Dal 2 settembre in Texas è illegale abortire dopo le sei settimane, anche in caso di incesto o stupro. La sentenza della Corte Suprema Roe vs Wade del ‘73 – che ha settato i pareri della bioetica e della giurisprudenza sull’aborto per decenni – è stata spazzata via e qui l’interruzione di gravidanza si configura a tutti gli effetti come un reato. La Corte Suprema non ha posto il suo veto, rendendo di fatto gli Stati Uniti fautori di una delle leggi più restrittive nel panorama occidentale, contraria ai diritti e alla dignità delle donne su più fronti. Avranno incrociato i talebani sulla via del ritorno a casa?
L’intento primario dei conservatori è ostacolare le donne nell’autodeterminazione sul proprio corpo. La legge non solo vieta di abortire, ma invisibilizza il problema delle violenze e delle ripercussioni psicologiche di queste ultime, costringendo le donne coinvolte a un futuro da mamme anche lì dove vorrebbero cancellare qualsiasi ricordo dell’episodio, figuriamoci una gravidanza indesiderata. In più, l’Heartbeat Act va a rinforzare l’accesso privilegiato alla sanità: infatti solo chi è in una situazione economica agiata potrà spostarsi in un altro Stato per abortire (e spoiler: chi ha i mezzi lo farà, in barba agli anti-choice). Non che l’America non ci abbia già abituati a questo scenario capitalista, ma fa amaramente sorridere che da un lato si renda illegale l’Ivg causando la chiusura di cliniche e consultori, e dall’altro si sanzioni chiunque prenda parte ad aborti illegali.
Non solo: come fosse il maledetto far west, i cittadini sono la vera chiave dell’applicazione della legge: chiunque sia dispostə a fare la spia sulle persone coinvoltə in un aborto è invitatə a denunciare qualunque sospetto, senza incorrere in spese legali, nemmeno se si rivelasse tutto falso, e guadagnandoci pure un risarcimento se l’aborto dovesse effettivamente aver avuto luogo. La più grande associazione americana pro-life ha persino lanciato un sito per segnalare anonimamente personale sanitario, avvocatə e luoghi sospetti di praticare interruzioni di gravidanza. Minacce pressanti – economicamente e mentalmente – anche per chi avrebbe voluto schierarsi dalla parte delle donne nonostante tutto. L’ultima volta che ho percepito un’atmosfera così buia Dolores Umbridge stava diventando preside della scuola di Hogwarts.
Le alternative rimaste? O un’infinità di figli e figlie indesideratə, con genitori sprovvisti di mezzi e/o volontà per crescerli serenamente (e qui a pagare non sono solo le donne, ma anche quei bambini di cui tanto straparlano i repubblicani, invocandone la protezione); oppure centinaia di persone che rischiano danni permanenti con procedure clandestine. Diritto alla vita per una cellula dal minuto uno del concepimento, ma non per le donne. Coerente. Il rinculo della decisione, come dichiarato dalla responsabile clinica di Whole Woman’s Health, Marva Sadler, è stato subito chiaro: le donne texane hanno fiutato il pericolo e negli ultimi giorni si sono riversate (magari pure le indecise) presso le cliniche per accedere all’Ivg.
La presa in giro ulteriore è che nella maggior parte dei casi la gravidanza si scopre proprio intorno o addirittura dopo le sei settimane, dato che è allora che sorgono i primi sospetti; in effetti, i numeri delle cliniche di pianificazione familiare stimano che oltre l’85% degli aborti avvenga almeno dall’ottava settimana in poi. Magari in parecchie si accorgeranno solo tra qualche giorno di essersi svegliate senza diritti riproduttivi.
Chi invece si è svegliato col naso lungo sono i conservatori che hanno dato il nome alla proposta di legge, sparando una grossa balla: Heartbeat Act dipinge un feto di sei settimane dal cuore pulsante, ma la verità è che a quello stadio della gravidanza l’organo neppure esiste; si tratta di porzioni di tessuto fetale che si convertiranno in cardiaco solo successivamente. Ma il punto non è nemmeno questo, quanto il fatto che la libertà delle donne (e di chiunque altrə sia incintə, anche se non vi piace pensarci) di interrompere in sicurezza una gravidanza viene prima della condizione del feto, del suo sviluppo e di qualunque presunto diritto prenatale.
La triste conclusione è che questo passo indietro torna a porre un diritto già acquisito come l’aborto al centro del dibattito, togliendo energie al resto delle lotte per l’equità. E mentre denuncio il medioevo texano, se sto in silenzio riesco a sentire il ticchettio dell’orologio di Michele Mariano, l’ultimo medico non obiettore di coscienza che sta per andare in pensione in Molise, che mi ricorda che anche noi non ce la passiamo poi tanto meglio. Sia qui che oltreoceano, però, le associazioni per i diritti delle donne preannunciano di non voler abbandonare il terreno di battaglia. Vedremo… Noi femministe andiamo avanti da secoli, non ci spaventa qualche annata in più.