelli? Lo indossa con la camicia casual e diventa subito icona di stile.

Gli anni ’70 segnano l’esplosione dei jeans. La creatività hippy è protagonista: sono a zampa, con frange, pitturati. Psichedelici. Dagli anni ’80, oltre alle storiche aziende americane, ogni griffe ha una sua linea di prêt-à-porter. Da Armani a Cavalli a Gucci. Sono larghi, strappati, macchiati, animalier. Oppure più eleganti, per vestire il mondo rampante della pubblicità. Vivienne Westwood, in epoca punk, li presenta “cattivi”, borchiati e pieni di spille.

Infine arrivano fiori, ricami, perline, paillette, pizzi, brillantini. Pantaloni stretti e fascianti per le donne. Quelle più penalizzate, troppo spesso giudicate “facili” per il fatto stesso di portare jeans attillati. Infine il pantalone tipico dei teen ager: sceso fin quasi a vedere le mutande. Ma non finisce qui l’evoluzione del jeans. Oggi è biodegradabile e compostabile, prodotto nel rispetto dell’ambiente. Alberto Candiani, titolare dell’azienda Candiani Denim, ha realizzato e brevettato un tessuto così. L’ispirazione l’ha avuta dal mondo del food, vedendo un salame avvolto in spago in gomma naturale.

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