Copenaghen rimuove l'obbligo della certificazione verde per ristoranti e bar: servirà solo per i viaggi all'estero. Intanto Oslo posticipa di un mese la riapertura per contenere la crescita della curva. La Svezia discute ancora sul modello Tegnell
La penisola scandinava divisa sul green pass. A un giorno di distanza dall’annuncio della Danimarca sulla rimozione dell’obbligo di certificazione verde, che ora servirà ai cittadini solo per viaggiare all’estero, è arrivata ieri dalla Norvegia la notizia di un rinvio dell’apertura generale prevista per settembre a causa di “troppi contagi“. Intanto in Svezia ancora in discussione l’efficacia del “modello Tegnell“.
Mercoledì 1 settembre il governo di Copenaghen, primo in Europa a introdurre un certificato vaccinale sei mesi fa, ne ha abolito l’obbligo nella maggior parte dei luoghi pubblici, tra cui anche bar, ristoranti e palestre. Un risultato che, secondo Magnus Heunicke, si deve al successo della campagna vaccinale: per il ministro della Sanità norvegese il 71,8% della popolazione completamente immunizzata consente infatti di considerare l’epidemia “sotto controllo” dopo oltre un anno e mezzo di emergenza in cui il Paese ha registrato 2.500 decessi per Covid. La decisione di Heunicke anticipa il traguardo del 10 settembre, data in cui cadranno anche le altre restrizioni, mascherina compresa, e 5,8 milioni di danesi potranno tornare alla normalità. Si tratta dell’ultimo passo di un percorso di riapertura iniziato già ad agosto, quando le autorità hanno revocato l’obbligo di mascherine nel mezzi pubblici e del pass per musei ed eventi al coperto con meno di 500 persone.
Di tutt’altro avviso il primo ministro della Norvegia Erna Solberg che ieri ha deciso di rimandare la riapertura totale e la fine delle restrizioni a fine settembre per fronteggiare la forte crescita dei contagi avvenuta negli ultimi giorni. Solo due giorni fa sono state registrate 1.796 nuove infezioni da Coronavirus, il numero più alto dall’inizio della pandemia e questo nonostante il programma di vaccinazione abbia già raggiunto oltre il 70% della popolazione (sono 5,3 i milioni gli abitanti). In crescita anche il numero dei ricoveri: martedì, sono stati 89 gli ingressi in ospedale, compresi quelli in terapia intensiva. La panoramica dei tassi d’infezione indica che l’indice è passato in sette giorni da 11 a 23,1 casi per 100mila abitanti, mettendo il Paese al di sopra di Finlandia, Danimarca e Islanda nell’arco di una sola settimana. “Riaprire oggi accrescerebbe il rischio di contagi“, ha dichiarato Solberg, che ha deciso di estendere la campagna di immunizzazione alla popolazione adolescente tra i 12 e i 15 anni. L’obiettivo del governo per le riaperture è di arrivare al 90% di copertura vaccinale.
Una scontro tra approcci, quella cui si assiste nella penisola scandiva, che si alimenta anche delle discussioni sollevate in Svezia sull’efficacia del modello di Anders Tegnell. L’epidemiologo dell’Agenzia per la salute pubblica svedese, punto di riferimento di Stoccolma per la gestione dell’emergenza, ha sempre sostenuto l’inefficacia di lockdown e mascherine lasciando aperte scuole, bar e ristoranti. “E’ come cercare di uccidere una zanzara con un martello” aveva detto all’inizio della pandemia, salvo poi convincersi a raccomandarla almeno sui mezzi pubblici ma solo nelle ore di punta. La sostanza nella strategia non è cambiata nemmeno a dicembre, quando di fronte agli oltre 8 mila casi e 2.400 ricoverati il re Carl XVI Gustaf ha ammesso in diretta nazionale: “Abbiamo sbagliato“. Solo a giugno Tegnell ha ammesso che “se si ripresentasse la pandemia, con le cose che sappiamo ora, ci comporteremmo a metà tra quanto fatto e quanto ha fatto il resto del mondo”. Oggi la Svezia conta oltre 1,1 milioni di casi di Covid dall’inizio dell’emergenza, vale a dire che circa l’11% della popolazione (10,3 milioni) ha contratto l’infezione. Un dato di gran lunga superiore ad esempio al 5,3% dei norvegesi. All’opposto, la campagna vaccinale prosegue a gonfie vele con l’81,5% dei cittadini destinatari di almeno un dose (65,8% quelli che hanno fatto anche il richiamo) e la curva dei nuovi contagi che cresce ma più lentamente che altrove, con zero morti ieri a fronte di 1.200 casi. Anche da qui la decisione, presa cinque giorni fa, di rinviare la terza dose a data da destinarsi, forse nel 2022.