di Luciano Sesta*

Correggendo il tiro delle sin troppo ottimistiche previsioni formulate all’inizio della campagna vaccinale, sono in molti oggi a precisare, e giustamente, che i vaccini servono soprattutto a ridurre non già i contagi, ma quei ricoveri e quei decessi che, oltre un certo limite, imporrebbero nuove chiusure. Nonostante ciò, la pressione a vaccinare anche soggetti statisticamente non a rischio, come per esempio gli adolescenti, è paradossalmente motivata dalla persistente circolazione di un virus che la vaccinazione stessa non riesce a eliminare.

La conseguenza di questo paradosso è sotto gli occhi di tutti: una volta che si intenda la lotta al Covid non più come riduzione di ricoveri e decessi, ma come un piano di purificazione del mondo da ogni possibile residuo del virus, la frustrante rincorsa alle varianti prende la forma scomposta di una criminalizzazione sociale del cittadino non vaccinato, anche quando quest’ultimo agisce nel pieno rispetto della legge e in una condizione di potenziale contagiosità, così ci dice la scienza, che non è diversa da quella del vaccinato.

Dietro questo atteggiamento agiscono non solo spinte emotive contingenti, ma anche ragioni culturali complesse. Prima fra tutte l’idea, tipicamente moderna, secondo cui, grazie al dominio scientifico della natura, l’essere umano avrebbe un tale controllo della situazione da doversi ritenere responsabile di qualunque cosa gli sfugga. In quest’ottica le patologie non dipendono più soltanto dalla “natura” o dal “caso”, ma sarebbero prioritariamente riconducibili alle azioni o alle omissioni di “qualcuno”. L’epoca moderna, da questo punto di vista, potrebbe essere definita come l’epoca in cui per qualunque cosa che accade, anche in natura, occorra sempre “cercare il responsabile”. Si pretende che qualcuno “paghi” persino dopo un terremoto, quasi a voler esorcizzare l’idea, insopportabile, che sia tutto frutto di un cieco e fatale destino. E così anche un’epidemia si diffonde non perché “qualcosa è andato storto”, ma perché “qualcuno ha peccato”: forse la scienza medica, forse la politica. O più probabilmente i cinesi – almeno all’inizio –, poi i giovani con la loro movida nonostante i lockdown, ora i non vaccinati nonostante i vaccini.

Lungi dall’essere “moderna”, una simile prospettiva ci riporta alla cultura arcaica, che attribuiva le malattie agli dei o alle maledizioni lanciate dal nemico. Anche oggi la diffusione dei contagi è quasi esclusivamente associata a categorie come “ignoranza” e “colpa”, proprio come nella mentalità primitiva o religiosa. Come nell’Iliade la pestilenza che colpisce gli Achei è una punizione inviata da Apollo, così il virus continua a imperversare senz’altro per colpa dei non vaccinati. Si esclude, come pure un approccio più scientifico richiederebbe di ammettere, che stia “accadendo qualcosa” nonostante le nostre contromisure (i vaccini), e si preferisce ipotizzare che sia “colpa di qualcuno” (i non vaccinati). È anche un modo di darsi l’impressione di poter comunque tenere sotto controllo il virus: visto che i vaccini non stanno funzionando come sperato, ci si convince che il problema sarà risolto quando chi non si è ancora vaccinato finalmente lo farà.

Da qui il carattere obiettivamente deprimente del livello della discussione sociale su Covid e vaccinazioni, che anziché vederci uniti nella comune lotta al virus ci vede divisi nella ricerca del colpevole. Due tifoserie aggressive e incattivite si fronteggiano mescolando statistiche e insulti, minacce e velati auspici di morte. Anche chi prova a uscire dal ricatto dello scontro violento vi viene riportato a forza con provocazioni del tipo: “se critichi la vaccinazione obbligatoria giochi con la vita delle persone” o, in senso opposto: “lo avete ucciso convincendolo a vaccinarsi”. Questa virulenza non si spiega se non perché è in gioco la salute da ambo i lati, ed è davvero preoccupante che siano in pochi a provare a capire cosa stia succedendo al di fuori di questa corrente viscerale che le stesse istituzioni si limitano ad assecondare – e in taluni casi persino ad alimentare.

Il clima di odio e di lacerazione sociale in corso dipende proprio dal fatto che, essendo in gioco la vita e la morte, nessuno dei due schieramenti in lotta è disposto a concedere all’altro il diritto di esprimere la propria tesi, giudicata ora socialmente pericolosa (no vax), ora politicamente liberticida (pro vax). Ciò dipende soprattutto dal diverso modo di gestire la propria paura rispetto a quella altrui: chi ha paura di Covid e lockdown ironizza sulla paura del vaccino; chi, invece, ha paura del vaccino, ironizza sulla paura di Covid e lockdown. Ma si tratta di due posizioni perfettamente simmetriche e schiave l’una dell’altra, come risulta dal fatto che la loro rispettiva violenza cresce nella misura in cui ciascuna delle due impone come assoluto il proprio credo, diffamando come “ignoranza” o “fascismo sanitario” quello altrui: il vaccino che fieramente si rifiuta, infatti, è soprattutto quello che altri vorrebbero ossessivamente imporre, così come il vaccino che si tende compulsivamente a “raccomandare” è principalmente quello che altri ostinatamente rifiutano, in una spirale che sfocia infine nell’insulto reciproco, unica arma rimasta quando l’altro si mostra impermeabile a qualsiasi tentativo di convertirlo al proprio credo.

Dispiace dirlo, ma credo che questa delegittimazione operi soprattutto nello schieramento “pro vax”, incapace di distinguere le più rozze e stravaganti posizioni “no vax” da ben più meditate, prudenti e pienamente legali posizioni “free vax”. Questa semplificazione è dovuta a un’assolutizzazione scientificamente incoerente del punto di vista “pro vax”, che, a questo punto, andrebbe piuttosto definito “ultra vax”. La fretta di uscire quanto prima dalla pandemia e dalle restrizioni che essa ha imposto e la paura, non sempre fondata, del semplice contagio – anche quando statisticamente non grave – hanno alimentato aspettative impropriamente salvifiche sui vaccini, presentati come la soluzione semplice di un problema complesso.

Una volta che la vaccinazione di tutti sia concepita, quasi misticamente, come l’unica e più diretta soluzione, è naturale che chiunque nutra invece qualche perplessità sia considerato, banalmente, come un “no vax”, o, peggio ancora, come un eretico da convertire, un pericoloso untore da mettere in condizione di non nuocere, anche qualora rispetti comunque le norme di prevenzione richieste a tutti, vaccinati e non.

*docente di bioetica e filosofia morale dell’Università di Palermo

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